Archivio | giugno 2016

Diario di Santa Gemma Galgani

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22 luglio, Domenica

È battuta nuovamente dal demonio. Per alcuni difetti commessi l’Angelo la rimprovera aspramente.

Ho fatto la SS. Comunione, ma Gesù non mi si è fatto sentire nulla nulla; ora però mi trovo assai quieta.
Oggi poi, che credevo di essere affatto libera da quella brutta bestia, invece mi ha bussato assai. Io era andata proprio coll’intenzione di dormire, tutt’altro invece: ha cominciato in certi colpi, che temevo proprio mi facesse morire. Era in forma di un grosso cane tutto nero, e mi metteva le gambe sulle mie spalle; ma mi ha fatto assai male, perché mi ha fatto sentire tutti gli ossi . Alle volte perfino credo che me li tronchi; anzi una volta, tempo indietro, nel prender l’acqua santa, mi dette una torta tanto forte al braccio, che cascai in terra dal gran dolore, e allora mi levò l’osso proprio dal posto; ma mi ci tornò ben presto, perché me lo toccò Gesù, e fu fatto tutto.

Dopo del tempo mi ricordai che al collo ci avevo il legno della S. Croce ; potei con quello segnarmi, e tornai subito in calma. Mi misi subito a ringraziare Gesù, che mi si fece vedere, ma ben poco: mi rianimò di nuovo a soffrire e a combattere, e mi lasciò. Da allora in poi non mi sono potuta più raccogliere; sia benedetto Dio in ogni modo.

Nel corso del giorno, ieri, però bisogna che dica alcuni avvertimenti, che mi dette il mio S. Angelo. Il primo fu in tempo di desinare; mi si accostò. Devo dire ancora che in quel momento mi era venuto un pensiero non tanto puro sopra me stessa. Lui si vede lo capì, mi disse: «Figliuola, vuoi proprio che me ne vada e non farmi più vedere?». Mi vergognai e rientrai in me stessa. Queste parole le pronunziò assai forte, e non so se possono aver senito anche gli altri.

Un’altra volta fu ieri il giorno, mentre ero in chiesa; mi si accostò anche allora e mi disse: «La grandezza di Gesù e il luogo ove tu sei, meritano altra maniera di operare». In quel tempo avevo alzato gli occhi per guardare due bambine come erano vestite.

L’ultimo stanotte: ero nel letto in una maniera non tanto ammodo; mi ha rimproverato dicendomi che invece di progredire ne’ suoi insegnamenti divento sempre peggiore, e continuamente mi rallento nel bene.

Tutte queste cose poi sono sempre svegliata quando mi accadono.
A quel che mi pare, invece di esser buona e prepararmi alla visita di M. SS. Addolorata con Confratel Gabriele, per quanto faccia, non mi riuscirà.

Coroncina di riparazione delle bestemmie

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Gesù rivelò alla Serva di Dio, Suor Saint-Pierre, carmelitana di Tours (1843), l’Apostola della Riparazione: «Il mio nome è da tutti bestemmiato: gli stessi fanciulli bestemmiano e l’orribile peccato ferisce apertamente il mio Cuore. Il peccatore con la bestemmia maledice Dio, lo sfida apertamente, annienta la Redenzione, pronuncia da sé la propria condanna. La bestemmia è una freccia avvelenata che mi penetra nel Cuore. Io ti darà una freccia d’oro per cicatrizzarmi la ferita dei peccatore; ed è questa:

Sempre sia lodato, benedetto, amato, adorato, glorificato, il Santissimo, il Sacratissimo, l’adoratissimo eppure incomprensibile Nome di Dio in cielo, in terra o negli inferi, da tutte le creature uscite dalle mani di Dio. Per il Sacro Cuore il nostro Signore Gesù Cristo nel Santissimo Sacramento dell’altare. Amen.

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Ogni volta che ripeterai questa formula ferirai il mio Cuore d’amore. Tu non puoi comprendere la malizia e l’orrore della bestemmia. Se la mia Giustizia non fosse trattenuta dalla Misericordia, schiaccerebbe il colpevole verso al quale le stesse creature inanimate si vendicherebbero, ma io ho l’eternità per punirlo! Oh, se sapessi quale grado di gloria ti darà il Cielo dicendo una volta sola: O ammirabile Nome di Dio! In ispirito di riparazione per le bestemmie!».

Diario di Santa Gemma Galgani

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Sabato, 21 luglio

Maria Santissima Addolorata la fa riposare sul suo seno. Gemma è per­cossa dal demonio e soccorsa dall’angelo custode.

Oggi, sabato 21 luglio, credevo proprio in nessun modo raccogliermi. Ma appena ho potuto esser sola, mi sono pro­vata a dire la corona dei dolori; non so a che punto mi sono sentita portar via la testa. La mia carissima mamma Maria Santissima Addolorata mi ha voluto fare una visitina (non mi ricordavo però che era sabato, e il sabato è solita farsi ve­dere).

Era pure afflitta; non so, ma mi sembrava che piangesse. L’ho chiamata più volte col dolce nome di mamma; non mi rispondeva, ma quando sentiva dire «mamma», sorrideva; glielo ho ripetuto più volte, fino che ho potuto, e lei sempre sorrideva. Infine mi ha detto: « Gemma, vuoi venire a ripo­sarti un po’ sul mio seno? ». Ho fatto come per alzarmi, e in­ginocchiarmi e avvicinarmi a lei; lei pure si è alzata, mi ha ba­ciato nella fronte, e mi è sparita.

Sono di nuovo sola, ma sicura che la Mamma mia mi ama ancora, ma che è tanto offesa. Dopo tutte queste cose, mi sento, sì, sempre afflitta, ma assai più rassegnata.

Stasera, come avevo promesso a Gesù, sono andata da padre Vallini a confessarmi. Ma chi sa, dopo uscita di con­fessionario, mi sono sentita subito agitata e inquieta: era se­gno che il diavolo era vicino.

Purtroppo se era vicino! Ben me ne avvidi più tardi, quando mi misi a dire le mie preghiere. Già, come ho detto, internamente e anche esternamente ero tutta in tempesta; avrei preferito entrare nel letto e addormentarmi anziché pregare; ma no, volli provare. Incominciai a dire tre invoca­zioni, che sono solita ogni sera dire al Sacro Cuor di Maria; appena mi fui messa in ginocchio, il nemico, che già da qual­che ora stava nascosto, si fece vedere nella forma di un uomo piccino piccino; ma così brutto, che fui presa tutta da spa­vento.

