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Un grande miracolo di Padre Pio : ‘Un profumo di viole… e la mamma guarì’

 

Dopo la morte della nonna, mia madre si ammalò di artrite deformante con ghiandole tubercolari e febbri intestinali. Nonostante le cure, la mamma peggiorava, non teneva più il cibo. All’ospedale dove fu ricoverata dovettero sostenerle le lenzuola con un apposito apparecchio perché non riusciva a sostenerne il peso. Rimase in questo stato per due mesi, senza avvertire alcun sensibile miglioramento, poi fu dimessa, perché ormai non vi erano più speranze. In me nacque allora ancor più forte il desiderio di andare da Padre Pio, ma le mie condizioni economiche non me lo permettevano, inoltre ero l’unico della famiglia che potesse assistere mia madre, essendo mia sorella a lavorare in Piemonte e mio padre malato.

In quel periodo uscì il giornale Oggi in cui era descritto il miracolo che la signora Lucia Bellodi di Concordia (MO) aveva ricevuto da padre Pio; questo aumentò in me l’entusiasmo e la determinazione di recarmi dal Padre.

Con l’aiuto della Provvidenza ebbi il viaggio pagato, presi con me alcune provviste e due coperte per dormire all’aperto, dato che mi mancava il denaro per l’alloggio. Mi accompagnò un amico per assistermi in caso mi fosse venuto un attacco cardiaco, poiché soffrivo di cuore.

Giunti a Foggia, già sulla corriera per San Giovanni Rotondo, il tale pensiero insieme a una ondata di profumo mi avvolgeva così forte da togliere il respiro. Questo mi accadde per tre o quattro volte, ma l’ultima fu così potente che lasciai da parte ogni timore e il mio animo si rasserenò.

Appena arrivato ebbi la fortuna di assistere alla Santa Messa officiata da padre Pio. Durante la consacrazione chiesi la grazia per mia madre: «Signore, tramite padre Pio, lasciami mia madre! Condanna piuttosto me a letto per sempre».

Finita la Santa Messa mi rivolsi a fra’ Gerardo per poter parlare al Padre.

In un primo tempo egli disse che era impossibile e che bisognava prenotarsi, poi mi invitò a salire al convento. Lungo le scale mi sembrava di scorgere padre Pio, ma tutte le volte che cercavo di chiamarlo non lo vedevo più. Finalmente, dopo aver fatto i gradini a quattro per volta senza sentire alcun danno al cuore, lo vidi nel corridoio con le spalle voltate. Subito lo avvicinai.

Avrei voluto chiedergli di nuovo la grazia per mia madre, ma il ricordo di ciò che avevo letto nella sua biografia a proposito della donna che aveva chiesto due volte la stessa grazia mi trattenne. Chiesi perciò la benedizione per me e il Padre mi invitò ad aspettare il mio amico. Rispose affermativamente anche ad altre cose che gli chiesi. Fu tanto grande la mia gioia che lo abbracciai stretto gridando che ormai avevo ricevuto abbastanza e che potevo tornarmene a casa. Quando poi sciolsi le braccia non lo vidi più, come se si fosse dissolto nell’aria. E non credo che questa fosse allucinazione, perché gli avevo consegnato delle lettere e dei soldi da parte di persone che me ne avevano dato incarico.

A mezzogiorno, presi il pullman del ritorno; la mia prima visita a San Giovanni Rotondo si è consumata nello spazio di sette ore.
Al ritorno trovai la mamma peggiorata; non riusciva più neppure a prendere le medicine, non poteva sopportare la luce, era scheletrica, aveva il colore giallo e l’odore delle persone vicine a morire. In quel momento si fece più forte in me il dubbio che la mamma avesse un tumore. Tutti però continuavano a dirmi che era una mia fissazione […].
Quindici giorni dopo il ritorno da San Giovanni Rotondo, e precisamente nel luglio 1952, nella notte tra il sabato e la domenica, mentre mio fratello ed io dormivamo con lei nella stanza, la mamma sentì un grande sconvolgimento e credette fosse vicina la sua ultima ora. Non volle chiamarci per non sentirci piangere e disse a Dio che era pronta. Immediatamente sentì un acuto profumo di viole. Senza fatica si sedette sul letto e si provò la febbre constatando che questa era sparita.
La mattina seguente la trovai ancora seduta, dopo più di due mesi che era immobile nel letto. Mi raccontò, vedendo il mio stupore, quello che era successo durante la notte, poi mi chiese di mangiare polenta e salame. Prima di accontentarla corsi a chiedere consiglio al medico che fu del parere di soddisfare quel desiderio. Il giorno dopo la mamma si alzò con grande meraviglia di tutti, si fece la polenta e se la mangiò con il salame, digerendo il tutto con estrema facilità. Alcune vicine accorsero, portando ancora polenta perché la mangiasse dinanzi a loro.

Alcuni giorni più tardi incontrai il dottore che mi chiese notizie della mamma. Gli risposi che ormai mangiava regolarmente e che digeriva benissimo. Il medico non mi credette e disse di voler essere presente a ciò. E infatti venne, rimase fino a quando fu sicuro che la mamma digeriva senza fatica e manifestò il desiderio di farle fare le analisi. All’ospedale riscontrarono che non vi era più traccia delle malattie precedenti.
I medici, non ancora convinti, le fecero fare nuove radiografie al Dispensario di Ostiglia e con grande meraviglia, il medico che l’aveva già una volta visitata, costatò che il tumore da lui diagnosticato e di cui mi avevano tenuto all’oscuro, non esisteva più. Altre lastre furono fatte a Mantova e anche qui l’esito fu negativo.
La guarigione miracolosa della mamma non ammetteva dubbi.

Bruno Bulgarelli,
Oltre il Gargano.
Diario con Padre Pio, pp. 16-19

Fonte: Papaboys

La depressione mi stava uccidendo: il Rosario mi ha salvato la vita.

