Archivio | luglio 2017

Le maledizioni esistono.

Impariamo a Benedire e non a maledire perchè le maledizioni, fatte anche in modo involontario, hanno degli effetti devastanti nella vita delle persone.
14 Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. 15 Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. 16 Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi.
17 Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini.18 Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti. 19 Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: A me la vendetta, sono io che ricambierò, dice il Signore. 20 Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, ammasserai carboni ardenti sopra il suo capo21 Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male. (Rm12,14-21).
Padre Matteo LA GRUA (esorcista) diceva:
Ci sono poi le maledizioni generazionali. […] Si sciolgono attraverso l’Eucaristia, le celebrazioni eucaristiche. Le Messe di guarigione genealogica sono Messe in suffragio delle anime degli antenati. Questo atto di carità verso i nostri antenati giova molto a noi e rientra nel mistero di solidarietà. Perché la celebrazione eucaristica ha una forza potente di scioglimento delle maledizioni, sia generazionali, sia locali, sia anche personali.
Comunque vi esorto a non maledire mai, papà e mamma; non maledite mai i figli, né i figli dei figli, perché queste maledizioni possono dare dei risultati negativi. Per cui abituatevi sempre a benedire i figli e mai a maledirli. Ed è anche importante non opprimere i poveri, non opprimere gli operai, perché questi possono maledire e  queste maledizioni potrebbero arrivare provocando  gravi conseguenze ai danni dell’azienda di cui fanno parte. (Angela Musolesi, Presidente degli esorcisti, Ed. Carismatici Francescani, Ravenna 2009, pp. 117 e 118).
Padre Francesco Bamonte (esorcista) aggiunge:
L’eredità medianica: Come c’è tra i fedeli una comunione alle cose sante, ai beni spirituali e una comunicazione del bene gli uni agli altri, allo stesso modo ci sarebbe una partecipazione, quasi una ripercussione, dei danni spirituali degli uni agli altri, particolarmente di quelli a cui eravamo legati più strettamente nel nostro albero genealogico, come genitori, nonni, bisnonni, zii, ecc.; per cui, anche se non siamo responsabili dei loro peccati, è bene chiedere perdono a Dio, oltre che dei nostri, anche dei loro peccati, e pregare perché essi e noi abbiamo “pace in Dio” e perché ogni influsso negativo del passato che permane nel presente sia annullato, dal momento che i peccati del passato permangono come tentazione nell’oggi. […] Al termine di queste considerazioni possiamo tentare di dare una risposta alla domanda di come mai qualcuno possa trovarsi con qualche forma di facoltà medianiche innate: potrebbe essere la stessa cosa di una malattia genetica che uno si ritrova dalla nascita senza averla voluta, potrebbe averla ereditata inconsapevolmente da qualche membro della famiglia defunto, il quale ha esercitato volontariamente pratiche occulte o spiritismo. La differenza sta nel fatto che diversamente dalle malattie genetiche ereditate, le facoltà medianiche ereditate (ma anche quelle indotte da familiari non defunti) possono essere rifiutate. In che modo? Innanzitutto sforzandosi di non assecondarle, e poi con frequenti rinunce allo spirito di medianità. (Francesco Bamonte, I danni dello spiritismo, Ed. Àncora, Milano 2003, pp. 114 – 115).
Padre Gabriele Amorth (esorcista) alla domanda “Se una donna maledice i propri figli, nipoti e tutte le persone a loro care, che bisogna fare?” rispondeva:
Oh, sono tremende le maledizioni dei genitori sui figli quando sono fatte con vera perfidia satanica come, aggiungo subito, sono efficacissime le benedizioni dei genitori sui figli, efficacissime. Che cosa si deve fare? Uno resta maleficiato, il maleficio c’è e allora deve usare tutti quei mezzi che possono tentare di liberarlo, preghiera, opere buone, esorcismi, e molte volte la maledizione dei genitori sui figli è così forte che gli esorcismi possono dare un po’ di sollievo, ma non arrivano a liberare dal male di quella maledizione.
Un fatto accaduto a Padre Candido..: “Un papà e una mamma che erano contadini, avevano una figliola ed erano riusciti a farla laureare. Per loro contadini avere una figlia che si era laureata era come toccare il cielo con un dito. Quando si sono accorti che questa figlia laureata si era innamorata di un operaio, non ne volevano sapere, la figlia laureata doveva sposare un laureato ed hanno combattuto con tutte le forze questo fidanzamento. Quando hanno visto che non ci riuscivano perché i due erano veramente innamorati, hanno fatto finta di cedere, di dar ragione alla figlia. Nel giorno del matrimonio, durante il pranzo, il padre con un sorriso chiama la figlia: “Vieni che ti debbo parlare, vieni che ti debbo dire qualcosa in privato e in una stanza vicino alla grande sala del banchetto, le dice: “Sii tu maledetta, sia maledetto tuo marito, siano maledetti i tuoi figli, sia maledetto il tuo lavoro”, proprio voi vedete una maledizione diabolica, studiata nei minimi particolari, studiata nelle parole da dire, studiata nel momento prescelto per dare questa maledizione. 
Padre Candido mi diceva, che ha seguito a lungo questi coniugi, e per quanto pregassero e per quanto lui li esorcizzasse non riusciva a cavarci niente. Era una maledizione così forte che poteva diventare per loro un mezzo di santificazione offrendo le sofferenze al Signore, ma questa maledizione non si è mai più cancellata. Ecco allora l’importanza di tre parole che adesso scrivo a tutti e ripeto con tutti: amare, perdonare, benedire. Questo deve essere la base del nostro comportamento con tutti. 
Amare! Dio ci ama tutti, amare tutti, perdonare! Notate eh, io lo dico sempre ai fidanzati e anche agli sposi, non è possibile che due vivano insieme e che non ci siano dei motivi di disaccordo, ci sono sicuramente. L’amore si mantiene se c’è il perdono, se non c’è il perdono, l’amore un po’ per volta si perde, e questo vale per qualsiasi amore, l’amore di famiglia, l’amore di amicizia, l’amore con gli amici, amare e perdonare e sempre benedire! Mai maledire; oltre a questo, ho toccato con mano e volevo portare degli esempi come le benedizioni annullano le maledizioni. Una persona ti maledice tu rispondi: Signore benedicila, io la benedico, benedicila anche Tu e la maledizione non ha più nessun effetto su di te. Naturalmente maledizioni piccole, non maledizioni diaboliche come quella che vi ho detto prima. Sia lodato Gesù Cristo!

PREGHIERA

O Dio Padre di Misericordia, per intercessione dell’Immacolato Cuore di Maria Santissima, ti preghiamo di liberarci da tutti i mali causati dai nostri antenati che partecipavano all’occultismo, allo spiritismo, alla stregoneria, alle sette sataniche.

Tronca il potere del maligno che per colpa loro, ancora pesa sulle nostre generazioni. Spezza la catena di maledizioni e malefici, opere sataniche che gravano sulla nostra famiglia. Liberaci dai patti satanici, dai legami fisici e mentali con i seguaci di satana e il peccato. Tienici sempre lontano da ogni attività e  da ogni persona con cui Satana può continuare ad esercitare un dominio su di noi e sui nostri figli.

Prendi sotto il tuo potere qualsiasi area che sia stata consegnata a Satana dai nostri antenati. Allontana per sempre lo spirito cattivo, ripara ogni suo danno, salvaci da ogni sua nuova insidia.

Te lo chiediamo o Dio, nel nome e per i dolori, il Sangue e i meriti delle Santissime Piaghe di Nostro Signore Gesù Cristo tuo Figlio, che morendo sulla Croce ha vinto Satana e le sue opere per sempre. Amen!