La mia mente era tutta rivolta a Gesù e nulla mi curavo di lui; continuavo a pregare, ma tutto ad un tempo cominciò a darmi dei colpi nelle spalle e più giù ancora: me ne dette assai. + Sarò stata circa una mezz’ora in quella tempesta; mi sono bene avveduta però che la cosa che più gli dispiaccia a lui è il raccoglimento, che Gesù spesso spesso mi fa provare. Mi raccomandavo a Gesù, ma che! Intanto si avvicinava l’o­ra che dovevo obbedire, cioè di andare a letto; andarci in quel modo mi dispiaceva: non avevo ancora fatto l’esame di coscienza. Pregai il mio angelo custode, e mi aiutò davvero, in un modo devo dire al tutto curioso.

Appena mi si presentò, lo pregai tanto che non mi la­sciasse sola. Mi domandò che avessi; gli feci vedere il diavo­lo, che si era assai allontanato, ma mi minacciava sempre. Lo pregai che stasse con me tutta la notte, e lui mi diceva: « Ma io ho sonno ». « Ma no », gli ripetevo, « gli angeli di Gesù non dormono ». « Ma pure », soggiungeva, « devo riposarmi » (ma mi accorsi che faceva per ridere); « dove mi farai stare? ». Io volevo dirgli che lui si mettesse sul letto, e io stavo lì a pregare; ma allora avrei disobbedito. Gli dissi che stasse vicino a me; me lo promise.

Io andai a letto; dopo lui mi parve che allargasse le sue ali e mi venisse sopra il capo. Mi addormentai, e stamani pu­re era al solito suo posto di ieri sera. Io ce l’ho lasciato; quando sono tornata dalla messa, non ci era più.

Perchè pregare la coroncina alla Divina Misericordia?

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Lo dice Gesù a Santa Faustina Kowalska

20. Un venerdì dell’anno 1935. — Era sera. M’ero chiusa già nella mia cella. Vidi l’angelo esecutore dell’ira di Dio. Cominciai a supplicare Dio per il mondo con parole che udivo interiormente. Offrivo all’eterno Padre «Il corpo, il sangue, l’anima e la divinità del suo dilettissimo Figlio, in espiazione dei nostri peccati e di quelli di tutto il mondo». Chiedevo misericordia per tutti «in nome della sua dolorosa passione».
Il giorno seguente, entrando in cappella, udii dentro di me queste parole:«Ogni volta che entrerai in cappella, recita fin dalla soglia la preghiera che ieri ti ho insegnato». Recitata che ebbi la preghiera, ricevetti la seguente istruzione: «Questa preghiera serve a placare il mio sdegno, la reciterai sulla corona del rosario che usi di solito. Incomincerai con un Padre Nostro, pronuncerai questa preghiera: “Eterno Padre, ti offro il corpo, il sangue, l’anima e la divinità del tuo dilettissimo Figlio e nostro Signore Gesù Cristo in espiazione dei nostri peccati e di quelli di tutto il mondo”. Sui grani piccoli dell’Ave Maria, proseguirai dicendo per dieci volte consecutive: “Per la sua dolorosa passione, abbi misericordia di noi e del mondo intero”. Come conclusione, reciterai tre volte questa invocazione: “Santo Dio, Santo Forte, Santo Immortale, abbi misericordia di noi e del mondo intero”».

21. Promesse. — «Recita ogni giorno con costanza la coroncina che ti ho insegnato. Chiunque la reciterà, troverà grande misericordia nell’ora della morte. I sacerdoti la propongano a chi è nel peccato come una tavola di salvezza. Il peccatore fosse pure anche il più incallito, qualora reciti questa coroncina anche per una volta sola, avrà il soccorso della mia misericordia. Desidero che tutto il mondo la conosca. Concederò grazie che l’uomo nemmeno può capire a tutti quelli che confidano nella mia misericordia. Abbraccerò con la mia misericordia in vita, e ancor più nell’ora della morte, le anime che reciteranno questa coroncina».

22. La prima anima salvata. — Mi trovavo in sanatorio a Pradnik. In piena notte, venni svegliata all’improvviso. Compresi che un’anima si trovava nella necessità urgente che qualcuno pregasse per lei. Mi recai in corsia e vidi una persona già entrata in agonia. All’improvviso, udii interiormente questa voce:«Recita la coroncina che ti ho insegnato». Corsi a prendere il rosario e, in ginocchio accanto all’agonizzante, recitai la coroncina con tutto il fervore di cui ero capace. A un tratto, l’agonizzante aprì gli occhi e mi guardò. La mia coroncina non era ancora terminata e già quella persona era spirata con una singolare serenità dipinta sul volto. Avevo chiesto ardentemente al Signore di mantenere la promessa fattami a proposito della coroncina, ed egli mi fece conoscere che, in quell’occasione, l’aveva mantenuta. Fu la prima anima salvata grazie a questa promessa del Signore. Rientrata nella mia stanzetta, udii queste parole: «Nell’ora della morte, difenderò come mia gloria ogni anima che reciterà la coroncina. Se un’altra persona la reciterà presso un moribondo, otterrà per lui il medesimo perdono».
Quando si recita la coroncina al capezzale di un agonizzante, l’ira di Dio si placa e una misericordia a noi ignota avvolge l’anima, perché commuove profondamente l’Essere divino la rievocazione della passione dolorosa di suo Figlio.

23. Un grande aiuto per gli agonizzanti. — Vorrei che tutti comprendessero quanto è grande la misericordia del Signore, la quale è a tutti assolutamente necessaria, specialmente nell’ora decisiva della morte. La coroncina è un grande aiuto per gli agonizzanti. Prego spesso per le persone che mi vengono fatte conoscere interiormente e insisto nella preghiera finché non sento dentro di me d’avere ottenuto ciò che chiedo. Specialmente adesso, che mi trovo qui in questo ospedale, mi sento unita con i moribondi che, entrando in agonia, domandano la mia preghiera. Dio mi concede una singolare unione con chi è sul punto di morire. La mia preghiera non ha sempre la medesima lunghezza di tempo. In ogni caso, ho potuto assicurarmi che, se la spinta a pregare dura più a lungo, è segno che l’anima deve sostenere maggiori lotte per più tempo. Per le anime, le distanze non esistono. Mi succede di provare il medesimo fenomeno anche a distanza di centinaia di chilometri.