L’altro giorno stavo facendo colazione a casa mia, quando all’improvviso qualcuno ha bussato disperatamente alla porta. Sono corso a vedere chi fosse, ed ho trovato il signor Jorge che gridava:

– Padre, come posso eliminare tutto lo stress che ho? Io non ce la faccio più, mio ​​padre è in ospedale, mia mamma quasi non può camminare, mia moglie è arrabbiata perché mi preoccupo per i miei genitori e al lavoro vogliono licenziarmi. Sento che sto per impazzire, non so cosa fare.

– Sono contento che tu sia qui, andiamo alla cappella, c’è qualcuno che ti sta aspettando… contempla un momento il volto della Vergine Maria, vedrai quanta pace e tranquillità.

– Sì padre, lo so e ne ho tanto bisogno, non ce la faccio più.

– Figliolo, lei può darti la pace a cui tanto aneli, perché anche lei ha avuto una vita difficile. Ha avuto sempre problemi, immagina quanto sia stato difficile dire a Giuseppe che stava aspettando il Figlio di Dio; pensa a quello che provava quando chiamavano suo Figlio ubriaco e blasfemo, ricorda quando la poveretta dovette andarlo a cercarlo perché dicevano che era diventato pazzo; pensa alla tristezza di sapere che Gesù era stato giudicato e poi condannato a morte, prova ad immaginarla guardarla il suo amato Figlio camminare con la croce, sanguinante ed umiliato; cerca di sentire il suo dolore quando lui fu crocifisso e poi morì tra le sue braccia… la sua vita non è stata affatto facile, vero?

– È vero, Padre Sergio, la sua vita non è stata facile.

– E nonostante tutto il dolore e la sofferenza non ha mai perso la speranza, non ha mai smesso di avere fiducia, la sua fede le ha sempre ricordato che i piani di Dio erano perfetti, e che per quanto le cose si facessero oscure e difficili, tutto sarebbe andato bene… E con la grazia Dio trovò la forza di sopportare tutto questo ed avere pace. È anche stata con noi, con i suoi figli, per tutti questi anni… per venire in nostro aiuto, come una buona madre…

In quel momento ci siamo inginocchiati entrambi davanti alla Vergine di Fatima, gli ho dato il mio Rosario e ho detto:

– Jorge: Maria, tua Madre, aveva molta fede. Ecco perché, anche in mezzo alle peggiori tempeste, è andata sempre avanti. Ti invito a non preoccuparti così tanto, agisci meglio e chiedile come ha fatto. Tieni il Santo Rosario tra le mani e prega. Ad ogni Ave Mariachiedile di insegnarti a restare in piedi e fiducioso di fronte ad ogni difficoltà… prega la Madonna e poi vieni a dirmi come va con lo stress… vedrai che tutto sarà diverso”.

Jorge ha cominciato a piangere e mi ha detto:

– Padre, prometto alla Santissima Vergine – davanti a voi – che pregherò il Rosario tutti i giorni, le chiedo di sostenermi e di riempirmi di speranza. Per sapere che tutto andrà bene, con l’aiuto di suo Figlio Gesù.

Pochi giorni dopo ci siamo incontrati in una libreria:

– Padre, quanto ringrazio Dio per averla messo sulla mia strada! Ora prego la Vergine tutti i giorni e mi sento così bene… non sono solo, ora mi aiuta la Vergine. Quel giorno sono venuto da lei per trovare dei modi per diminuire lo stress, ma mi avete dato qualcosa di meglio: mi avete insegnato il potere della preghiera alla Vergine Maria con il Santo Rosario “.

Com’era felice! Ancora una volta la mia Madre Celeste ha aiutato e sostenuto i suoi figli. Per favore, non smettete mai di pregare il Rosario!

Fonte: Papaboys

“Ho visto i morti,: ecco come sarà l’aldilà e cosa si fa”: Le confessioni di Mamma Natuzza

Molti anni fa discorrevo con un noto sacerdote carismatico che aveva fondato un gruppo ecclesiale riconosciuto da alcuni Vescovi. Iniziammo a parlare di Natuzza Evolo e, con mia grande sorpresa, il sacerdote affermò che, secondo lui, Natuzza faceva dello spiritismo a buon mercato. Rimasi molto contrariato da questa affermazione, per una forma di rispetto non risposi al famoso sacerdote ma, nel mio cuore, subito pensai che tale grave affermazione nasceva da una forma non nobile di invidia verso una povera donna analfabeta alla quale migliaia di persone si rivolgevano ogni mese ottenendone sempre un sollievo nell’anima e nel corpo. Con gli anni cercai di studiare il rapporto di Natuzza con i defunti e mi resi completamente conto che la mistica calabrese non andava assolutamente considerata come una “medium”. Infatti, Natuzza non invoca i defunti chiedendo loro di venire da lei e …… le anime dei morti le compaiono non per sua decisione e volontà, ma unicamente per volontà delle anime stesse grazie ovviamente al permesso divino.

Quando le persone le chiedevano di avere dei messaggi o delle risposte alle loro domande, da parte dei loro defunti, Natuzza rispondeva sempre che questo loro desiderio non dipendeva da lei, ma unicamente dal permesso di Dio ed invitava loro a pregare il Signore affinché questo loro pio desiderio venisse esaudito. Il risultato era che alcune persone ricevevano messaggi da parte dei loro trapassati, ed altri invece non erano esauditi, mentre Natuzza avrebbe desiderato accontentare tutti. Comunque, l’angelo custode la informava sempre se tali anime nell’aldilà avevano più o meno bisogno di suffragi e di sante Messe.

Nella storia della spiritualità cattolica apparizioni di anime del Paradiso, del Purgatorio e talora anche dell’Inferno, sono avvenute nella vita di numerosi mistici e di santi canonizzati. Per quanto riguarda il Purgatorio, possiamo tra i numerosissimi mistici, ricordare: San Gregorio Magno, da cui è derivata la pratica delle Messe celebrate di seguito per un mese, dette appunto “Messe Gregoriane”; santa Geltrude, santa Teresa d’Avila, santa Margherita da Cortona, santa Brigida, santa Veronica Giuliani e, più vicini a noi, pure santa Gemma Galgani, santa Faustina Kowalska, Teresa Newmann, Maria Valtorta, Teresa Musco, san Pio da Pietrelcina, Edwige Carboni, Maria Simma e tanti altri. E’ interessante sottolineare che mentre per questi mistici le apparizioni delle anime del Purgatorio avevano l’obiettivo di accrescere la loro stessa fede e a spronarli a maggiori preghiere di suffragio e di penitenze, così di affrettare il loro ingresso in Paradiso, nel caso di Natuzza, invece, oltre ovviamente a tutto ciò, questo carisma le è stato accordato da Dio per un’ampia attività di consolazione del popolo cattolico e in un periodo storico in cui, nella catechesi e nella omiletica, il tema Purgatorio è quasi completamente assente, per rafforzare nei cristiani la fede nella sopravvivenza dell’anima dopo la morte e nell’impegno che la Chiesa militante deve offrire a favore delle Chiesa sofferente.

