Canterò in eterno la misericordia del Signore” (Sai 89,2), così prega il Salmista nel riconoscere l’azione di Dio nella sua vita quotidiana.
La misericordia di Dio, infatti, attraversa ogni avvenimento biblico, ogni persona di diversa età, razza, lingua. La misericordia si è realizzata anche attraverso coloro per i quali si sono realizzate le promesse di Dio nella loro vita e godono di quella beatitudine al banchetto celeste (cfr. Le 14,15).
Anche in santa Teresa di Lisieux, fin dalla sua infanzia e in particolare il giorno della sua prima Comunione (8/05/1884), esplose in lei il volto misericordioso di Dio, in una piena “fusione d’amore” (Ms A, 109).
Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo nasce il 2 gennaio 1873 ad Alengon e muore a Lisieux la sera del 30 settembre 1897.
Visse una vita molto semplice e nascosta nell’orizzonte dell’amore (cfr. Ms B, 254).
Beatificata (29/04/1923) e canonizzata (17/05/1925) da Pio XI, lo stesso Pontefice le conferirà il titolo di Patrona delle Missioni il 14 dicembre 1927.
San Giovanni Paolo II il 19 ottobre 1997 la proclamò Dottore della Chiesa.
Inoltre, la definì “esperta della scientia amoris”, cioè di una vita intrisa della misericordia di Dio.
Teresa è la donna che proviene dall’in-timo di Dio e scoprì quel’umano di Dio nelle piccole cose, anche insignificanti, presenti soprattutto nel suo intimo (cfr. 1 Pt 3,3-4), lasciandosi “rimpastare” dal Volto Santo da cui prese il nome.
Il sentire spirituale di Teresa affonda proprio nel Volto Santo che è infinita misericordia verso tutti.
Ne è rivelatore il primo quaderno il cui titolo è preso dall’incipit: “Storia primaverile di un fiorellino bianco” meglio conosciuto col nome di “storia di un’anima” testo che ispirerà alla santa l’Offerta di sé all’Amore Misericordioso (P, 9), fatta nella festa della Santissima Trinità il 9 giugno 1895, insieme alla sorella Celina, per “contemplare e adorare le altre perfezioni divine” (Ms A, 237).
Che cos’è quest’offerta che fa Teresa?
Non è altro che un’espressione teologica, dottrinale di ciò che lei chiama “infanzia spirituale”
Ella scopre questo cammino come “piccola via” che può essere intrapresa solamente da “chi si fa bambino” (cfr. Mt 19,14; Me 10,14; Le 18,16), cioè da quella capacità di abbandono, in quanto incapaci del proprio nulla, in Dio con fiducia, che è Padre e Madre (cfr. Pr 4,9; Is 66,12- 13; Sai 131,2).
Nell’ottica di questa spiritualità “si sperimenta che tutto viene da Dio, a Lui ritorna e in Lui dimora, per la salvezza di tutti, in un mistero di amore misericordioso” (San Giovanni Paolo II).
Teresa non fa altro che dipendere dal Padre, affida a Lui, che è nei cieli, ogni sua necessità umana in un completo abbandono fiducioso fino a farsi elevare, come un ascensore, alle somme cime della santità (cfr. Ms C, 271).
La “piccola via” è intensa relazione d’amore con il Buon Gesù ed esprime e svela in sintesi l’essenza stessa della vita cristiana, l’essenza misericordiosa del-l’amore del Padre che sempre ama e nutre i suoi figli: “Ti ho sempre amato e per questo continuerò a mostrarti il mio amore incrollabile” (TILC: Ger 31,3) un’essenza che ancora oggi va recuperata in quanto è essenza stessa della vocazione cristiana (cfr. Gv15,9; Gd1,21).
È la via dell’umiltà, indispensabile condizione principale per quanti, ancora oggi, desiderano entrare nel regno dei cieli, senza pretese, alla maniera dei piccoli.
Teresa compose l’offerta di sé “Sub tutela Dei” pensando “alle anime che si offrono come vittime alla Giustizia di Dio allo scopo di stornare e di attirare su di sé i castighi riservati ai colpevoli” (Ms A, 238), con il desiderio di immolarsi per la salvezza degli uomini.