24. Un segno degli ultimi tempi. — Mentre recitavo la coroncina, udii improvvisamente questa voce: «Saranno grandi le grazie che concederò a coloro che pregheranno con questa coroncina. Scrivi che io voglio che l’intera umanità conosca la mia infinita misericordia. Questa richiesta è un segno degli ultimi tempi, dopo dei quali sopravverrà la mia giustizia. Finché c’è tempo, l’umanità ricorra alla fonte della mia misericordia, al sangue e all’acqua che per la salvezza di tutti è scaturito».

25. Vedendo la gloria del tuo nome, il mio cuore troverà la pace. — Dissi a Gesù: «Mi preme molto l’intera umanità e mi fa soffrire il fatto che non tutti ti conoscono e che quegli stessi che ti hanno conosciuto non ti corrispondono con l’amore che tu meriti. D’altra parte, vedo quanto terribilmente ti offendono i peccatori e vedo quanto siano oppressi e perseguitati i tuoi fedeli. Vedo inoltre molte anime che ciecamente si precipitano nel baratro spaventoso dell’inferno. Capisci, Gesù? Questo è il dolore che mi strazia e mi sconvolge. Io desidero che l’intera umanità ricorra fiduciosa alla tua misericordia. Solo allora, vedendo la gloria del tuo nome, il mio cuore troverà la pace». Il Signore mi rispose: «Figlia, gradisco il linguaggio del tuo cuore. Recitando la coroncina della mia misericordia, avvicinerai realmente a me il genere umano». Detto ciò, mi lasciò sola, e io compresi che nessun’anima tributa tanta gloria al suo creatore come quando si rivolge con fiducia alla divina misericordia.

26. Lo scopo della coroncina. — «Figlia mia, esorta le anime a recitare la coroncina che ti ho insegnato. Se lo faranno, io mi compiaccio d’accordar loro ciò che chiederanno. Se la reciteranno i più grandi peccatori, li colmerò di contrizione e di fiducia e farò in modo che il momento della loro morte sia sereno».
Sempre più mi rendo conto quanto ogni anima abbia bisogno della divina misericordia durante il corso di tutta la sua vita, ma specialmente nell’ora della morte. Lo scopo della coroncina è di placare la collera di Dio, come egli stesso mi fece sapere. Approfittiamo della misericordia, finché è tempo di misericordia.

27. La morte di un giovane uomo. — Questa sera vidi morire un uomo ancora giovane. La sua agonia fu straziante e prolungata. Incominciai per lui la coroncina. Giunta alla fine, l’agonia di quell’uomo continuava. Udii dentro di me: «Prosegui a recitare la coroncina». Tutto a un tratto, sperimentai la grande maestà di Dio e la sua giustizia. Tremavo di spavento per quel giovane, ma non cessavo di implorargli misericordia dal Signore. Mi tolsi dal petto la piccola croce consegnatami nel giorno in cui pronunciai i miei voti e la posai sul petto dell’agonizzante. Dicevo: «Gesù, guarda quest’anima con lo stesso amore con il quale guardasti me nel giorno dei miei voti religiosi e non dimenticare la promessa che facesti in favore di coloro che, mediante questa coroncina, invocheranno la tua misericordia sui morenti». Mentre pregavo in questo modo, il moribondo cessò di soffrire e spirò in pace. Non è mai il caso di stancarsi quando si prega per gli agonizzanti!

28. La siccità. — Il caldo era insopportabile da tempo. Desideravamo la pioggia inutilmente. Le piante assetate mi facevano pietà. Decisi di recitare la coroncina tanto a lungo, finché Dio non avesse fatto scendere la pioggia. Senza interruzione, ripetei quella preghiera per tre ore. Finalmente il cielo si coprì di nubi e la pioggia prese a cadere in abbondanza. Ricordai come il Signore avesse detto che, per mezzo di quella coroncina, si può ottenere tutto.

29. Il nubifragio. — Questa notte mi svegliò, con il suo fracasso, un nubifragio. Cadeva la pioggia, infuriava il vento, scoppiavano folgori in continuazione. Cominciai a pregare, chiedendo che l’uragano non facesse danni. Udii queste parole: «Recita la coroncina e passerà senza far danni». Recitai immediatamente la corona della misericordia e non feci nemmeno in tempo a terminarla, che l’uragano tutto a un tratto era cessato. Allora udii nuovamente quella voce: «Con questa coroncina, otterrai ogni cosa che non sia contraria al mio volere».

30. In una casa sconosciuta. — Oggi il Signore entrò nella mia stanza d’ospedale. Disse: «Ti porterò presso un peccatore agonizzante, e lì reciterai la coroncina. Devi ottenere per lui la fiducia nella mia misericordia, perché sta morendo disperato». Di colpo, mi trovai in un’abitazione sconosciuta. Un uomo attempato agonizzava e soffriva in modo atroce. La sua famiglia era nel pianto. Attorno a lui, scorsi demoni in grande numero. Avevo appena cominciato a pregare, quando essi si dispersero sibilando e lanciando minacce su di me. L’anima del morente si rasserenò. Riacquistò la pace e la fiducia. S’addormentò in Dio. Immediatamente, mi ritrovai nella mia stanza. Come possano avvenire queste cose, non lo so.

Orazione alla piaga della spalla di Nostro Signore Gesù Cristo

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Bernardo abate di Chiaravalle domandò nell’orazione a Nostro Signore quale fosse stato il maggior dolore sofferto nel corpo durante la Sua passione. Gli fu risposto: “Io ebbi una piaga sulla spalla, profonda tre dita, e tre ossa scoperte per portare la croce, questa piaga mi ha dato maggior pena e dolore di tutte le altre e dagli uomini non è conosciuta. Ma tu rivelala ai fedeli cristiani e sappi che qualunque grazia che mi chiederanno in virtù di questa piaga verrà loro concessa; ed a tutti quelli che per amore di Essa mi onoreranno con tre Pater, Ave e Gloria al giorno, perdonerò i peccati veniali, non ricorderò più i mortali e non morranno di morte subitanea,ed in punto di morte saranno visitati dalla Beata Vergine Maria e conseguiranno ancora la grazia e misericordia”.