I defunti ribadivano a Natuzza l’esistenza del Purgatorio, del Paradiso e dell’Inferno, a cui venivano inviati dopo la morte, come premio o castigo per la loro condotta di vita. Natuzza, con le sue visioni, confermava l’insegnamento plurimillenario del Cattolicesimo, cioè che immediatamente dopo la morte, l’anima del defunto viene condotta dall’angelo custode, al cospetto di Dio e ne viene perfettamente giudicata in tutti i minimi particolari della sua esistenza. Coloro che venivano inviati nel Purgatorio, richiedevano sempre, tramite Natuzza, orazioni, elemosine, suffragi e soprattutto sante Messe affinché fossero loro abbreviate le pene.

Secondo Natuzza, il Purgatorio non è un posto particolare, ma uno stato interiore dell’anima, la quale fa penitenza “negli stessi luoghi terreni dove ha vissuto ed ha peccato”, dunque anche nelle stesse case abitate durante la vita. Talvolta le anime fanno il loro Purgatorio anche dentro le chiese, quando è stata superata la fase di maggiore espiazione. Il nostro lettore non deve meravigliarsi di queste affermazioni di Natuzza, perché la nostra mistica, senza saperlo, ripeteva cose già affermate da papa Gregorio Magno nel suo libro dei Dialoghi. Le sofferenze del Purgatorio, benché siano alleviate dal conforto dell’angelo custode, possono essere molto aspre. A testimonianza di ciò a Natuzza capitò un singolare episodio: Ella vide una volta un defunto e gli chiese dove si trovasse. Il morto le rispose di trovarsi tra le fiamme del Purgatorio, ma Natuzza, vedendolo sereno e tranquillo, gli osservò che, a giudicare dal suo aspetto, ciò non doveva essere veritiero. L’anima purgante le ribadì che le fiamme del Purgatorio se le portava con sé, dovunque andasse. Mentre proferiva queste parole ella lo vide avvolto dalle fiamme. Credendo che si trattasse di una sua allucinazione, Natuzza gli si avvicinò, ma venne investita dal calore delle fiamme che le procurarono una fastidiosa ustione alla gola e alla bocca che le impedì di nutrirsi normalmente per ben quaranta giorni e fu costretta a rivolgersi alle cure del dottor Giuseppe Domenico valente, medico condotto di Paravati. Natuzza ha incontrato numerosissime anime sia illustri che sconosciute. Lei che ha sempre detto di essere ignorante ha incontrato anche Dante Alighieri, che le ha rivelato di aver scontato trecento anni di Purgatorio, prima di poter entrare in Paradiso, perché anche se aveva composto sotto ispirazione divina, le cantiche della Commedia, purtroppo aveva dato spazio, nel suo cuore, alle proprie simpatie ed antipatie personali, nell’assegnare i premi e le pene: da qui il castigo di trecento anni di Purgatorio, trascorsi però al Prato Verde, senza soffrire altra sofferenza che quella della mancanza di Dio. Numerose testimonianze sono state raccolte sugli incontri tra Natuzza e le anime della Chiesa sofferente.

La professoressa Pia Mandarino, di Cosenza, ricorda: “In seguito alla morte di mio fratello Nicola, avvenuta il 25 gennaio 1968, caddi in uno stato di depressione e persi la fede. Mandai a dire a Padre Pio, che avevo conosciuto tempo prima: “Padre, rivoglio la mia fede!”. Per motivi a me ignoti non ricevetti subito la risposta del Padre e, nel mese di agosto, andai a trovare Natuzza per la prima volta. Le dissi: “Io in chiesa non ci vado, la Comunione non la faccio più…”. Natuzza si fece una risatina, mi accarezzò e mi disse: “Non ti preoccupare, che verrà presto il giorno nel quale non ne potrai fare a meno. Tuo fratello è salvo, ed ha fatto una morte da martire. Ora ha bisogno di preghiere ed è dinnanzi ad un quadro della madonna, in ginocchio, che prega. Soffre perché sta in ginocchio”. Le parole di Natuzza mi rasserenarono e, qualche tempo dopo, mi arrivò, tramite Padre Pellegrino, la risposta di Padre Pio: “Tuo fratello si è salvato, ma ha bisogno di suffragi”. La stessa risposta di Natuzza! Come Natuzza mi aveva predetto, sono ritornata alla fede ed alla frequenza della Messa e dei sacramenti. Circa quattro anni fa ho appreso da Natuzza che Nicola è andato in Paradiso, subito dopo la prima Comunione dei suoi tre nipotini che, a San Giovanni Rotondo, hanno offerto la loro prima Comunione per lo zio”.

La signorina Antonietta Polito di Briatico sul rapporto di Natuzza con l’aldilà porta la seguente testimonianza: “Avevo avuto un litigio con una mia parente. Poco tempo dopo, recatami da Natuzza, ella, posandomi la mano sulla spalla, mi disse: “Vi siete bisticciata?”. “E voi come lo sapete?”. “Me lo ha detto il fratello (defunto) di quella persona. Vi manda a dire di cercare di evitare questi litigi perché lui ne soffre”. Io non avevo parlato per nulla di questo fatto a Natuzza e lei non poteva averlo saputo da nessuno. Mi nominò esattamente la persona con la quale avevo litigato. Un’altra volta Natuzza mi disse a proposito di questo stesso defunto che era contento perché la sorella gli aveva ordinato le messe gregoriane. “Ma chi ve lo ha detto?”, le chiese, e lei: “Il defunto”. Molto tempo prima le avevo domandato notizie di mio padre, Vincenzo Polito, morto nel 1916. mi chiese se avessi una sua foto, ma le risposi di no, perché in quell’epoca non se ne facevano ancora, da noi. La volta seguente che andai da lei mi informò che da molto tempo era in paradiso, perché andava in chiesa mattina e sera. Io non sapevo di questa sua abitudine, perché quando mio padre morì avevo appena due anni. mia madre, poi, da me interpellata, me lo confermò”.