Gli errori che si commettono nel pregare il Rosario

 

Dopo aver invocato lo Spirito Santo per recitare bene il Rosario, mettiti un momento in presenza di Dio e offri le decine, come vedrai più avanti.


Prima di cominciare la decina, fermati un momento, più o meno secondo il tempo disponibile, a considerare il mistero che stai celebrando e chiedi sempre, per tale mistero e per l’intercessione della Vergine santa, una delle virtù che più risaltano nel mistero o della quale hai maggior bisogno.
Fai attenzione soprattutto a due errori ordinari che fanno quasi tutti quelli che dicono il Rosario.


Il primo è di non formulare nessuna intenzione dicendo il Rosario, di modo che se chiedi loro perché lo recitano, non sanno che rispondere. Perciò abbi sempre di mira qualche grazia da chiedere, qualche virtù da imitare o qualche peccato da eliminare.


Il secondo errore che si commette ordinariamente recitando il santo Rosario è di non avere altra intenzione, cominciandolo, che di finirlo al più presto. Questo deriva dal fatto che si vede il Rosario come una cosa onerosa, che pesa forte sulle spalle finché non lo si è detto, soprattutto se uno se ne è fatto un obbligo di coscienza o quando lo si è ricevuto come penitenza.
Fa pena vedere come i più recitano il Rosario. Lo dicono con una precipitazione incredibile, perfino ne mangiano le parole. Non si vorrebbe fare un complimento in questo modo ridicolo all’ultimo degli uomini, e si crede che Gesù e Maria ne saranno onorati!
E allora, perché meravigliarsi se le più sante preghiere della religione cristiana restano quasi senza frutto e se, dopo aver recitato mille o diecimila Rosari, non si è più santi?


Frena, caro confratello del Rosario, la tua precipitazione naturale nel dire il Rosario.

Fai qualche pausa a metà del Padre nostro e dell’Ave Maria e una più breve dopo le parole che qui contrassegno con una crocetta.
Padre nostro, che se nei cieli, +
sia santificato il tuo nome, +
venga il tuo regno, +
sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano, +
e rimetti a noi i nostri debiti +
come noi li rimettiamo ai nostri debitori, +
e non ci indurre in tentazione, +
ma liberaci dal male. Amen.


Ave, Maria, piena di grazia, +
il Signore è con te. +
Tu sei benedetta fra le donne, +
e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù.
Santa Maria, Madre di Dio, +
prega per noi peccatori, +
adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.


Dapprima farai fatica a fare queste pause, per la cattiva abitudine che hai di pregare in fretta; ma una decina detta così con calma ti sarà più meritoria di migliaia di Rosari recitati in fretta, senza riflettere e senza sostare.


«Il beato Alano de la Roche e altri autori, fra i quali il Bellarmino, raccontano che un buon sacerdote consigliò a tre sue penitenti, che erano sorelle, di recitare tutti i giorni devotamente il Rosario per un anno intero, al fine di confezionare un bel vestito di gloria alla Vergine Maria. Si tratta — egli diceva — di un segreto ricevuto dal cielo. Tutte e tre lo dissero per un anno. Il giorno della Purificazione, verso sera, quando esse erano già a letto, la Madonna, accompagnata da santa Caterina e da santa Agnese, entrò nella loro camera. Indossava un abito splendente di luce, sul quale era scritto da ogni lato in lettere d’oro: “Ave Maria gratia plena”. La Regina del cielo si avvicinò al letto della sorella maggiore e le disse: “Ti saluto, figlia mia, che mi hai salutato così spesso e così bene. Vengo a ringraziarti del magnifico abito che mi hai confezionato”.
Anche le due sante vergini accompagnatrici la ringraziarono, poi tutte e tre scomparvero.
Un’ora dopo la Santa Vergine, con le sue due compagne, venne ancora nella camera, vestita di un abito verde, ma senza oro e senza luce, si avvicinò al letto della seconda sorella e la ringraziò per l’abito che le aveva fatto dicendo il Rosario. Ma siccome questa seconda sorella aveva visto la Madonna apparire a sua sorella maggiore con molto più splendore, ella ne chiese il motivo. “Perché — le rispose Maria — lei mi ha fatto un abito più bello, recitando il Rosario meglio di te”.
Circa un’ora dopo, la Madonna apparve una terza volta alla più giovane delle sorelle, vestita di uno straccio sporco e strappato e le disse: “O figlia, tu mi hai vestita così, ti ringrazio”.
La giovinetta, piena di confusione, esclamò: “Possibile, Signora mia? Io vi ho vestita così male, ve ne domando perdono. Concedetemi del tempo per fare un abito più bello, recitando meglio il Rosario”. Cessata la visione, la sorella più giovane molto afflitta raccontò al confessore tutto ciò che era accaduto. Il sacerdote esortò lei e le altre sorelle a recitare il Rosario per un altro anno con più perfezione che mai, così fecero. Alla fine dell’anno, sempre nel giorno della Purificazione, la Madonna, accompagnata ancora da santa Caterina e da santa Agnese che portavano delle corone, vestita con un abito meraviglioso, apparve loro e disse: “Siate certe, figlie mie, del paradiso, vi entrerete domani con grande gioia”. A ciò tutte e tre risposero: “Il nostro cuore è pronto, nostra cara Signora, il nostro cuore è pronto”. La visione disparve. Quella stessa notte si sentirono male, mandarono a chiamare il loro confessore, ricevettero gli ultimi sacramenti e lo ringraziarono di aver insegnato loro quella santa pratica. Dopo compieta la Madonna apparve loro ancora, accompagnata da un gran numero di vergini, fece rivestire le tre sorelle con abiti bianchi, dopo di che esse si avviarono verso la celeste patria mentre gli angeli cantavano: “Venite, spose di Cristo, ricevete le corone che vi sono preparate nell’eternità”» (J. A. Coppestein, Beati F. Alani redivivi tractatus mirabilis, c. 70).


Impara diverse verità da questa storia:

1º quanto è importante avere buoni direttori che consigliano sante pratiche di pietà e specialmente il santo Rosario;

2º quanto è importante recitare il Rosario con attenzione e devozione;

3º quanto è benigna e misericordiosa la Madonna con chi si pente del passato e propone di far meglio;

4º quanto ella è generosa nel ricompensare in vita, in morte e nell’eternità, i piccoli servizi che a lei rendiamo fedelmente.

 

Diario di Santa Gemma Galgani

 

10 Agosto, Venerdì

Gesù la ricolma di consolazioni. In presenza della Signora Cecilia l’Angelo Custode le si fa sempre vedere e la dirige in ogni cosa; le dice che nessuno, all’infuori della Signora Cecilia, sa far con lei le sue veci.

Mi disse la sera avanti l’Angelo Custode che mi avrebbe fatto tenere le spine nel capo fino alle 5 del Venerdì: fu vero, poiché verso quell’ora cominciai un po’ a raccogliermi; mi nascosi in Chiesa dei Francescani e lì Gesù me la venne di nuovo a togliere; fui sempre sola. Quanto mi mostrò di volermi bene! Mi animò di nuovo a soffrire e mi lasciò in un mare di consolazione.

Bisogna però che dica che tante volte, ma in particolare il Giovedì sera, mi prende tanta una tristezza tale, al pensiero di aver commessi tanti peccati, tutti mi ritornano alla mente, che mi vergogno di me stessa, e mi affligge tanto tanto. Ieri sera pure, poche ore prima, mi venne questa vergogna, questo dispiacere, e trovo solo un po’ di quiete in quel po’ di patire che Gesù mi manda, offrendolo prima per i peccatori, e in particolare per me, e poi per le anime del Purgatorio.