 

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Orazione

Dilettissimo Signore Gesù Cristo, mansuetissimo Agnello di Dio, io povero peccatore, adoro e venero la Santissima Tua Piaga che ricevesti sulla spalla nel portare la pesantissima Croce al Calvario nella quale restarono scoperte tre sacralissime Ossa, tollerando in essa un immenso dolore: ti supplico in virtù e meriti di detta Piaga ad avere di me misericordia col perdonarmi tutti i miei peccati sia mortali che veniali e ad assistermi nell’ora della morte, e di condurmi nel Tuo Regno beato. Amen.

 

3 Padre nostro, Ave, Gloria

Forza venite gente

Forza venite gente che in piazza si va
un grande spettacolo c’é
Francesco al padre la roba ridà
“Rendimi tutti i soldi che hai”

Eccoli i tuoi soldi, tieni padre, sono tuoi,
eccoti la giubba di velluto, se la vuoi,
non mi serve nulla, con un saio me ne andrò
eccoti le scarpe, solo i piedi mi terrò
Butto via il passato, il nome che mi hai dato tu
nudo come un verme, non ti devo niente più.
Non avrà più casa, più famiglia non avrà
Ora avrò soltanto un padre che si chiama Dio

Forza venite gente che in piazza si va
un grande spettacolo c’é
Francesco al padre la roba ridà
“Rendimi tutti i soldi che hai”

“Figlio degenerato che sei!”
Non avrai più casa, più famiglia non avrai
non sai più chi eri, ma sai quello che sarai…
Figlio della strada, vagabondo, sono io
col destino in tasca ora il mondo é tutto mio
ora sarò un uomo, perchè libero sarò,
ora sono ricco, perché niente più vorrò,
Nella sua bisaccia pane e fame e poesia…
Fiori di speranza segneranno la mia via…
Forza venite gente, che in piazza si va
un grande spettacolo c’é,
Francesco ha scelto la sua libertà,
“Figlio degenerato che sei!”
“Figlio degenerato che sei!”

Saluto alle Virtù

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Ave, regina sapienza,
il Signore ti salvi con tua sorella,
la santa e pura semplicità.
Signora santa povertà,
il Signore ti salvi con tua sorella,
la santa umiltà.
Signora santa carità,
il Signore ti salvi con tua sorella,
la santa obbedienza.
Santissime virtù,
voi tutte salvi il Signore,
dal quale venite e procedete.

Non c’è assolutamente uomo nel mondo intero,
che possa avere una sola di voi,
se prima non muore [a se stesso].
Chi ne ha una e le altre non offende,
tutte le possiede,
chi anche una sola ne offende,
non ne possiede nessuna
e le offende tutte e ognuna
confonde i vizi e i peccati.

La santa sapienza
confonde Satana e tutte le sue insidie.
La pura santa semplicità
confonde ogni sapienza di questo mondo
e la sapienza della carne.

La santa povertà
confonde la cupidigia, l’avarizia
e le preoccupazioni del secolo presente.

La santa umiltà
confonde la superbia,
tutti gli uomini che sono nel mondo,
similmente tutte le cose che sono nel mondo.

La santa carità
confonde tutte le diaboliche
e carnali tentazioni e tutti i timori carnali.

La santa obbedienza
confonde tutte le volontà corporali e carnali
e ogni volontà propria,
e tiene il suo corpo mortificato
per l’obbedienza allo spirito
e per l’obbedienza al proprio fratello;
e allora l’uomo è suddito e sottomesso
a tutti gli uomini che sono nel mondo,
e non soltanto ai soli uomini,
ma anche a tutte le bestie e alle fiere,
così che possono fare di lui quello che vogliono,
per quanto sarà loro concesso
dall’alto dal Signore.

E saluto voi tutte, sante virtù,
che per grazia e illuminazione dello Spirito Santo
venite infuse nei cuori dei fedeli,
perché da infedeli fedeli a Dio li rendiate.

Il Santo della gioia – Francesco d’Assisi

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1182 – 1226

La Sua Vita

Francesco nasce ad Assisi nell’inverno del 1182 da Pietro di Bernardone e Madonna Pica, una delle famiglie più agiate della città.
Il padre commerciava in spezie e stoffe. La nascita di Francesco lo coglie lontano da Assisi, mentre era in Provenza, occupato nella sua professione. La madre scelse il nome di Giovanni, nome che fu subito cambiato in Francesco quando tornò il padre. La fanciullezza trascorse serenamente in famiglia e Francesco potè studiare il latino, il volgare, il provenzale e la musica; le sue note insieme alle sue poesie, furono sempre apprezzate nelle feste della città. Il padre desiderava avviarlo al più presto all’attività del commercio. Un giorno era intento nel fondaco paterno a riassettare la merce quando alla porta si presentò un mendicante che chiedeva elemosina in nome di Dio. Dapprima Francesco lo scacciò in malo modo, ma poi pentitosi lo seguì e raggiuntolo vi si intrattenne, scusandosi ed elargendogli dei denari.

All’età di vent’anni partecipò alla guerra tra Assisi e Perugia, e fu fatto prigioniero. La prigionia e gli stenti plasmarono l’animo del giovane e più il corpo si indeboliva, più cominciava a subentrare in lui il senso della carità e del bene verso gli altri.
Tornò a casa gravemente malato e solo le amorevoli cure della madre ed il tempo lo ristabilirono, ma la vita spensierata, che nel frattempo aveva riassunto, gli sembrò vuota.

Spinto da idee battagliere decise di seguire un condottiero nel sud Italia, ma giunto a Spoleto, ebbe un’apparizione del Signore, che gli ordinava di tornare indietro, fu questo l’inizio di una graduale conversione.

Durante una breve permanenza a Roma si spogliò dei suoi abiti e dei denari, più tardi in Assisi davanti ad un lebbroso non fuggì come facevano tutti, ma gli si avvicinò e lo baciò. Gli amici lo schernivano e deridevano, il padre manifestava apertamente la sua delusione, solo la madre lo confortava.