La signora Teresa Romeo di Melito Portosalvo ha dichiarato: “Il 5 settembre 1980 morì una mia zia. Lo stesso giorno dei funerali una mia amica andò da Natuzza e le chiese notizie della defunta. “E’ salva!”, le rispose. Quando furono trascorsi quaranta giorni, io mi recai da Natuzza, ma mi ero dimenticata della zia e non avevo portato con me la sua foto, per farla vedere a Natuzza. Ma questa, appena mi vide, mi disse: “O Teresa, sai chi ho visto ieri? Tua zia, quella vecchierella che è morta per l’ultima (Natuzza non l’aveva mai conosciuta in vita) e mi ha detto “Sono la zia di Teresa. Ditele che sono contenta di lei e di quello che ha fatto per me, che ricevo tutti i suffragi che mi manda e che prego per lei. Io mi sono purificata sulla terra”. Questa mia zia, quando morì, era cieca e paralizzata a letto”.

La signora Anna Maiolo residente a Gallico Superiore narra: “Quando mi recai per la prima volta da Natuzza, dopo la morte di mio figlio, ella mi disse: “Vostro figlio è in un luogo di penitenza, come del resto avverrà a tutti noi. Beato chi può andare in Purgatorio, perché ce ne sono che vanno all’Inferno. Ha bisogno di suffragi, ne riceve, ma ha bisogno di molti suffragi!”. Io allora feci fare varie cose per mio figlio: feci celebrare molte messe, feci fare una statua della Madonnina Ausiliatrice per le Suore, comprai un calice ed un ostensorio in sua memoria. Quando tornai da Natuzza ella mi disse: “Vostro figlio non ha bisogno di niente!”. “Ma come, Natuzza, l’altra volta mi avevate detto che aveva bisogno di tanti suffragi!”. “Basta tutto quello che avete fatto!”, mi rispose. Io non l’avevo informata di quanto avevo fatto per lui. Sempre la signora Maiolo testimonia: “Il 7 dicembre del 1981, vigilia dell’Immacolata, dopo la Novena, io ritornavo a casa mia, accompagnata da una mia amica, la signora Anna Giordano. In chiesa avevo pregato Gesù e la Madonna, dicendo loro: “Gesù mio, Madonna mia, datemi un segno quando mio figlio entrerà in paradiso”. Giunta vicino a casa mia, mentre stavo per salutare la mia amica, di colpo, vidi nel cielo, sopra la casa, un globo luminoso, della grandezza della luna, che si muoveva, ed in pochi secondi disparve. Mi sembrava che avesse una scia azzurrina. “Mamma mia, cosa è?”, esclamò la signora Giordano, impaurita come me. Corsi dentro a chiamare mia figlia ma il fenomeno era già cessato. Il giorno dopo chiamai l’Osservatorio geofisico di Reggio Calabria, chiedendo se la sera prima ci fosse stato qualche fenomeno atmosferico, o qualche stella cadente di grandi dimensioni, ma mi risposero di non aver osservato niente. “Avete visto un aereo”, mi dissero, ma ciò che io e la mia amica avevamo visto non aveva nulla a che fare con gli aerei: era una sfera luminosa simile alla luna. Il 30 dicembre successivo mi recai con mia figlia da Natuzza, le narrai il fatto, ed ella mi spiegò così: “Era una manifestazione di vostro figlio che entrava in paradiso”. Mio figlio era morto il 1° novembre 1977 ed il 7 dicembre 1981 era dunque entrato in paradiso. Natuzza, prima di questo episodio, mi aveva sempre assicurato che lui stava bene, tanto che, se io lo avessi visto nel posto dove stava, gli avrei certo detto: “Figlio mio, stai pure là” e che pregava sempre per la mia rassegnazione. Quando io dicevo a Natuzza: “Ma non aveva fatto ancora la cresima”, ella avvicinandosi a me, e parlandomi col volto, come fa, con la lucentezza dei suoi occhi, mi rispondeva: “Ma era puro di cuore!”.