Quante consolazioni che mi dà Gesù! In quanti modi mi mostra di volermi bene! Son già tutte cose della mia testa; ma se obbedisco, Gesù non permetterà che mi abbia ad ingannare. Giovedì sera mi promise che in questi giorni che la Signora Cecilia non c’era, non mi avrebbe mai fatta lasciare dall’Angelo Custode. Me lo dette ieri sera, e non mi ha più lasciato un momento.

Questa cosa l’ho osservata parecchie volte, e non ne ho parlato neppure col Confessore, ma oggi glielo dico subito. Se sono con altre persone, l’Angelo Custode non mi lascia mai; quando sono con Lei invece, subito mi lascia (voglio dire che non mi si fa più vedere, se non che per darmi qualche avvertimento); così pure è accaduto oggi: non mai un minuto si è partito d’accanto a me; se devo parlare, pregare, fare qualche cosa, me l’accenna Lui. Gesù voglia che non mi abbia ad ingannare.
Questa cosa mi meraviglia assai, e mi ha costrinta a dimandargli: «In che maniera , quando c’è con me la Sig.ra Cecilia, non ci stai mai?». Mi ha risposto così: «Nessuna persona, al di fuori di Lei, sa fare le mie veci. Povera bambina, – soggiungeva – sei così piccina, che ti abbisona sempre la guida! Ora te la farò io, non temere; ma obbedisci, ve’, perché faccio presto…».
Sono andata a confessarmi; ho detto la cosa al Confessore (glielo avevo [anche] scritto); mi ha spiegato ogni cosa, ciò che io non capivo, ma ora ho capito tutto.

I miracoli di Padre Pio

La signora Cleonice – figlia spirituale di Padre Pio raccontava: – “Durante l’ultima guerra mio nipote fu fatto prigioniero. Non ricevemmo notizie per un anno. Tutti lo credevano morto. I genitori impazzivano dal dolore. Un giorno la madre si butto ai piedi di Padre Pio che stava in confessionale – ditemi se mio figlio è vivo. Io non mi tolgo dai vostri piedi se non me lo dite. – Padre Pio si commosse e con le lacrime che gli rigavano il volto disse – “Alzati e vai tranquilla”. Alcuni giorni dopo, il mio cuore, non potendo sopportare il pianto accorato dei genitori, mi decisi di chiedere al Padre un miracolo, piena di fede gli dissi: – “Padre io scrivo una lettera a mio nipote Giovannino, con il solo nome, non sapendo dove indirizzarla. Voi e il vostro Angelo Custode portatela dove egli si trova. Padre Pio non rispose, scrissi la lettera e la poggiai, la sera, prima di andare a letto, sul comodino. La mattina dopo con mia grande sorpresa, stupore e quasi paura, vidi che la lettera non c’era più. Andai commossa a ringraziare il Padre che mi disse – “Ringrazia la Vergine”. Dopo una quindicina di giorni in famiglia si piangeva di gioia, si ringraziava Dio e Padre Pio: era arrivata la lettera di risposta alla mia missiva da colui che si riteneva morto.

San Massimiliano Kolbe

Oggi siamo di fronte a un volto luminoso, davanti al quale tutti, anche i non credenti, si inchinano volentieri e di cui tutti parlano con venerazione; S. Massimiliano Kolbe. Il fatto che egli abbia offerto la sua vita ad Auschwitz, riscattando con la sua carità e il suo martirio la dignità dell’uomo oppresso, basta ad attirargli tutte le simpatie.

Ma noi vogliamo piuttosto imparare a comprendere quel suo gesto così decisivo sullo sfondo di tutta la sua esistenza: la sua vocazione, gli ideali coltivati, l’infaticabile operosità, la ” ostinata ” missionarietà, perfino ciò che a qualcuno potrebbe sembrare ” eccessivamente integrista “, e che esprime invece la integralità della sua fede. Per non correre il rischio di staccare artificialmente la sua morte dalla sua vita.

P. Massimiliano Kolbe fu figlio del suo tempo e della sua terra: nacque nel 1894 in un paesino polacco, da genitori che gestivano un piccolo laboratorio di tessitura. Morì a 47 anni, nel 1941 ad Auschwitz. Entrò nel seminario dei francescani conventuali nel 1907, a tredici anni; novizio a 16 anni (1910).

Dal 1912 al 1919 studia filosofia e teologia a Roma. Laurea in filosofia nel 1915 e laurea in teologia nel 1919. Si interessa di fisica e di matematica e giunge fino a progettare nuovi tipi di aerei ed altre apparecchiature.

A Roma assiste a una processione di anticlericali-massoni che vanno a celebrare Giordano Bruno inalberando uno stendardo nero su cui Lucifero schiaccia S. Michele Arcangelo. In piazza S. Pietro vengono distribuiti volantini in cui si dice che ” Satana deve regnare in Vaticano e il Papa dovrà fargli da servo “.

Il giovane Massimiliano ha una concezione cavalleresca della vita, al modo degli antichi cavalieri medioevali: ma la sua dama è la Madonna.

Si convince che è iniziata ” l’Era dell’immacolata ” quella in cui Maria dovrà, come dice la Genesi, schiacciare la testa del serpente

Scrive:
“Bisogna seminare questa verità nel cuore di tutti gli uomini che vivono e vivranno fino alla fine dei tempi e curarne l’incremento ed i frutti di santificazione; bisogna introdurre l’Immacolata nei cuori de gli uomini affinché Ella innalzi in essi il trono del Figlio suo e li trascini alla conoscenza di Lui e li infiammi d’amore verso il Sacratissimo Cuore di Gesù “.

 Da parte sua ha una devozione totale e gentile: chiama la Madonna con i nomi più teneri e familiari, come solo i polacchi sanno fare, profondamente convinto che i cristiani devono diventare ” cavalieri dell’Immacolata “, e fonda una associazione. È la ” Milizia dell’immacolata ” di cui abbiamo gli statuti autografi. Le prime parole che riguardano il fine dell’associazione sono queste:

” Cercare la conversione dei peccatori, degli eretici, degli scismatici, dei giudei ecc. e soprattutto dei massoni (parola sottolineata due volte); e soprattutto la santificazione di tutti sotto il Patrocinio e con la mediazione della Beata Maria Vergine “.

Accennavo all’accusa di integrismo che oggi P. Kolbe si tirerebbe addosso da parte di molti cristiani benpensanti e schifiltosi. Infatti la Milizia dell’immacolata non ha affatto un programma spiritualistico, non descrive tanto una ” opzione religiosa ” ma una scelta globale.

Eccola:

” Con l’aiuto di Dio dobbiamo fare in modo che i fedeli Cavalieri dell’immacolata si trovino dappertutto, ma specialmente nei posti più importanti come:

a) l’educazione della gioventù (professori di istituti scientifici, maestri, società sportive);

b) la direzione dell’opinione delle masse (riviste, quotidiani, la loro direzione e diffusione, biblioteche pubbliche, biblioteche circolanti, conferenze, proiezioni cinematografiche);

c) le belle arti: scultura, pittura, musica, teatro.

I militi dell’immacolata divengano in ogni campo i primi pionieri e guide nelle scienze (scienze naturali, storia, letteratura, medicina, diritto, scienze esatte ecc.).

Sotto il nostro influsso e sotto la protezione dell’Immacolata sorgano, si sviluppino i complessi industriali, commerciali, le banche.

In una parola la Milizia impregni tutto e in uno spirito sano guarisca, rafforzi e sviluppi ogni cosa alla maggior gloria di Dio, per mezzo dell’immacolata e per il bene della comunità “.

 

La realizzazione di questo progetto? Semplicemente incredibile per le possibilità di un uomo.

Nel 1927 inizia a costruire dal nulla un’intera città a circa 40 km da Varsavia. Lui ne parla come di una futura seconda Varsavia. Chiama la città ” Niepokalanow “: città dell’immacolata.