Francesco scelse il silenzio e la meditazione tra le campagne e le colline di Assisi, facendo spesso tappa nella Chiesetta di San Damiano nei pressi della città, e il crocifisso che era nella cappellina gli parlò: “Va, ripara la mia casa che cade in rovina”. Francesco vendette allora le stoffe della bottega paterna e portò i denari al sacerdote di San Damiano, ma l’ira di Pietro di Bernardone costrinse Francesco a nascondersi. La diatriba col padre fu risolta solo con l’intervento del Vescovo di Assisi, davanti al quale Francesco rinuncia a tutti i beni paterni.

Cominciò un periodo di spostamenti: di quel periodo è l’episodio del lupo di Gubbio, un animale che incuteva terrore e morte ammansito dalle parole del santo. Le gesta di Francesco non passarono inosservate e dopo qualche tempo, si affiancarono i primi seguaci: Bernardo da Quintavalle, Pietro Cattani, poco dopo Egidio e Filippo Longo.

Le prime esperienze con i compagni si ebbero nella piana di Assisi, nel Tugurio di Rivotorto e alla Porziuncola, tutti i compagni vestivano come Francesco di un saio e di stracci. La data ufficiale della nascita dell’Ordine dei Frati Minori è il 1210 quando Francesco ed i compagni vengono ricevuti dal papa Innocenzo III che verbalmente approva la Regola.

Il Papa, in sogno, ebbe la visione della Basilica Lateranense in rovina ed un uomo che la sorreggeva per evitarne la distruzione, quell’uomo era Francesco. Iniziano i contatti con Chiara d’Assisi e nasce così l’Ordine delle Povere Dame di San Damiano, chiamate Clarisse dopo la morte di Chiara.

Nel 1213 Francesco riceve dal Conte Orlando di Chiusi il Monte della Verna. Inizia la sua predicazione a più lungo raggio che lo spinge a recarsi in Marocco, ma una malattia lo ferma in Spagna.

Nel 1216 ottiene da Onorio III l’indulgenza della Porziuncola, Il Perdono di Assisi, la più importante della cristianità dopo quella di Terra Santa. Nel 1219 Francesco parte per Acri e Damietta al seguito della crociata e giunge in Egitto alla corte del sultano Melek el-Kamel, per poi raggiungere la Palestina. Nel frattempo l’Ordine ha i suoi primi martiri, uccisi in Marocco.

Nel 1220 Francesco torna ad Assisi dove i suoi ideali di povertà, di carità, di semplicità hanno fatto presa su molti, inizia così un nuovo ciclo di predicazioni in tutta Italia. A Fontecolombo, nei pressi di Rieti, redige una nuova Regola,approvata poi da Onorio III.

A Greccio, in dicembre, istituisce il Presepio, una tradizione cara alla cristianità. Nel 1224 sul Monte della Verna riceve le stimmate, il segno di Cristo e della santità. Francesco è stanco ed ammalato, il peregrinare per le predicazioni l’ha provato fuori misura, viene così curato a San Damiano, ospite di Chiara e delle Sorelle. Qui compone il “Cantico delle Creature” opera di alta religiosità e lirismo, che contiene tutti gli ideali dell’umiltà e della grandezza francescana. Sentendo prossima la fine terrena, Francesco si fa portare alla Porziuncola, in Santa Maria degli Angeli, dove muore al tramonto della giornata del 3 ottobre 1226.

Il 16 luglio di due anni dopo veniva dichiarato Santo dal papa Gregorio IX.

 

Diario di Santa Gemma Galgani

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20 luglio, Venerdì

Gesù le toglie la corona di spine e si trattiene amabilmente con lei, dicendole che tanto l’ama, perché a lui simile, che col tempo l’avrebbe fatta santa.

Ieri poi, alle 4 circa, mi venne un desiderio di unirmi un altro po’ con Gesù; mi provai e mi unii subito con Lui. Per dire il vero sentivo tanta ripugnanza, perché mi sentivo stanca, e senza forza; mi trovai di nuovo davanti a Gesù. Si mise accanto a me, ma non era più triste come la notte, era più allegro; mi accarezzò un po’, poi contento contento mi levò la corona dalla mia testa (un po’ soffrii anche allora, ma meno) e se la ripose sul suo capo, e non sentii più nessun male; ritornai anzi subito in forze, e stavo meglio allora che avanti di soffrire.

Gesù poi mi dimandò diverse cose; io pure gli dissi che non mi mandasse a confessare dal padre Vallini, ché non ci vado volentieri; Gesù allora si fece serio e un po’ arrabbiato mi disse che, subito che ne avessi bisogno, ci andassi. Glielo promisi e ci vado volentieri.

Avevo sempre tante cose da dire a Gesù e Lui sentivo che a poco per volta mi veniva a mancare; allora mi promise che più tardi, alle preghiere della sera, sarebbe tornato; ma allora era anche più contento: mi aprì il suo cuore, che vidi scritte due parole che non capivo. Glielo chiesi di saperle; mi rispose Gesù: «Io ti amo tanto, perché molto mi somigli». «In che cosa, o Gesù, – gli dissi – ché mi vedo tanto dissimile a te?». «Nell’essere umiliata», mi rispose .

Capii allora bene ogni cosa, mi tornò alla mente la mia vita passata. Un grosso difetto è stata sempre la mia passione, la superbia. Quando ero piccola, in ogni posto ove andavo, da tutti si sentiva dire che ero una gran superba. Ma Gesù, che mezzi ha usato per umiliarmi, specialmente in quest’anno! Infine ho capito chi sono veramente. Sia sempre ringraziato Gesù.

Mi aggiunse poi il mio Dio che col tempo Egli mi avrebbe fatta santa (qui non dico nulla perché è impossibile che accada di me, quel che disse Lui).
Mi dette alcuni avvertimenti da dare al Confessore e mi benedì. Capii, come sempre, che si allontanava per qualche giorno. Ma quanto è buono Gesù! appena si parte Lui, mi lascia l’Angelo Custode, che con la sua continua carità, vigilanza e pazienza mi assiste.

O Gesù, ti ho promesso che sempre obbedirò, e di nuovo lo affermo. Sia pure tutta la mia fantasia, sia pure lavoro del diavolo, in ogni modo voglio obbedire.

Diario di Santa Gemma Galgani

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Giovedì, 19 Luglio, 1900.

Le appare Gesù, che le pone in capo la corona di spine.