Il professor Antonio Granata, docente all’Università di Cosenza, porta quest’altra sua esperienza con la mistica calabrese: “Martedì 8 giugno 1982, durante un colloquio, mostro a Natuzza le fotografie di due mie zie, di nome Fortunata e Flora, morte da un paio d’anni e alle quali sono stato molto affezionato. Ci scambiammo queste frasi: “Queste sono due mie zie morte da qualche anno. Dove si trovano?”. “Sono in un luogo buono”. “Sono in paradiso?”. “Una (indicando la zia Fortunata) è al Prato Verde, l’altra (indicando la zia Flora) è in ginocchio davanti al quadro della Madonna. Comunque sono salve tutte e due”. “Hanno bisogno di preghiere?”. “Potete aiutarle ad accorciare il loro periodo d’attesa” e, prevedendo una mia ulteriore domanda aggiunge: “E come potete aiutarle? Ecco: recitando qualche Rosario, qualche preghiera durante il giorno, facendo qualche comunione, o se fate qualche opera buona la dedicate a loro”. Il professor Granata continua nel suo racconto: “Nei primi giorni del luglio successivo faccio un pellegrinaggio ad Assisi con dei Frati francescani e rivengo in contatto con la realtà dell’indulgenza della Porziuncola che conoscevo superficialmente già da anni (infatti già molte volte avevo visitato la Porziuncola) ma alla quale non attribuivo alcun significato particolare non avendo riacquistato la fede. Ma adesso una indulgenza plenaria mi sembrò una cosa strabiliante, “dell’altro mondo”, e decido subito di lucrarla per le mie zie. Stranamente, per quanto mi informi, non riesco ad ottenere chiare informazioni sulla corretta prassi da seguire: penso che essa possa essere lucrata in ogni giorno dell’anno e così infatti faccio durante quel pellegrinaggio chiedendola per entrambe le mie zie. Fortunatamente, alcune settimane dopo, nella mia parrocchia, trovo nel fogliettino della Messa domenicale la prassi corretta, da eseguirsi tra il 1° e il 2 agosto e a favore di una sola persona. Il 1° agosto 1982, dopo varie peripezie (non è facile confessarsi e comunicarsi nel mese di agosto!), chiedo l’indulgenza per la zia Fortunata. Mercoledì, 1° settembre 1982, ritorno da Natuzza e mostrandole le foto delle mie zie accenno alle risposte da lei datemi precedentemente e alla mia richiesta dell’indulgenza della Porziuncola. Natuzza ripete tra di sé: “L’indulgenza della Porziuncola” e guardando le foto risponde subito senza esitazioni: “Questa (indicando la zia Fortunata) è già in paradiso; questa (indicando la zia Flora) non ancora”. Io rimango molto sorpreso e contento e chiedo per conferma: “Ma è stato proprio per l’indulgenza?”. Natuzza risponde: “Sì, sì, l’indulgenza della Porziuncola”. Voglio aggiungere che io rimasi molto stupito e confortato da questo episodio: stupito di come una grazia così grande sia stata concessa dietro pochissima fatica da parte mia; confortato e felice del fatto che una preghiera detta da un poveretto come me sia stata ascoltata. Sento come se con questa grazia sia stato suggellato il mio recente ritorno alla Chiesa. Riguardo alla zia Flora chiedo l’indulgenza plenaria il 1° novembre successivo e giovedì 18 novembre 1982 ricevo da Natuzza la seguente risposta: “Adesso (Flora) si trova in paradiso si trova al Prato Verde; è andata lì per i suffragi ricevuti”.

Il dottor Franco Stilo racconta: “Nel 1985 o nel 1984 mi sono recato da Natuzza e le ho fatto vedere le foto di una mia zia e di mio nonno, defunti. Le feci vedere prima la foto di mia zia. Natuzza, immediatamente, con una rapidità impressionante, senza nemmeno pensarci minimamente, si illuminò nel volto e, tutta contenta, disse: “Questa è santa, si trova in paradiso con la Madonna”. Quando prese la foto di mio nonno, cambiò invece espressione, e disse: “Questo ha molto bisogno di suffragi”. Io rimasi stupefatto per la rapidità e la sicurezza con la quale diede le risposte. La zia, Antonietta Stilo, nata il 3.3.1932 e morta l’8.12.1980 a Nicotera, fin da bambina era religiosissima e a 19 anni andò a Napoli per diventare suora, ma subito dopo si ammalò e non potè proseguire, ma pregava sempre, era molto buona e gentile con tutti, ed offrì sempre la sua malattia al Signore; mio nonno Giuseppe Stilo, invece, il padre della zia, nato il 5.4.1890 e morto il 10.6.1973 non pregava mai, non andava mai a messa, qualche volta bestemmiava e forse non credeva in Dio, mentre la zia era tutto l’opposto. Natuzza di tutto ciò naturalmente non poteva sapere nulla ed io, ripeto, rimasi meravigliatissimo per la rapidità eccezionale con la quale Natuzza mi diede le risposte”.

Il professor Valerio Marinelli, uno scienziato autore di diversi libri sulla Evolo, una volta le domandò: “Soffrono anche il freddo, ad esempio, le anime del Purgatorio?”. E lei: “Sì, anche il vento e il gelo, a seconda dei peccati hanno una pena particolare. Ad esempio ai superbi, ai vanitosi ed agli orgogliosi, è destinato di stare nel fango, ma non è un fango normale, è un fango di putredine. Il tempo nell’aldilà è come questo qua, ma sembra più lento a causa della sofferenza. Nessuno conosce i misteri dell’aldilà, e gli scienziati conoscono solo la millesima parte di quello che c’è qui nel mondo terreno”.

Il dottor Ercole Versace di Reggio Calabria ricorda: “Un mattino di tanti anni fa, mentre io, mia moglie e Natuzza pregavamo insieme nella cappellina a Paravati, e non c’era nessun altro con noi, ad un certo punto Natuzza divenne luminosa in volto e mi disse: “Dottore, voi avevate un fratello che è morto quando era piccolo?”. Ed io: “Sì, perché?”. “Perché è qua con noi!”. “Sì, e dove sta?”. “In un prato verde, bellissimo”. Si trattava di mio fratello Alberto, che morì a quindici anni, il 21 maggio 1940, per un attacco appendicolare, mentre studiava a Firenze al Collegio della Quercia. Natuzza non aggiunse altro”.