In pochi anni ecco descritta la prima realizzazione:

” Una vasta area libera per la costruzione di una grande basilica dell’immacolata,..

Un complesso-editoria (che comprendeva): la redazione, la biblioteca, la tipoteca, il laboratorio dei linotipisti, la zincografia con i gabinetti fotografici, le tipografie…, ed ancora i vari reparti della legatoria, dei depositi e delle spedizioni.

L’ala sinistra… comprendeva, in fabbricati distinti, la cappella, l’abitazione dei religiosi, il postulandato, il noviziato, la direzione generale, l’infermeria e, alquanto distanziata, la grande centrale elettrica. E poi, sparsi un po’ dovunque, le officine dei fabbri e dei meccanici, i laboratori per i falegnami, per i calzolai, per i sarti, nonché le grandi rimesse per i muratori e il corpo dei pompieri.

Ma non è ancora finito: c’erano il parco macchine, la piccola stazione ferroviaria con il binario di raccordo con quella pubblica e statale; previsto anche l’aeroporto con quattro velivoli e un progetto di stazione radio trasmittente.

Dovunque grossi tronchi d’albero, depositi di legname, tubi e materiale edilizio di vario genere “.

 

La capacità di Massimiliano Kolbe di trascinare gli altri dietro questo suo ideale cavalleresco è data da queste cifre: dopo una decina di anni o poco più a Niepokalanow vivono 762 religiosi: 13 sacerdoti, 18 chierici, 527 religiosi conversi, 122 giovani aspiranti sacerdoti, 82 giovani aspiranti religiosi conversi.

Quando Massimiliano Kolbe, tornando sacerdote da Roma, aveva rimesso piede in Polonia la Provincia francescana contava poco più di un centinaio di religiosi. I religiosi di Niepokalanow devono essere poverissimi ma avere a disposizione quanto di meglio c’è sul mercato: dall’aereo alle rotative ultimo modello.

I frati di Massimiliano sono capaci di tutto: dall’organizzare il corpo dei pompieri a prendere il brevetto di pilota, a studiare per diventare direttore d’orchestra in modo da poter curare personalmente la registrazione di dischi, a imparare i sistemi di regia cinematografica.

P. Massimiliano Kolbe che fonda, e dirige per i primi anni, questa enorme comunità, e ne resta sempre l’animatore, è descritto così:

” Era tenace, ostinato, implacabile… Era un calcolatore nato: calcolava e raffrontava senza posa, valutava, fissava, combinava bilanci e preventivi. Se ne intendeva di tutto: di motori, di biciclette, di linotype, di radio; conosceva quello che costava poco e quello che costava molto; sapeva dove, come e quando era opportuno comperare… Non c’era sistema di comunicazione troppo veloce per lui, il veicolo del missionario, diceva spesso, dovrebbe essere l’aereo ultimissimo modello “.

La vita dell’intera comunità, invece, da P. Massimiliano Kolbe è descritta e spiegata con queste parole:

” La nostra comunità ha un tono di vita un pochino eroico, quale è e deve essere Niepokalanow se veramente vuole conseguire lo scopo che si prefigge, vale a dire non solo di difendere la fede, di contribuire alla salvezza delle anime, ma con ardito attacco, non badando affatto a se stessi, conquistare all’immacolata un anima dopo l’altra, un avamposto dopo l’altro, inalberare il suo vessillo sulle case editoriali dei quotidiani, sulla stampa periodica e non periodica, sulle agenzie di stampa, sulle antenne radiofoniche, sugli istituti artistici e letterari, sui teatri, sulle sale cinematografiche, sui parlamenti, sui senati, in una parola dappertutto sulla terra; inoltre vigilare affinché nessuno mai riesca a rimuovere quei vessilli.

Allora cadrà ogni forma di socialismo, di comunismo, di eresie, gli ateismi, la massoneria e tutte le altre simili stupidaggini che provengono dal peccato… Così io mi immagino Niepokalanow “.

 

In questa nuova ” città ” sì stampano otto riviste per parecchie centinaia di migliaia di copie. (La maggiore tra esse, ” Il cavaliere dell’Immacolata “, tocca in quegli anni il milione di copie. P. Massimiliano prevede traduzioni in italiano, inglese, francese, spagnolo e latino).

Lui vi abiterà pochissimi anni. Già nel 1930 è in Giappone dove

fonda dal nulla una città analoga e la chiama ” Il giardino dell’immacolata “.

Un autore che è critico verso l’opera di Kolbe scrive:

” Mirava né più ne meno che a conquistare il mondo. Per questo andò a convertire i ‘pagani’ in Giappone; per questo ampliava incessantemente le sue editrici, fondava monasteri, sognava piani per estendere a tutto il mondo la Cavalleria dell’immacolata.

Tutte queste opere, concepite su scala gigantesca, le creò quasi dal nulla. Senza un soldo in tasca, questuando incessantemente col proverbiale saio rappezzato. Era un fenomeno di energia e di talento organizzativo. Intraprendeva ogni iniziativa letteralmente con le proprie mani. Mescolava la calce e portava i mattoni nel cantiere, lavorava alla cassa di composizione in tipografia. A Nagasaki intraprese l’edizione della versione locale de ‘Il Cavaliere dell’Immacolata’ senza sapere una parola di giapponese…”.

E durante l’edificazione della filiale giapponese ” dormiva in una soffitta coprendosi col cappotto “.

La sua Milizia dell’Immacolata, nel 1939, contava 800.000 iscritti.

” Noi, diceva P. Kolbe, abbracceremo il mondo intero” e aveva piani che riguardavano l’india e il mondo arabo.

Nel 1932, quando costruiva Niepokalanow decise che fosse piccolo un solo ambiente: il cimitero, perché diceva: ” prevedo che le ossa dei miei frati saranno disperse in tutto il mondo “.

Qual era dunque il suo ideale? Eccolo:

” Bisogna inondare la terra con un diluvio di stampa cristiana e mariana, in ogni lingua, in ogni luogo, per affogare nei gorghi della verità ogni manifestazione di errore che ha trovato nella stampa la più potente alleata; fasciare il mondo di carta scritta con parole dì vita per ridare al mondo la gioia di vivere “.

La teologia di P. Kolbe era radicale e senza mezzi termini. Ecco come la sintetizza un suo biografo:

 

” Si ostinò a credere, a dire, a scrivere che la verità è una sola, quindi un solo Dio, un solo Salvatore, una sola Chiesa; gli uomini, tutti gli uomini, di conseguenza, sono chiamati ad aderire ad un solo Dio, ad un solo Salvatore, ad una sola Chiesa.

A quell’ideale consacrò e immolò la sua vita di missionario della penna, come amava definirsi”. Questo fu l’uomo su cui si abbatté la furia nazista. Sapeva ciò che gli aspettava. Aveva tanti amici che lo avvertivano di tutto. La Gestapo gli fece sapere addirittura che avrebbe gradito una sua opzione per la cittadinanza germanica se si fosse iscritto nella lista degli oriundi tedeschi, dato il suo cognome e le sue origini (nonostante che il cognome della madre fosse evidentissimamente polacco).

Fu arrestato una prima volta assieme ad alcuni suoi frati.. Li confortava con queste parole: ” coraggio, andiamo in missione “. in un primo tempo là Città dell’Immacolata fu adibita a ospedale con un ufficio della Croce Rossa. Pian piano si riempiva di rifugiati e di scampati, accolse 2000 espulsi dalla Polonia e alcune centinaia di ebrei. I tedeschi cominciarono a considerarla come un campo di concentramento.