Il suo “pensare alle anime” era un pensarle consumate dall’Amore Misericordioso, da un Padre che ama fino alla follia le sue creature, che arde d’amore senza consumarsi mai (cfr. Es 3,2-3).
Teresa visse ciò come missione di annunciare quest’amore ad ogni uomo, affinché tutti siano consumati da questo fuoco di misericordia.
Infatti, la verità centrale del Cristianesimo è l’Amore!
Amore immenso di Dio, che vuole effondersi su tutte le creature, per “rinnovarle” e trasformare la società: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso”! (Lc 12,49).
Nella poesia “Vivere d’amore” Teresa esprime le ragioni dell’amore che la conducono, come un esodo, anche a “morir d’amore”
Ella si lascia “rapire” completamente da Dio, senza porre alcun ostacolo all’effusione del suo amore infinito: “Vivere d’amore quaggiù è un darsi senza misura… è un navigare incessante, seminando nei cuori la gioia e la pace…
È un supplicarti, o Divino Maestro…
È un rasciugarti il Volto ed ottenere perdono ai peccatori: che rientrino nella tua grazia, o Dio di amore, e sempre benedicano il tuo nome” (CP, 9).
Il cuore della piccola santa era generoso d’amore e il suo slancio andava oltre l’orizzonte: “O mio Dio! esclamai in fondo al cuore, ci sarà solo la tua Giustizia a ricevere anime che si immolano come vittime?
Il tuo Amore Misericordioso non ne ha bisogno anche lui? …
O mio Gesù! che sia io questa felice vittima, consuma il tuo olocausto con il fuoco del tuo Amore Divino!” (Ms A, 238).
Ella come Gesù si fa vittima fattiva in ricordo del sacrificio dell’Antica Alleanza e scrive: “Mi pare che se voi trovaste anime che si offrissero come vittime di olocausto al vostro amore, voi le consumereste rapidamente, mi pare che sareste felice di non comprimere le onde d’infinita tenerezza che sono in voi” (Ms A, 238).
Teresa è la vittima d’amore perché possiede quella dimensione fondamentale fatta di piccolezza, profondità vuota, mani nude e vuote da riempire “fino all’orlo” dall’Amore.
Il suo essere “felice vittima” era vissuto con gioia in quanto non temeva di mostrarsi fragile e povera, di riconoscere le proprie miserie.
Lei stessa si definiva “piccola”, perché per seguire il Signore bisogna sentirsi fragili, deboli, poveri, perché solo così si può sperimentare la misericordia di Dio e diventare strumenti di amore nelle sue mani.
La “piccolezza” secondo il Vangelo, infatti, è il criterio e la misura del vero progresso spirituale (cfr. Mt 18,4).
La piccola santa comprese che la misericordia di Dio non può operare se noi non prendiamo coscienza della nostra miseria, se non accettiamo di entrare nella nostra povertà, se non ci rendiamo conto che spesso siamo chiusi in noi stessi.
Di questa piccolezza, Teresa rimase affascinata in tutto il suo splendore perché ha incontrato Dio ritrovando se stessa, con la sete di sempre, nuova di serenità, di sicurezza, di pace.
L’esperienza di Teresa ricorda che se l’uomo non è immerso nel mistero del Padre Misericordioso, non potrà mai capire e conoscere la propria dimensione umana; soltanto in quel Padre che lo ama fino al sacrificio estremo, l’uomo può ritrovare se stesso e guarire le ferite che lo hanno lacerato.
In questa dimensione della vita è importante la preghiera che si traduce in un nuovo cammino che conduce alla vetta del monte dell’Amore Misericordioso.
Salire questa vetta non comporta una serie di domande su “chi” e “come”, ma è un continuo lasciarsi condurre da Gesù in un totale abbandono.
Sarà l’Amore Infinito ad essere domanda e risposta col suo chinarsi sulla creatura per colmarla di “ogni dono perfetto” (cfr. Gc 1,17), egli deve solo abbandonarsi, non deve gestire la Misericordia di Dio, come spesso accade, ma lasciare che Dio sia Dio sul proprio nulla: riconoscerlo come unico fondamento e senso della propria vita: che “sia Lui la nostra santità”.