Suor Bianca Cordiano delle Missionarie del Catechismo, dichiara: “Ho chiesto molte volte a Natuzza dei mie parenti defunti. Quando le ho domandato di mia madre mi ha detto subito, con un’espressione di gioia: “E’ in paradiso! Era una santa donna!”. Quando le domandai di mio padre, mi disse: “La prossima volta che venite vi darò la risposta”. Quando la rividi, Natuzza mi disse: “il 7 ottobre fate celebrare una Messa per vostro padre, perché salirà in paradiso!”. Rimasi colpita profondamente da queste sue parole, perché il 7 ottobre è la festa della Madonna del Rosario e mio padre si chiamava proprio Rosario. Natuzza non conosceva il nome di mio padre”. E’ opportuno adesso riportare una parte dell’intervista del 1984 concessa dalla mistica calabrese al noto professore Luigi Maria Lombardi Satriani, docente di antropologia di estrazione marxista che però ha sempre lodato Natuzza Evolo, insieme all’illustre docente anche la giornalista Maricla Boggio intervistò Natuzza, utilizziamo le iniziali D. per Domanda e R. per risposta: “D. – Natuzza, sono ormai migliaia le persone che sono venute da lei e continuano a venire. Per che cosa vengono, quali bisogni vi dicono, quali richieste vi fanno? R. – Richieste per malattie, se il medico ha indovinato la cura. Domandano per i morti, se sono in paradiso, se sono in purgatorio, se hanno bisogno o no, per consigli. D. – E voi come fate a rispondere loro. Per i morti, ad esempio, quando vi domandano dei morti. R. – Per i morti li riconosco se li ho visti per esempio 2, 3 mesi prima; se li ho visti un anno prima non li ricordo, ma se li ho visti da poco tempo li ricordo, attraverso la fotografia li riconosco. D. – Quindi vi mostrano la fotografia e voi potete anche dire dove si trovano? R. – Sì, dove si trovano, se sono in paradiso, in purgatorio, se hanno bisogno, se mandano a dire qualche messaggio ai parenti. D. – Voi potete anche riferire ai morti messaggi dei vivi, dei familiari? R. – Sì, pure dei vivi. D. – Ma una persona, quando muore, voi subito dopo potete vederla o no? R. – No, dopo quaranta giorni. D. – E dove si trovano durante questi quaranta giorni le anime? R. – Non dicono dove, non hanno mai parlato di questo. D. – E loro possono essere al purgatorio o al paradiso o all’inferno? R. – O all’inferno, sì. D. – O anche in qualche altro posto? R. – Loro dicono che il purgatorio lo fanno sulla terra, dove hanno vissuto, dove hanno commesso i peccati. D. – Voi certe volte parlate del prato verde. Che cos’è il Prato Verde? R. – Loro lo dicono, che è l’anticamera del paradiso. D. – E voi come fate a distinguere, quando vedete le persone, se sono vive o se sono morte. Perché voi le vedete contemporaneamente. R. – Non sempre le distinguo, perché tante volte mi è capitato di dare la sedia ad un morto perché non distinguo se è vivo o se è morto. Distinguo solo le anime del paradiso perché sono sollevate da terra. Le altre invece no, le piglio per vivi. Infatti quante volte do loro la sedia e loro mi dicono: “Non ho bisogno perché sono un’anima dell’altro mondo”. E poi mi parla del parente presente perché tante volte capita che, quando viene, per esempio, una persona, è accompagnata dal fratello morto o dal padre che mi dice tante cose da suggerire al figlio. D. – Queste voci dei morti le ascoltate solo voi? Gli altri nella stanza non le sentono? R. –No, solo io, io ripeto quello che sento.

Lo scienziato Valerio Marinelli che, a lungo, ha studiato i fenomeni paranormali di Natuzza raccogliendo varie testimonianze, ricorda: “Nel 1985 la signora Jolanda Cuscianna, di Bari, mi incaricò di chiedere a Natuzza della mamma Carmela Tritto, morta nel settembre del 1984. questa signora era stata testimone di Geova e la figlia era preoccupata per la sua salvezza. Già padre Pio, quando la mamma era ancora in vita, le aveva detto che si sarebbe salvata, ma la signora Cuscianna voleva la conferma di Natuzza. Natuzza, alla quale non parlai del responso di Padre Pio, ma dissi solo che era stata testimone di Geova, mi disse che quell’anima era salva, ma che aveva bisogno di suffragi. La signora Cuscianna pregò molto per la mamma e le fece celebrare anche le Messe gregoriane. Quando fu richiesto a Natuzza, un anno dopo, ella disse che era andata in paradiso”.

Sempre il professor Marinelli ricorda, riguardo alla tematica del Purgatorio: “Padre Michele la interrogò dopo su questo tema, e Natuzza gli ribadì che effettivamente le sofferenze del Purgatorio possono essere molto acute, tanto che si parla di fiamme del Purgatorio, per farci capire l’intensità del loro dolore. Le anime del Purgatorio possono essere suffragate dagli uomini vivi, ma non dalle anime dei defunti, nemmeno da quelle del paradiso; soltanto la Madonna, tra le anime del cielo, può aiutarle. E durante la celebrazione della Messa, disse Natuzza a padre Michele, molte anime si affollano all’interno delle chiese, aspettando come mendicanti la preghiera del sacerdote a loro vantaggio. Il 1° ottobre del 1997 ebbi l’occasione di incontrare Natuzza presso la Casa Anziani, alla presenza di padre Michele, e tornai ancora con lei su questo argomento. Le chiesi se fosse vero che le sofferenze della terra sono poca cosa rispetto a quelle del Purgatorio, e lei mi rispose che le pene del Purgatorio sono sempre commisurate ai peccati compiuti dalla singola anima; che le sofferenze terrene, se accettate con pazienza ed offerte a Dio, hanno grande valore, e possono accorciare di molto il proprio Purgatorio: un mese di sofferenza terrena potrebbe evitare, ad esempio, un anno di purgatorio, come capitò a mia madre; mi ricordò Natuzza, che con la sua malattia avuta prima di morire ebbe risparmiata una parte di Purgatorio e andò quasi subito al Prato Verde, dove non si soffre pur non avendo ancora la visione beatifica. Le sofferenze del Purgatorio, aggiunse Natuzza, possono essere talvolta più aspre perfino di quelle dell’Inferno, ma le anime le sopportano volentieri perché sanno che prima, o dopo, avranno la visione eterna di Dio e sono sorrette da questa certezza; inoltre arrivano a loro i suffragi che mitigano ed abbreviano le loro pene. Qualche volta hanno il conforto dell’angelo custode. Tuttavia a qualche anima che aveva gravemente peccato, ha raccontato Natuzza, è capitato di essere rimasta per molto tempo in dubbio sulla propria salvezza, stando sopra un precipizio da dove da una parte c’era il buio, da un’altra il mare, e dall’altra il fuoco, e l’anima non sapeva se fosse in Purgatorio oppure all’Inferno. Solo dopo quarant’anni apprese di essersi salvata, e fu felicissima”.