Liberato una prima volta, P. Kolbe riorganizzò la città per la sopravvivenza di tutti i rifugiati organizzando infermeria farmacia, ospedale, cucine, panetteria, orto e altri laboratori. il 17 febbraio 1941 viene arrestato per la seconda volta. Dice: ” Vado a servire l’immacolata in un altro campo di lavoro “. Il nuovo campo di lavoro è quello di Auschwitz. Tutta l’energia di questo uomo fisicamente fragilissimo (malato di tisi, con un solo polmone) è ora messa a confronto con la sofferenza più atroce. Una sofferenza che lo colpisce sistematicamente, come gli altri e più degli altri, perché appartiene al gruppo dei preti, quello che per odio e maltrattamenti è accomunato agli ebrei.

Diventa il n. 16670. Comincia tirando carri di ghiaia e di sassi per la costruzione di un muro del crematorio: un carro che doveva essere tirato sempre correndo. Ogni dieci metri una guardia con un bastone garantisce la persistenza del ritmo. Poi a tagliare e trasportare tronchi d’albero. A lui, perché prete, toccava un peso due o tre volte superiore a quello dei suoi compagni. Lo vedono sanguinare e barcollare. Non vuole che gli altri si espongano per lui. ” Non vi esponete a ricevere colpi per me. L’immacolata mi aiuterà, farò da solo “.

Quando lo vogliono portare all’ospedale del campo, se ne ha la forza, indica sempre qualcun altro che, a suo parere, ha più bisogno di lui: ” io posso aspettare. Piuttosto quello lì… “.

Quando lo mettono a trasportare cadaveri, spesso orrendamente mutilati, e ad accatastarli per l’incenerimento, lo sentono mormorare pian piano: ” Santa Maria prega per noi ” e poi: ” Et Verbum caro factum est ” (Il Verbo si è fatto carne).

Nelle baracche qualcuno la notte striscia verso di lui in preda all’orrore e si sente dire lentamente, pacatamente, come un balsamo: ” l’odio non è forza creativa; solo l’amore è forza creativa “.

Oppure parla, dell’immacolata: ” Ella è la vera consolatrice degli afflitti. Ascolta tutti, ascolta tutti! “. Gli ammalati lo chiamano: ” il nostro piccolo padre “.

Poi venne quel giorno in cui un detenuto del blocco 14 riuscì a Fuggire. Padre Kolbe era stato assegnato a quel blocco solo da pochi giorni. Per tre ore tutti i blocchi vennero tenuti sull’attenti. Alle 9, per la misera cena, le file vengono rotte. Il blocco 14 dovette stare immobile mentre il loro cibo veniva versato in un canale.

Il giorno dopo, il blocco rimase tutto il giorno allineato immobile, sulla piazza: guardati, percossi, digiuni, sotto il sole di luglio: distrutti dalla fame, dal caldo, dall’immobilità, dall’attesa terribile. Chi cadeva veniva gettato in un mucchio ai bordi del campo. Quando gli altri blocchi tornarono dal lavoro si procedette alla decimazione: per un prigioniero fuggito dieci condannati a morte nel bunker della fame. Un condannato al pensiero della moglie e dei figli grida. A un tratto il miracolo. P. Massimiliano esce dalla fila, si offre in cambio di quell’uomo che nemmeno conosce. Lo scambio viene accettato. Il miracolo per intercessione di P. Kolbe, Dio lo compie in quell’istante.

Dobbiamo veramente ricostruire ciò che avvenne. Non molti poterono udire. Ma tutti ricordano un particolare… Kolbe uscì dalla fila e si diresse diritto, ” a passo svelto ” verso il Lagerfuehrer Fritsch, allibito che un prigioniero osasse tanto.

Per il Lagerfuehrer Fritsch i prigionieri erano solo dei numeri.

P. Kolbe lo costrinse a ricordare che erano uomini, che avevano una identità. ” Che cosa vuole questo sporco polacco? “. ” Sono un sacerdote cattolico. Sono anziano (aveva 47 anni). Voglio prendere il suo posto perché lui ha moglie e figli “.

La cosa più incredibile, il primo miracolo di Kolbe e attraverso Kolbe fu il fatto che il sacrificio venisse accettato.

Lo scambio, con la sua affermazione di scelta e di libertà e di solidarietà, era tutto ciò contro cui il campo di concentramento era costruito. Il campo di concentramento doveva essere la dimostrazione che ” l’etica della fratellanza umana ” era solo vigliaccheria. Che la vera etica era la razza, e le razze inferiori non erano ” umane “. Il principio umanitario secondo l’ideologia nazista era una menzogna giudeo-cristiana. Nel campo dì concentramento si dimostrava che l’umano è ciò che di più esterno c’è nell’uomo, una maschera che può essere levata a volontà.

” I campi di concentramento costituivano un frammento del dibattito filosofico definitivo ” (Szczepanski).

Che Fritsch accogliesse il sacrificio di Kolbe e soprattutto accogliesse lo scambio (avrebbe dovuto almeno decidere la morte di ambedue) e quindi il valore e l’efficacia del dono, fu qualcosa di incredibile. Era infatti un gesto che dava valore umano al morire, che rendeva il morire non più soggezione alla forza ma offerta volontaria. Per Fritsch o fu un lampo di novità o fu la totale cecità di chi non credeva più che quella gente avesse alcun significato storico. Di fatto non c’era nessuna speranza umana che quel gesto oltrepassasse i confini del campo di concentramento.

Né P. Kolbe poteva umanamente pensare a una qualsiasi eco storica del suo gesto. Ma P. Kolbe riuscì a dimostrare fisicamente che quel campo era un Calvario. E non mi riferisco a una immagine simbolica. Mi riferisco a una Messa.

Da quel giorno, da quella accettazione, il campo possedette un luogo sacro. Nel blocco della morte i condannati vennero gettati nudi, al buio, in attesa di morire per fame. Non venne dato loro più nulla, nemmeno una goccia d’acqua. La lunga agonia era scandita dalle preghiere e dagli inni sacri che P. Kolhe recitava ad alta voce. E dalle celle vicine gli altri condannati gli rispondevano.

” L’eco di quel pregare penetrava attraverso i muri, di giorno in giorno sempre più debole, trasformandosi in sussurro, spegnendosi insieme al respiro umano. Il campo tendeva l’orecchio a quelle preghiere. Ogni giorno la notizia che pregavano ancora faceva il giro delle baracche. L’intorpidito tessuto della solidarietà umana ricominciava a pulsare di vita. La morte che lentamente veniva consumata nei sotterranei del tredicesimo blocco non era la morte di vermi schiacciati nel fango. Era un dramma e rito. Era sacrificio di purificazione ” (Szczepanski).

La fama di ciò che avveniva si sparse anche negli altri campi di concentramento. Ogni mattina il bunker della fame veniva ispezionato.

Quando le celle si aprivano quegli infelici piangevano e chiedevano del pane; chi si avvicinava veniva colpito e ributtato violentemente sul cemento.

P. Kolbe non chiedeva nulla non si lamentava, restava in fondo seduto, appoggiato alla parete. Gli stessi soldati lo guardavano con rispetto. Poi i condannati cominciarono a morire; dopo due settimane erano vivi solamente in quattro con P. Kolbe. Per costringerli a morire, il 14 agosto, venne fatta loro una iniezione di acido fenico al braccio sinistro. Era la vigilia di una delle feste mariane che Massimiliano amava di più: l’Assunta, a cui cantava sempre volentieri quella lauda popolare che dice: ” Andrò a vederla, un dì! “.

” Quando aprii la porta di ferro, è il suo carceriere che racconta, non viveva più; ma mi si presentava come se fosse vivo. Ancora appoggiato al muro. La faccia era raggiante in modo insolito. Gli occhi largamente aperti e concentrati in un punto. Tutta la figura come in estasi. Non lo dimenticherò mai “.