Stasera finalmente, dopo 6 giorni di patire per la lontananza di Gesù, mi sono un po’ raccolta. Mi sono messa a pregare, come sono solita ogni Giovedì; sarei voluta stare in ginocchio. ma l’obbedienza voleva che stassi nel letto, e così feci; mi misi a pensare alla Crocifissione di Gesù. Sul primo non sentivo nulla, dopo qualche minuto mi sentii un po’ di raccoglimento: Gesù era vicino. Al raccoglimento mi successe come altre volte: mi andò via il capo e mi trovai con Gesù, che soffriva pene terribili.

Come fare veder soffrire Gesù e non aiutarlo? Mi sentii allora tutta in un gran desiderio di patire, e chiesi a Gesù di farmi questa grazia. Mi contentò subito, e fece come aveva fatto altre volte: mi si avvicinò, si tolse dal suo capo la corona di spine e la posò sul mio, e poi mi lasciava stare.

Vedeva poi che io lo guardavo zitta zitta, capì subito un pensiero che in quel momento mi venne; pensai: Forse Gesù non mi ama più, perché è solito Gesù che, quando mi vuol fare conoscere che mi vuol bene, mi pigia bene bene quella corona sulla testa oppure dalle parti alla testa. Gesù capì e con le sue mani me la pigiò nelle tempie. Sono momenti dolorosi, ma momenti felici. E così mi trattenni un’ora a soffrire con Gesù. Avrei voluto starci sempre tutta la notte, ma siccome Gesù ama tanto l’obbedienza, Lui stesso si sottomise a obbedire al Confessore e dopo un’ora mi lasciò: voglio dire che Lui non si fece più vedere da me, ma accadde una cosa che non era mai successa. Gesù è solito, ogni volta che mi pone in capo la sua corona, quando mi lascia, me la leva e se la rimette sul suo capo; ieri invece me la lasciò fino alle 4 circa.

Per dire il vero soffrii un po’, ma pure mi riuscì di lamentarmi una sola volta. Gesù mi perdonerà se alle volte mi esce qualche lamento, perché è proprio involontario. Soffrivo poi tanto a ogni movimento che facevo: che poi era tutta mia fantasia .

L’Imitazione di Cristo

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Libro I
 
INCOMINCIANO LE ESORTAZIONI UTILI PER LA VITA DELLO SPIRITO

Capitolo I

L’IMITAZIONE DI CRISTO E IL DISPREZZO DI TUTTE LE VANITA’ DEL MONDO

  1. “Chi segue me non cammina nelle tenebre” (Gv 8,12), dice il Signore. Sono parole di Cristo, le quali ci esortano ad imitare la sua vita e la sua condotta, se vogliamo essere veramente illuminati e liberati da ogni cecità interiore. Dunque, la nostra massima preoccupazione sia quella di meditare sulla vita di Gesù Cristo. Già l’insegnamento di Cristo è eccellente, e supera quello di tutti i santi; e chi fosse forte nello spirito vi troverebbe una manna nascosta. Ma accade che molta gente trae un ben scarso desiderio del Vangelo dall’averlo anche più volte ascoltato, perché è priva del senso di Cristo. Invece, chi vuole comprendere pienamente e gustare le parole di Cristo deve fare in modo che tutta la sua vita si modelli su Cristo. Che ti serve saper discutere profondamente della Trinità, se non sei umile, e perciò alla Trinità tu dispiaci? Invero, non sono le profonde dissertazioni che fanno santo e giusto l’uomo; ma è la vita virtuosa che lo rende caro a Dio. Preferisco sentire nel cuore la compunzione che saperla definire. Senza l’amore per Dio e senza la sua grazia, a che ti gioverebbe una conoscenza esteriore di tutta la Bibbia e delle dottrine di tutti i filosofi? “Vanità delle vanità, tutto è vanità” (Qo 1,2), fuorché amare Dio e servire lui solo. Questa è la massima sapienza: tendere ai regni celesti, disprezzando questo mondo.

  2. Vanità è dunque ricercare le ricchezze, destinate a finire, e porre in esse le nostre speranze. Vanità è pure ambire agli onori e montare in alta condizione. Vanità è seguire desideri carnali e aspirare a cose, per le quali si debba poi essere gravemente puniti. Vanità è aspirare a vivere a lungo, e darsi poco pensiero di vivere bene. Vanità è occuparsi soltanto della vita presente e non guardare fin d’ora al futuro. Vanità è amare ciò che passa con tutta rapidità e non affrettarsi là, dove dura eterna gioia. Ricordati spesso di quel proverbio: “Non si sazia l’occhio di guardare, né mai l’orecchio è sazio di udire” (Qo 1,8). Fa’, dunque, che il tuo cuore sia distolto dall’amore delle cose visibili di quaggiù e che tu sia portato verso le cose di lassù, che non vediamo. Giacché chi va dietro ai propri sensi macchia la propria coscienza e perde la grazia di Dio.

Rosario a Santa Rita

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D) O Signore, vieni in mio aiuto.
R) Signore, affrettati ad aiutarmi.

 

I Mistero

Santa Rita, tu che godi
nel bel cielo il Sommo Bene,
vera amante delle pene
che soffrì per noi Gesù

1 – Padre nostro…

10 – Mentre Dio ne accorda vita
Diamo tutti laude a Rita
Sempre, sempre sia lodata
Rita in cielo coronata.

Gloria al Padre…

 

II Mistero

Imitasti il Nazareno perdonando l’uccisore,
ed i figli con ardore incitasti a perdonar.

1 – Padre nostro…

10 – Mentre Dio ne accorda vita ecc.

 

III Mistero

Resa vedova abbracciasti
Sacro Chiostro, in cui già regge
d’Agostin la dolce legge
per sacrarti al Sommo Ben.

1 – Padre nostro…

10 – Mentre Dio ne accorda vita ecc.

 

IV Mistero

Ed il corpo in quell’asilo
tu stringesti con catene,
con digiuni ed aspre pene
per amore di Gesù.

1 – Padre nostro…

10 – Mentre Dio ne accorda vita ecc.

 

V Mistero

Quella spina insanguinata
che trafigge la tua fronte
e per te celeste fonte
di conforto nel doloro

1 – Padre nostro…

10 – Mentre Dio ne accorda vita ecc.