Le testimonianze sulle visioni di Natuzza sul Purgatorio sono in accordo con i dati del Magistero, inoltre esse costituiscono una conferma preziosa di verità di fede professata. Natuzza ci fa capire che cosa significhi infinita misericordia e infinita giustizia di Dio, che non sono in contrasto tra di loro, ma si armonizzano mirabilmente senza nulla togliere né alla misericordia né alla giustizia. Natuzza sottolinea spesso l’importanza delle preghiere e dei suffragi per le anime del Purgatorio e soprattutto la richiesta di celebrazioni di sante Messe ed in tal modo sottolinea l’infinito valore del sangue di Cristo Redentore. La lezione della Evolo è estremamente preziosa oggi in un periodo storico nel quale impazzano il pensiero debole relativista ed il nichilismo. Il messaggio di Natuzza è un forte richiamo alla realtà e al buonsenso. In particolare Natuzza invita ad avere un profondo senso del peccato. Una delle grandi disgrazie di oggi è appunto la perdita completa del senso del peccato. Le anime purganti sono in numero enorme. Ciò ci fa capire sia la misericordia di Dio, che salva quanto più è possibile, e sia i difetti e le carenze anche delle anime migliori.

La vita di Natuzza è servita non solo ad aiutare le anime sofferenti in Purgatorio, ma a rinvigorire la coscienza di tutti coloro che si rivolgevano a lei sulla gravità del peccato e così impostare una vita cristiana molto più rigorosa e impegnata moralmente. Natuzza parlava spesso del Purgatorio ed anche questo è un suo grande insegnamento perché purtroppo, assieme ai Novissimi, anche il tema del Purgatorio è quasi completamente scomparso dalla predicazione e dall’insegnamento di molti teologi cattolici. La ragione è costituita dal fatto che oggi tutti (anche gli omosessuali) ci crediamo talmente buoni da non poter meritare altro che il Paradiso! Qui c’è certamente la responsabilità della cultura contemporanea che tende a negare il concetto stesso di peccato, cioè proprio di quella realtà che la fede lega all’Inferno e al Purgatorio. Ma nel silenzio sul Purgatorio c’è anche qualche altra responsabilità: la protestantizzazione del cattolicesimo. In conclusione l’insegnamento di Natuzza sul Purgatorio può essere sommamente utile alla salvezza dell’anima dei cattolici del XXI secolo che vorranno ascoltarla.

Fonte: Papaboys

Chi è venuto dall’aldilà? Santa Gemma Galgani


Una devota di S. Gemma Galgani depose:
«Nel 1906, da circa dieci mesi ero sofferente di forte dolore al capo, nel quale sentivo come tanti carboni accesi, in maniera che mi sembrava che mi bollisse il cervello; mi si bruciò anche tutta la bocca, in maniera che non potevo mangiare e dovevo contentarmi soltanto di bevande diacce, e qualche volta anche d un po’ di minestra, ma diaccia. Il dottor Lippi Castruccio mi fece quattordici visite, e dopo aver sperimentato molti mezzi per farmi guarire, alla fine mi disse: Carina mia, se fosse una rapa o una mela potrei spaccarla e vedere quello che c’è dentro; ma io non so più cosa farti; rassegnati alla volontà di Dio. — Allora io, alzando gli occhi al Cielo e con le mani giunte, dissi: Gemma, se è vero che tu sei in Paradiso, dammi questo segno, fammi la grazia, guariscimi. Detto così, mi sentii guarita all’istante.
Avevo promesso a Gemma che se avessi ottenuto la grazia della guarigione, l’avrei pubblicata immediatamente in suo onore. Però non la pubblicai subito perché volevo accertarmi se me l’aveva fatta completa. Non ho avuto più nulla e ho ripreso i miei sonni e le mie abitudini senza sentire mai più il minimo dolore di capo, e già sono passati sedici anni dalla grazia ricevuta.
Il medico aveva diagnosticato che la mia malattia fosse una meningite progressiva e tanto grave che ritrovandomi un giorno per la strada, meravigliato nel vedermi, disse: Oh che fai? Ti credevo nella tomba. Grazia speciale!
Il Padre Germano, direttore spirituale di S. Gemma, nei processi per la beatificazione della medesima (nei quali è contenuta la relazione del miracolo), fa questa precisazione: Dall’inizio della malattia, dicembre 1906, ai primi di ottobre dell’anno successivo non potè mai dormire più di un’ora circa il giorno.
Questa è la pura verità — attestò la miracolata nel certificato che rilasciò al medesimo Padre — e la confermo con giuramento, io Isolina Serafini.

(Dai Processi di beatificazione della Serva di Dio Gemma Galgani).

Édith Piaf e Santa Teresa di Lisieux, la storia di una devozione incondizionata

L’icona della canzone francese era profondamente devota alla santa da quando era guarita miracolosamente da bambina dopo un pellegrinaggio a Lisieux.

Édith Gassion, nata il 19 dicembre 1915 a Parigi, a quanto pare era destinata a un futuro molto speciale già da bambina. Conosciuta a livello internazionale come Édith Piaf, è ancora oggi nota come una delle voci più belle della canzone francese, grazie a brani famosi come La vie en rose,Non, je ne regrette rien o il famoso Hymne à l’amour.

La sua vita è stata tanto breve quanto intensa, ed è iniziata con un’infanzia non troppo fortunata. Figlia di una cantante di strada e di un contorsionista, venne rapidamente abbandonata dalla madre, che la lasciò per potersi guadagnare da vivere. Il padre, soldato durante la I Guerra Mondiale, affidò allora la piccola Édith alla nonna paterna.

All’epoca la nonna gestiva un bordello in Normandia, a Bernay, a circa trenta chilometri da Lisieux. La bambina vi trascorse alcuni anni prima di tornare con il padre, una volta finita la guerra, in un’itineranza durante la quale iniziò a cantare in strada per guadagnare un po’ di denaro.

Qualche anno dopo attirò l’attenzione di Louis Leplée, direttore di una salone di spettacoli agli Champs Élisées, che la soprannominò “la môme Piaf”, “il piccolo passero”, perché era piccolina, e lanciò la sua carriera.

La vita Édith Piaf è stata piena di difficoltà. Per via dei suoi tanti amanti e delle storie amorose finite con uno scandalo alcuni la definirono libertina. A causa dei tanti matrimoni che aveva contratto le venne negato anche il servizio funebre religioso.

C’è però una cosa che va al di là delle critiche: la fedeltà di Édith alla devozione a Santa Teresa di Lisieux dopo il miracolo che aveva sperimentato da bambina.