Giovanni Paolo Il, predicando ad Auschwitz, ha detto:

” In questo luogo che fu costruito per la negazione della fede, della fede in Dio e della fede nell’uomo, e per calpestare radicalmente non soltanto l’amore ma tutti i segni della dignità umana, dell’umanità, quell’uomo (il P. Kolbe) ha riportato la vittoria mediante l’amore e la fede”.

P. Kolbe ha dimostrato, in forza della sua fede, che l’uomo può creare abissi di dolore ma non può evitare che essi siano inabitati dal Crocifisso e dal mistero del Suo amore sofferente, che si riattualizza, che autonomamente e con forza inarrestabile decide di farsi ” presene “. Fu soprattutto per questa decisione di Cristo che Fritsch, contro se stesso, dovette ” accettare ” lo scambio.

Due sono gli insegnamenti che ci restano contemplando il volto di P. Kolbe: uno torna dal suo martirio alla sua vita, l’altro va dalla sua vita al suo martirio.

Nel primo insegnamento P. Kolbe ci dice che rispondere alla disumanità con l’offerta e il sacrificio di sé non è la risposta di chi non sa fare altro, di chi si rassegna e cede all’oppressore, di chi attende tutto dall’al-di-là e perciò può subire.

P. Kolbe ha dato la vita, accettando di morire, dopo che aveva spese tutte le sue energie per la costruzione di un mondo diverso, di un mondo nuovo, di un centuplo quaggiù. Il martirio non fu una fuga devota. Fu la pienezza della sua energia vitale.

Nel secondo insegnamento P. Kolbe ci dice che la stoffa di cui sono fatti i martiri non è quella di chi nella sua vita si è divertito col pluralismo e con l’irenismo ad ogni costo, anche se li chiama ” dialogo ” ed ” ecumenismo “.

Esiste certamente un modo giusto di considerare questi valori (che è il modo della carità, non della perdita di identità), ma tante volte essi sono soltanto usati per preservarsi, per non dovere ” dare la vita “.

P. Kolbe definiva la fede con una nettezza impressionante, e con altrettanta decisione la propagandava e la voleva incarnare in tutti gli spazi della vita culturale e sociale; e seppe avere tanta carità da essere il primo ” martire della carità “. Proprio con questo titolo, mai utilizzato prima, è stato canonizzato da Giovanni Paolo lI

Ma chi, in nome di una pretesa carità cristiana, annacqua la fede e la rende culturalmente inincidente e irrilevante nella storia è sicuro d’avere proprio quella carità che abilita a dare la vita?

Questa è la domanda seria che discrimina tutti gli atteggiamenti dei cristiani e li giudica. La fede e la carità esigono, ambedue, forza e decisione, e crescono assieme con lo stesso coraggio.

 Tratto dal libro: RITRATTO DI SANTI di Antonio Sicari

 

Preghiera alla Madonna del Carmelo

O Maria, Madre e decoro del Carmelo, a te consacro oggi la mia

vita, quale piccolo tributo di gratitudine per le grazie che

attraverso la tua intercessione ho ricevuto da Dio. Tu guardi con

particolare benevolenza coloro che devotamente portano il tuo

Scapolare: ti supplico perciò di sostenere la mia fragilità con le

tue virtù, d’illuminare con la tua sapienza le tenebre della mia

mente, e di ridestare in me la fede, la speranza e la carità, perché

possa ogni giorno crescere nell’amore di Dio e nella devozione

verso di te. Lo Scapolare richiami su di me lo sguardo tuo

materno e la tua protezione nella lotta quotidiana, sì che possa

restare fedele al Figlio tuo Gesù e a te, evitando il peccato e

imitando le tue virtù. Desidero offrire a Dio, per le tue mani,

tutto il bene che mi riuscirà di compiere con la tua grazia; la tua

bontà mi ottenga il perdono dei peccati e una più sicura fedeltà al

Signore. O Madre amabilissima, il tuo amore mi ottenga che un

giorno sia concesso a me di mutare il tuo Scapolare con l’eterna

veste nuziale e di abitare con te e con i Santi del Carmelo nel

regno beato del Figlio tuo che vive e regna per tutti i secoli dei

secoli. Amen.

La Madonna del Carmine

L’ordine dei Padri Carmelitani, nato sul Monte Carmelo (in Palestina) , ha vissuto la sequela di Cristo ispirandosi alla Vergine Santissima ed ha dedicato ad essa la prima cappella meritando il titolo dell’Ordine dei “fratelli della Madonna del Monte Carmelo”.

La nuvoletta vista sul Monte Carmelo “come mano d’uomo” che indicava al Profeta Elia la fine della siccità, è stata sempre vista come il segno di Maria che avrebbe donato al mondo la Grazia e le grazie, cioè Gesù.

Maria Madre e Regina, continua ad essere il modello di quella preghiera contemplativa che rapì Elia, dopo avere ascoltato quel “suono di un sottile silenzio”, sull’Oreb. Maria è pure considerata la stella del mare che conduce a Gesù. Ma l’attenzione a Maria non è rimasta chiusa nei chiostri dei conventi Carmelitani. L’espandersi dell’Ordine nel mondo ha fatto in modo che moltissime persone consacrassero la loro vita a Maria.

Questa consacrazione o affidamento, come oggi si dice, viene realizzato attraverso un segno, il Santo Abitino, che rappresenta il manto di Maria sotto la cui protezione i fedeli vogliono vivere. L’abito religioso d’altronde era diventato nei secoli non solo una manifestazione di uno stile di vita differente da quello del mondo, ma una identità, un riconoscimento della famiglia di appartenenza. La sua forgia riportava agli anni della nascita dell’Istituto. Gli addetti ai servizi in quei tempi portavano una specie di grembiule che scendeva davanti e dietro le spalle. Era comodo per non sporcare la veste sottostante e per portare frutta o materiale superiore alla capienza delle mani. Era chiamato scapolare, perché pendeva dalle scapole. Il colore spesso indicava a quale famiglia appartenesse il servo.

L’abito, quando i carmelitani vennero in Europa, divenne marrone (i primi tempi era a strisce). Così il suo scapolare. Anzi proprio questo acquistò il significato di appartenenza non solo ad un Ordine di Maria, ma a Maria stessa. La tradizione ce lo fa vedere donato dalla stessa Vergine Santissima, nel 1251, in un momento di particolare necessità come segno di protezione e predilezione per l’Ordine Carmelitano e per tutti coloro che l’avessero indossato. Questa protezione di Maria sarebbe stata un dono non solo per la vita presente, ma anche per quella futura. Così si attribuì al Papa Giovanni XXII° una promessa della stessa Santissima Vergine, che il Sabato successivo alla morte, sarebbe scesa in Purgatorio a liberare le anime rivestite di quel Santo Abito per portarle in paradiso (Privilegio Sabatino).

La Chiesa, ha riconosciuto e apprezzato questo segno attraverso la vita di tanti Santi e di molti Sommi Pontefici che l’hanno raccomodato e portato. In seguito, adattandosi al costume dei tempi, l’ abito della Beata Vergine Maria, fu ridotto nelle dimensioni e divenne un “abitino” , formato da due piccoli pezzi della stessa stoffa dell’abito Carmelitano, uniti da fettucce che permettono di portarlo appoggiato sul petto e dietro le spalle. Più tardi il papa Pio X, per venire incontro alle esigenze moderne, concesse di sostituire quest’abitino con una medaglia recante da una parte l’immagine di Gesù e dall’altra quella della Madonna.

Insieme alla Corona del Rosario, il Santo Scapolare ha acquistato nel mondo un forte segno mariano di protezione da parte di Maria, che ci porta a Gesù, e di impegno da parte nostra di lasciarci guidare da lei, cioè di volere, almeno nel desiderio, vivere come Maria e con Maria, “rivestiti” di Gesù.