 

 

Preghiera

Or che godi in ciel più bello
di Gesù l’amabil viso
volgi a noi il tuo sorriso
nella valle dei sospir,
finché spenta la scintilla
della vita nel dolor,
fisseremo la pupilla
nella luce del Signor.

D) Ci sia caro in questa vita
il tuo nome, o Santa Rita.
R) Tu nei casi disperati
sii conforto ai tribolati.

 

Orazione

O Dio, che a Santa Rita Ti degnasti infondere tanta grazia ad amare gli stessi nemici, e portare nel cuore e sulla fronte i segni della Tua carità e
passione; concedici, Ti preghiamo, per suo merito ed intercessione, di perdonare i nemici nostri e contemplare le sofferenze della Tua passione, in modo da ottenere il premio promesso ai miti ed a coloro che piangono. Amen.

La vita

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La vita è un’opportunità, coglila.
La vita è bellezza, ammirala.
La vita è beatitudine, assaporala.
La vita è un sogno, fanne una realtà.
La vita è una sfida, affrontala.
La vita è un dovere, compilo.
La vita è un gioco, giocalo.
La vita è preziosa, abbine cura.
La vita è una ricchezza, conservala.
La vita è amore, godine.
La vita è un mistero, scoprilo.
La vita è una promessa, adempila.
La vita è tristezza, superala.
La vita è un inno, cantalo.
La vita è una lotta, vivila.
La vita è una gioia, gustala.
La vita è una croce, abbracciala.
La vita è un’avventura, rischiala.
La vita è pace, costruiscila.
La vita è felicità, meritala.
La vita è vita, difendila.
* Madre Teresa di Calcutta

Sant’Antonio di Padova

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Fernando di Buglione nasce a Lisbona da nobile famiglia portoghese discendente dal crociato Goffredo di Buglione.
A quindici anni è novizio nel monastero di San Vincenzo a Lisbona, poi si trasferisce nel monastero di Santa Croce di Coimbra, il maggior centro culturale del Portogallo appartenente all’Ordine dei Canonici regolari di Sant’Agostino, dove studia scienze e teologia con ottimi maestri, preparandosi all’ordinazione sacerdotale che riceverà nel 1219, quando ha ventiquattro anni.

Quando sembrava dover percorrere la carriera del teologo e del filosofo, decide di lasciare l’ordine dei Canonici Regolari di Sant’Agostino. Fernando, infatti, non sopporta i maneggi politici tra i canonici regolari agostiniani e re Alfonso II, in cuor suo anela ad una vita religiosamente più severa.

Il suo desiderio si realizza allorché, nel 1220, giungono a Coimbra i corpi di cinque frati francescani decapitati in Marocco, dove si erano recati a predicare per ordine di Francesco d’Assisi.
Quando i frati del convento di monte Olivares arrivano per accogliere le spoglie dei martiri, Fernando confida loro la sua aspirazione di vivere nello spirito del Vangelo. Ottenuto il permesso dal provinciale francescano di Spagna e dal priore agostiniano, Fernando entra nel romitorio dei Minori e fa subito professione religiosa, mutando il nome in Antonio in onore dell’abate, eremita egiziano. Anelando al martirio, subito chiede ed ottiene di partire missionario in Marocco. È verso la fine del 1220 che s’imbarca su un veliero diretto in Africa, ma durante il viaggio è colpito da febbre malarica e costretto a letto. La malattia si protrae e in primavera i compagni lo convincono a rientrare in patria per curarsi.
Secondo altre versioni, Antonio non si fermò mai in Marocco: ammalatosi appena partito da Lisbona, la nave fu spinta da una tempesta direttamente a Messina, in Sicilia. Curato dai francescani della città, in due mesi guarisce.

A Pentecoste è invitato al Capitolo generale di Assisi, arriva con altri francescani a Santa Maria degli Angeli dove ha modo di ascoltare Francesco, ma non di conoscerlo personalmente. Il ministro provinciale dell’ordine per l’Italia settentrionale gli propone di trasferirsi a Montepaolo, presso Forlì, dove serve un sacerdote che dica la messa per i sei frati residenti nell’eremo composto da una chiesolina, qualche cella e un orto.

Per circa un anno e mezzo vive in contemplazione e penitenza, svolgendo per desiderio personale le mansioni più umili, finché deve scendere con i confratelli in città, per assistere nella chiesa di San Mercuriale all’ordinazione di nuovi sacerdoti dell’ordine e dove predica alla presenza di una vasta platea composta anche dai notabili. Ad Antonio è assegnato il ruolo di predicatore e insegnante dallo stesso Francesco, che gli scrive una lettera raccomandandogli, però, di non perdere lo spirito della santa orazione e della devozione.

Comincia a predicare nella Romagna, prosegue nell’Italia settentrionale, usa la sua parola per combattere l’eresia (è chiamato anche il martello degli eretici), catara in Italia e albigese in Francia, dove arriverà nel 1225. Tra il 1223 e quest’ultima data pone le basi della scuola teologica francescana, insegnando nel convento bolognese di Santa Maria della Pugliola. Quando è in Francia, tra il 1225 e il 1227, assume un incarico di governo come custode di Limoges. Mentre si trova in visita ad Arles, si racconta gli sia apparso Francesco che aveva appena ricevuto le stigmate. Come custode partecipa nel 1227 al Capitolo generale di Assisi dove il nuovo ministro dell’Ordine, Francesco nel frattempo è morto, è Giovanni Parenti, quel provinciale di Spagna che lo accolse anni prima fra i Minori e che lo nomina provinciale dell’Italia settentrionale.

Antonio apre nuove case, visita i conventi per conoscere personalmente tutti i frati, controlla le Clarisse e il Terz’ordine, va a Firenze, finché fissa la residenza a Padova e in due mesi scrive i Sermoni domenicali. A Padova ottiene la riforma del Codice statutario repubblicano grazie alla quale un debitore insolvente ma senza colpa, dopo aver ceduto tutti i beni non può essere anche incarcerato. Non solo, tiene testa ad Ezzelino da Romano, che era soprannominato il Feroce e che in un solo giorno fece massacrare undicimila padovani che gli erano ostili, perché liberi i capi guelfi incarcerati.

Intanto scrive i Sermoni per le feste dei Santi, i suoi temi preferiti sono i precetti della fede, della morale e della virtù, l’amore di Dio e la pietà verso i poveri, la preghiera e l’umiltà, la mortificazione e si scaglia contro l’orgoglio e la lussuria, l’avarizia e l’usura di cui è acerrimo nemico.