 

LO SCAPOLARE (o abitino)

La devozione allo Scapolare è devozione alla Madonna secondo lo spirito e la tradizione ascetica del Carmelo.

Una devozione antica, che conserva tutta la sua validità, se compresa e vissuta nei suoi valori autentici.

Da oltre sette secoli i fedeli portano lo Scapolare del Carmine (detto anche abitino) per assicurarsi la protezione di Maria in tutte le necessità della vita e, in particolare, per ottenere, mediante la sua intercessione, la salvezza eterna e una sollecita liberazione dal Purgatorio.

La promessa di queste due grazie dette pure “Privilegi dello Scapolare” sarebbe stata fatta dalla Madonna a S. Simone Stock e a Papa Giovanni XXII.

PROMESSA della MADONNA

a San SIMONE STOCK

La Regina del Cielo, apparendo tutta raggiante di luce, il 16 luglio 1251, al vecchio generale dell’Ordine Carmelitano, San Simone Stock (il quale L’aveva pregata di dare un privilegio ai Carmelitani), porgendogli uno scapolare – detto comunemente «Abitino» – così gli parlò: «Prendi figlio dilettissimo, prendi questo scapolare del tuo Ordine, segno distintivo della mia Confraternita, privilegio a te e a tutti i Carmelitani. Chi morrà rivestito di questo abito non soffrirà il fuoco eterno; questo è un segno di salute, di salvezza nei pericoli, di alleanza di pace e di patto sempiterno». 

Detto questo, la Vergine scomparve in un profumo di Cielo, lasciando nelle mani di Simone il pegno della Sua Prima «Grande Promessa».

Non bisogna credere minimamente, però, che la Madonna, con la sua Grande Promessa, voglia ingenerare nell’uomo l’intenzione di assicurarsi il Paradiso, continuando più tranquillamente a peccare, o forse la speranza di salvarsi anche privo di meriti, ma piuttosto che in forza della Sua Promessa, Ella si adopera in maniera efficace per la conversione del peccatore, che porta con fede e devozione l’Abitino fino in punto di morte. 

Condizioni

**Il primo scapolare deve essere benedetto ed imposto da un Sacerdote con una sacra formula di consacrazione alla Madonna

( è ottimo andare a richiederne l’imposizione presso un convento di Carmelitani)

L’Abitino, deve essere tenuto, giorno e notte, indosso e precisamente al collo, in modo che una parte scenda sul petto e l’altra sulle spalle. Chi lo porta in tasca, nella borsetta o appuntato sul petto non partecipa alla Grande Promessa

È necessario morire rivestivo del sacro abitino. Chi l’ha portato per tutta la vita e sul punto di morire se lo toglie, non partecipa alla Grande Promessa della Madonna

Quando lo si dovesse sostituire, non è necessaria una nuova benedizione.

Lo scapolare in stoffa può essere anche sostituito dalla Medaglia (Madonna da una parte, S. Cuore dall’altra).

> ALCUNE PRECISAZIONI <

L’Abitino (che non è altro che una forma ridotta dell’abito dei religiosi carmelitani), deve essere necessariamente di panno di lana e non di altra stoffa, di forma quadrata o rettangolare, di colore marrone o nero. L’immagine su di esso, della Beata Vergine, non è necessaria ma è di pura devozione. Scolorandosi l’immagine o staccandosi l’Abitino vale lo stesso. 

L’Abitino consumato si conserva, o si distrugge bruciandolo, e il nuovo non ha bisogno di benedizione. 

Chi, per qualche motivo, non può portare l’Abitino di lana, può sostituirlo (dopo averlo indossato di lana, in seguito all’imposizione fatta dal sacerdote) con una medaglietta che abbia da una parte l’effige di Gesù e del Suo Sacro Cuore e dall’altra quella della Beata Vergine del Carmelo.  

L’Abitino si può lavare, ma prima di toglierlo dal collo è bene sostituirlo con un altro o con una medaglietta, in modo che non si resti mai privi di esso. 

Impegni

Impegni particolari non sono prescritti.

Tutti gli esercizi di pietà approvati dalla Chiesa servono ad esprimere ed alimentare la devozione alla Madre di Dio. Tuttavia è raccomandata la recita quotidiana del Santo Rosario.

Indulgenza parziale

Il pio uso dello Scapolare o Medaglia (per esempio un pensiero, un richiamo, uno sguardo, un bacio…) oltre che favorirci l’unione con Maria SS. e con Dio, ci procura una indulgenza parziale, il cui valore aumenta in proporzione alle disposizioni di pietà e di fervore di ciascuno.

Indulgenza plenaria

Si può acquistare nel giorno in cui si riceve per la prima volta lo Scapolare, nella festa della Madonna del Carmine (16 luglio), di S. Simone Stock ( 16 maggio ), di Sant’Elia profeta ( 20 luglio), di Santa Teresa del Gesù Bambino ( 1 ottobre ), di Santa Teresa d’Avila ( 15 ottobre ), di tutti i Santi Carmelitani ( 14 novembre ), di San Giovanni della Croce ( 14 dicembre ).

Per tali indulgenze sono richieste le seguenti condizioni:

1) Confessione, Comunione Eucaristica, preghiera per il Papa;

2) promessa di voler osservare gli impegni della Associazione dello Scapolare.

PROMESSA della MADONNA

a Papa GIOVANNI XXII:

(PRIVILEGIO SABATINO)

Il Privilegio Sabatino, è una seconda Promessa (riguardante lo scapolare del Carmine) che la Madonna fece in una Sua apparizione, ai primi del 1300, al Pontefice Giovanni XXII, al quale, la Vergine comandò di confermare in terra, il Privilegio ottenuto da Lei in Cielo, dal Suo diletto Figlio. 

Questo grande Privilegio, offre la possibilità di entrare in Paradiso, il primo sabato dopo la morte. Ciò vuol dire che, coloro che otterranno questo privilegio, staranno in Purgatorio, massimo una settimana, e se avranno la fortuna di morire di sabato, la Madonna li porterà subito in Paradiso. 

Non bisogna confondere la Grande Promessa della Madonna con il Privilegio Sabatino. Nella Grande Promessa, fatta a S. Simone Stock, non sono richieste né preghiere né astinenze, ma basta portare con fede e devozione giorno e notte indosso, fino al punto di morte, la divisa carmelitana, che è l’Abitino, per essere aiutati e guidati in vita dalla Madonna e per fare una buona morte, o meglio per non patire il fuoco dell’Inferno.  

Per quanto riguarda il Privilegio Sabatino, che riduce ad una settimana, massimo, la sosta nel Purgatorio, la Madonna chiede che oltre a portare l’Abitino si facciano anche preghiere e alcuni sacrifici in Suo onore.  

Condizioni per ottenere

il privilegio sabatino

1) Portare, giorno e notte indosso, l’«Abitino», come per la Prima Grande Promessa.  

2) Essere iscritti nei registri di una Confraternita Carmelitana ed essere, quindi, confratelli Carmelitani.  

3) Osservare la castità secondo il proprio stato. 

4) Recitare ogni giorno le ore canoniche (cioè l’Ufficio Divino o il Piccolo Ufficio della Madonna). Chi non sa recitare queste preghiere, deve osservare i digiuni della S. Chiesa (salvo se non è dispensato per legittima causa) e astenersi dalle carni, nel mercoledì e nel sabato per la Madonna e nel venerdì per Gesù, eccettuato il giorno del S. Natale. 

> ALCUNE PRECISAZIONI <

Chi non osserva la recita delle suddette preghiere o l’astinenza dalle carni non commette alcun peccato; dopo la morte, potrà entrare anche subito in Paradiso per altri meriti, ma non godrà del Privilegio Sabatino. 