E’ mariologo, convinto assertore dell’assunzione della Vergine, su richiesta di papa Gregorio IX nel 1228 tiene le prediche della settimana di Quaresima e da questo papa è definito “arca del Testamento”. Si racconta che le prediche furono tenute davanti ad una folla cosmopolita e che ognuno lo sentì parlare nella propria lingua. Per tre anni viaggia senza risparmio, è stanco, soffre d’asma ed è gonfio per l’idropisia, torna a Padova e memorabili sono le sue prediche per la quaresima del 1231. Per riposarsi si ritira a Camposampiero, vicino Padova, dove il conte Tiso, che aveva regalato un eremo ai frati, gli fa allestire una stanzetta tra i rami di un grande albero di noce. Da qui Antonio predica, ma scende anche a confessare e la sera torna alla sua cella arborea. Una notte che si era recato a controllare come stesse Antonio, il conte Tiso è attirato da una grande luce che esce dal suo rifugio e assiste alla visita che Gesù Bambino fa al Santo.

A mezzogiorno del 13 giugno, era un venerdì, Antonio si sente mancare e prega i confratelli di portarlo a Padova, dove vuole morire. Caricato su un carro trainato da buoi, alla periferia della città le sue condizioni si aggravano al punto che si decide di ricoverarlo nel vicino convento dell’Arcella dove muore in serata. Si racconta che mentre stava per spirare ebbe la visione del Signore e che al momento della sua morte, nella città di Padova frotte di bambini presero a correre e a gridare che il Santo era morto.
Nei giorni seguenti la sua morte, si scatenano “guerre intestine” tra il convento dove era morto che voleva conservarne le spoglie e quello di Santa Maria Mater Domini, il suo convento, dove avrebbe voluto morire.

Durante la disputa si verificano persino disordini popolari, infine il padre provinciale decide che la salma sia portata a MaterDomini. Non appena il corpo giunge a destinazione iniziano i miracoli, alcuni documentati da testimoni.

Anche in vita Antonio aveva operato miracoli quali esorcismi, profezie, guarigioni, compreso il riattaccare una gamba, o un piede, recisa, fece ritrovare il cuore di un avaro in uno scrigno, ad una donna riattaccò i capelli che il marito geloso le aveva strappato, rese innocui cibi avvelenati, predicò ai pesci, costrinse una mula ad inginocchiarsi davanti all’Ostia, fu visto in più luoghi contemporaneamente, da qualcuno anche con Gesù Bambino in braccio. Poiché un marito accusava la moglie di adulterio, fece parlare il neonato “frutto del peccato” secondo l’uomo per testimoniare l’innocenza della donna. I suoi miracoli in vita e dopo la morte hanno ispirato molti artisti fra cui Tiziano e Donatello.
Antonio fu canonizzato l’anno seguente la sua morte dal papa Gregorio IX.
La grande Basilica a lui dedicata sorge vicino al convento di Santa Maria Mater Domini.

Trentadue anni dopo la sua morte, durante la traslazione delle sue spoglie, San Bonaventura da Bagnoregio trovò la lingua di Antonio incorrotta, ed è conservata nella cappella del Tesoro presso la basilica della città patavina di cui è patrono.

Nel 1946 Pio XII lo ha proclamato Dottore della Chiesa.

Preghiera composta da Santa Gemma Galgani

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Eccomi ai tuoi santissimi piedi, caro Gesù, per manifestarti in ogni momento la mia riconoscenza e la mia gratitudine per tanti e continui favori che mi hai fatto e che ancora vuoi farmi.
Quante volte ti ho invocato, o Gesù, mi hai fatta sempre contenta: ho ricorso spesso a te e m’hai sempre consolata.
Come esprimermi con te, caro Gesù? ti ringrazio.
Ma un’altra grazia voglio, o mio Dio, se a te piace … (esporre la grazia che si desidera).
Se tu non fossi onnipotente, non ti farei questa domanda.
O Gesù, abbi pietà di me! Sia fatto in tutto il tuo santissimo volere. Amen.
Padre, Ave, Gloria

“Passerò il mio Cielo a fare del bene sulla terra. Farò scendere una pioggia di rose”

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Novena delle rose

Padre Putigan il 3 dicembre 1925, cominciò una novena chiedendo una grazia importante. Per sapere se veniva esaudito, chiese un segno. Desiderava ricevere una rosa in dono quale garanzia di aver ottenuto la grazia. Non fece parola con nessuno della novena che stava facendo. Al terzo giorno, ricevette la rosa richiesta ed ottenne la grazia.

Cominciò un’altra novena. Ricevette un’altra rosa ed un’altra grazia. Allora prese la decisione di diffondere la novena “miracolosa” detta delle rose.

Oggi in tutto il mondo si pratica questa novena… La si può cominciare in qualsiasi giorno del mese. Di solito, i devoti ed amici di Teresa, la fanno dal 9 al 17 di ogni mese.

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Preghiera per la novena delle rose

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
O Dio, vieni a salvarmi.
Signore, vieni presto in mio aiuto.
Gloria al Padre, Credo.

Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, io vi ringrazio per tutti i favori e le grazie di cui avete arricchito l’anima della vostra serva Santa Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo, Dottore della Chiesa, durante i suoi ventiquattro anni trascorsi su questa terra e, per i meriti di questa vostra Santa Serva, concedetemi la grazia (qui si formula la grazia che si vuol ottenere), se è conforme alla vostra Santa volontà e per il bene della mia anima.

Aiutate la mia fede e la mia speranza, o Santa Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo; realizzate ancora una volta la vostra promessa di passare il vostro cielo a fare del bene sulla terra, permettendo che io riceva una rosa come segno della grazia che desidero ottenere.

Si recitano 24 “Gloria al Padre” in ringraziamento a Dio per i doni concessi a Teresa nei ventiquattro anni della sua vita terrena. Segue ad ogni “Gloria” l’invocazione: Santa Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo, prega per noi.

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Facciamo conoscere questa Santa, “la più grande dei tempi moderni”, propagando questa novena. Sicuramente Teresa ci aiuterà dal Cielo e ci otterrà quanto desideriamo.

Ripetere per nove giorni consecutivi.