La commutazione dell’astinenza dalle carni in altra penitenza si può chiedere a qualunque sacerdote. 

Le 15 promesse di Maria Santissima ai devoti del Rosario

 

  1. A tutti quelli che reciteranno devotamente il mio Rosario, io prometto la mia protezione speciale e grandissime grazie.
  2. Colui che persevererà nella recitazione del mio Rosario riceverà qualche grazia insigne.
  3. Il Rosario sarà una difesa potentissima contro l’inferno; distruggerà i vizi, libererà dal peccato, dissiperà le eresie.
  4. Il Rosario farà fiorire le virtù e le buone opere e otterrà alle anime le più abbondanti misericordie divine; sostituirà nei cuori l’amore di Dio all’amore del mondo, elevandoli al desiderio dei beni celesti ed eterni. Quante anime si santificheranno con questo mezzo!
  5. Colui che si affida a me con il Rosario, non perirà.
  6. Colui che reciterà devotamente il mio Rosario, meditando i suoi misteri, non sarà oppresso dalla disgrazia. Peccatore, si convertirà; giusto, crescerà in grazia e diverrà degno della vita eterna.
  7. I veri devoti del mio Rosario non moriranno senza i Sacramenti della Chiesa.
  8. Coloro che recitano il mio Rosario troveranno durante la loro vita e alla loro morte la luce di Dio, la pienezza delle sue grazie e parteciperanno dei meriti dei beati.
  9. Libererò molto prontamente dal purgatorio le anime devote del mio Rosario.
  10. I veri figli del mio Rosario godranno di una grande gloria in cielo.
  11. Quello che chiederete con il mio Rosario, lo otterrete.
  12. Coloro che diffonderanno il mio Rosario saranno soccorsi da me in tutte le loro necessità.
  13. Io ho ottenuto da mio Figlio che tutti i membri della Confraternita del Rosario abbiano per fratelli durante la vita e nell’ora della morte i santi del cielo.
  14. Coloro che recitano fedelmente il mio Rosario sono tutti miei figli amatissimi, fratelli e sorelle di Gesù Cristo.
  15. La devozione al mio Rosario è un grande segno di predestinazione.
(La Madonna a San Domenico e al Beato Alano)

Breve storia del Santo Rosario

All’origine del Rosario vi sono i 150 Salmi di Davide che si recitavano nei monasteri.

Per ovviare alla difficoltà, al di fuori dei centri religiosi, di imparare a memoria tutti i Salmi, verso l’850 un monaco irlandese suggerì di recitare al posto dei Salmi 150 Padre Nostro.

Per contare le preghiere i fedeli avevano vari metodi, tra cui quello di portare con sé 150 sassolini, ma ben presto si passò all’uso delle cordicelle con 50 o 150 nodi.

Poco tempo dopo, come forma ripetitiva, si iniziò ad utilizzare anche il Saluto dell’Angelo a Maria, che costituiva allora la prima parte dell’Ave Maria.

Nel XIII secolo i monaci cistercensi svilupparono una nuova forma di preghiera che chiamarono rosario, perché la comparavano ad una corona di rose mistiche donate alla Madonna. Questa devozione fu resa popolare da san Domenico, che nel 1214 ricevette il primo rosario della Vergine Maria come strumento per l’aiuto dei cristiani contro le eresie.

Nel XIII secolo si svilupparono i Misteri del Rosario: numerosi teologi avevano già da tempo considerato che i 150 Salmi erano velate profezie sulla vita di Gesù. Dallo studio dei Salmi si arrivò ben presto alla elaborazione dei Salteri di Nostro Signore Gesù Cristo, nonché alle lodi dedicate a Maria. Così durante il XIII secolo si erano sviluppati quattro diversi salteri: i 150 Padre Nostro, i 150 Saluti Angelici, le 150 lodi a Gesù, le 150 lodi a Maria.

Verso il 1350 si arriva alla compiutezza dell’Ave Maria come la conosciamo oggi. Questo avviene ad opera dell’Ordine dei certosini, che uniscono il saluto dell’Angelo con quello di Elisabetta, fino all’inserimento di «adesso e nell’ora della nostra morte. Amen».

All’inizio del XIV secolo i cistercensi, in particolare quelli della regione francese di Trèves, inseriscono le clausole dopo il nome di Gesù, per abbracciare all’interno della preghiera l’intera vita di Cristo.

Verso la metà del XIV secolo, un monaco della certosa di Colonia, Enrico Kalkar, introdusse prima di ogni decina alla Madonna, il Padre Nostro. Questo metodo si diffuse rapidamente in tutta Europa.

Sempre nella certosa di Trèves, all’inizio del 1400, Domenico Hélion (chiamato anche Domenico il Prussiano o Domenico di Trèves), sviluppa un rosario in cui fa seguire il nome di Gesù da 50 clausole che ripercorrono la vita di Gesù. E come aveva introdotto Enrico Kalkar, i pensieri di Domenico il Prussiano erano divisi in gruppi di 10 con un Padre Nostro all’inizio di ogni gruppo.

Tra il 1435 e il 1445, Domenico compone per i fratelli certosini fiamminghi, che recitano il Salterio di Maria, 150 clausole divise in tre sezioni corrispondenti ai Vangeli dell’infanzia di Cristo, della vita pubblica, e della Passione-Risurrezione.

Nel 1470 il domenicano Alain de la Roche, in contatto con i certosini, da cui apprende la recita del Rosario, crea la prima Confraternita del Rosario facendo diffondere rapidamente questa forma di preghiera: chiama Rosario «nuovo» quello con un pensiero all’interno di ogni Ave Maria, e Rosario «vecchio» quello senza meditazione, con solo le Ave Maria. Alain de la Roche riduce a 15 i Misteri (suddivisi in gaudiosi, dolorosi, gloriosi), e sarà solamente con Papa Giovanni Paolo II (un grande apostolo del Rosario), con la lettera apostolica «Rosarium Virginis Mariae» (2002), che verranno reintrodotti i misteri luminosi sulla vita pubblica di Gesù.

I domenicani sono stati grandi promotori del Rosario nel mondo. Hanno creato diverse associazioni rosariane, tra cui la Confraternita del Rosario (fondata nel 1470), la Confraternita del Rosario Perpetuo (chiamata anche Ora di Guardia, fondata nel 1630 dal padre Timoteo de’ Ricci, si impegnava ad occupare tutte le ore del giorno e della notte, di tutti i giorni dell’anno, con la recita del Rosario), la Confraternita del Rosario Vivente (fondata nel 1826 dalla terziaria domenicana Pauline-Marie Jaricot).

La struttura medievale del Rosario fu abbandonata gradualmente con il Rinascimento, e la forma definitiva del Rosario si ha nel 1521 ad opera del domenicano Alberto di Castello.

San Pio V, di formazione domenicana, fu il primo «Papa del Rosario». Nel 1569 descrisse i grandi frutti che san Domenico raccolse con questa preghiera, ed invitò tutti i cristiani ad utilizzarla.

Leone XIII, con le sue 12 Encicliche sul Rosario, fu il secondo «Papa del Rosario».

Dal 1478 ad oggi si contano oltre 200 documenti pontifici sul Rosario.

In più apparizioni la Madonna stessa ha indicato il Rosario come la preghiera più necessaria per il bene dell’umanità. Nell’apparizione a Lourdes del 1858, la Vergine aveva una lunga corona del Rosario al braccio. Nel 1917 a Fatima come negli ultimi anni a Medjugorje, la Madonna ha invitato e ha esortato a recitare il Rosario tutti i giorni.

(Dal libro: Le Litanie)