Destinata alla cecità

A 6 anni, la piccola Édith sviluppò una cheratite acuta, un’infiammazione della cornea che la lasciò cieca. Dopo tanti trattamenti che non avevano avuto effetto la nonna, le “ragazze di vita” del bordello ed Édith stessa si rassegnarono a che rimanesse cieca. Un giorno, però, la nonna decise di andare con le sue “figlie” in pellegrinaggio a Lisieux, portando con sé anche Édith.

Forse aveva sentito parlare delle guarigioni inaspettate di alcune persone che andavano a visitare la tomba di Santa Teresa. Una volta sul posto, tutte iniziarono a pregare davanti agli abitanti incuriositi. Veder arrivare quelle “ragazze di vita”, anche se vestite in modo rispettoso, con una bambina con una benda nera sugli occhi era quantomeno insolito. Di fronte alla tomba di Santa Teresa, strofinarono la fronte della piccola Édith con della terra e poi implorarono la santa perché aiutasse la bambina.

Un miracolo inspiegabile

Qualche giorno dopo Édith iniziò a recuperare la vista, di fronte allo sguardo felice della nonna e delle ragazze del postribolo. I medici erano scettici, ma la cosa certa è che la bambina aveva recuperato l’uso degli occhi e qualche anno dopo poté tornare con il padre per esibirsi in spettacoli organizzati qua e là.

Nel corso della sua vita Édith attribuì questo miracolo alle tante preghiere rivolte a Teresa di Lisieux, e da allora sviluppò una grande devozione nei confronti di questa santa.

Fede incrollabile

Da quel momento ogni settembre, nell’anniversario della morte di Teresa, Édith si recava a pregare al Carmelo di Lisieux. Per tutta la vita tenne al collo una medaglia con l’immagine della santa.

Prima di ogni esibizione faceva il segno della croce e recitava la stessa preghiera di protezione: “Teresa, ora canto per te!” Édith la considerava sua sorella spirituale, e a quanto pare erano cugine di quattordicesimo grado da parte del padre di Édith.

Malgrado tutte le difficoltà della sua vita, la fede della cantante non venne mai meno, anche se perse la figlia Marcelle a due anni e mezzo per una devastante meningite e poi vari amici e amanti, incluso l’amore della sua vita, il boxeur Marcel Cerdan. Nonostante tutto, conservò la fede fino alla fine.

Qualche giorno prima di morire disse alla sua infermiera:

“Non è possibile che una volta morti non siamo altro che polvere… C’è qualcosa che ci sfugge, che non sappiamo… Io credo in Dio. Sarebbe troppo ingiusto che chi ha sofferto su questa terra trovasse la pace solo una volta ridotto in polvere. Il Paradiso verrà… dopo il Giudizio Finale”.

 

Consacrazione all’Immacolata di San Massimiliano Kolbe

Carissimi Figli, nelle difficoltà, nelle tenebre, nelle debolezze, negli scoraggiamenti ricordiamoci che il Paradiso si sta avvicinando. Ogni giorno che passa è un intero giorno in meno di attesa.
Coraggio, dunque! Ella ci attende di là per stringerci al Cuore.
Inoltre, non date retta al diavolo, qualora volesse farvi credere che il paradiso non esiste, ma non per voi, perché, anche se aveste commesso tutti i peccati possibili, un solo atto di amore perfetto lava tutto al punto tale che non ci rimane neppure un’ombra.

Carissimi Figli, come desidererei dirvi, ripetervi quanto è buona l’Immacolata, per poter allontanare per sempre dai vostri piccoli cuori la tristezza, l’abbattimento interiore o lo scoraggiamento. La sola invocazione “Maria”, magari con l’anima immersa nelle tenebre, nelle aridità e perfino nella disgrazia del peccato, quale eco produce nel Suo Cuore che tanto ci ama! E quanto più l’anima è infelice, sprofondata nelle colpe, tanto più questo Rifugio di noi poveri peccatori la circonda di sollecita protezione.
Ma non affliggetevi mai se non sentite tale amore. Se volete amare, questo è già un segno sicuro che state amando; ma si tratta solo di un amore che procede dalla volontà.
Anche il sentimento esteriore è frutto della grazia, ma non sempre esso segue immediatamente la volontà. Vi potrà capitare, miei Cari, un pensiero, quasi una mesta nostalgia, una supplica, un lamento…: “Chissà se l’Immacolata mi ama ancora?”.
Figli amatissimi!
Lo dico a tutti insieme e a ciascuno in particolare nel Suo nome, notate bene, nel Suo nome: Ella ama ciascuno di voi, vi ama assai e in ogni momento senza alcuna eccezione.
Questo, carissimi Figli, ve lo ripeto nel Suo Nome.
(Lettera di S. Massimiliano Kolbe ai confratelli in Giappone il 13 aprile 1933)

 

 

O Immacolata, Regina del cielo e della terra,
Rifugio dei peccatori e Madre nostra amorosissima,
cui Dio volle affidare l’intera economia della misericordia,
io, indegno peccatore, mi prostro ai tuoi piedi,
supplicandoTi umilmente di volermi accettare tutto e completamente
come cosa e proprietà Tua,
e di fare ciò che Ti piace di me e di tutte le facoltà della mia anima
e del mio corpo, di tutta la mia vita, morte ed eternità.
Disponi pure, se vuoi, di tutto me stesso, senza alcuna riserva, per compiere
ciò che è stato detto di Te: “Ella ti schiaccerà il capo” (Gn 3,15),
come pure: “Tu sola hai distrutto tutte le eresie sul mondo intero” (Lit.),
affinché nelle Tue mani immacolate e misericordiosissime
io divenga uno strumento utile per innestare e incrementare
il più fortemente possibile la Tua gloria in tante anime smarrite e indifferenti
e per estendere in tal modo, quanto più è possibile, il benedetto regno del SS. Cuore di Gesù.
Dove Tu entri, infatti, ottieni la grazia della conversione e santificazione,
poichè ogni grazia scorre, attraverso le Tue mani, dal Cuore dolcissimo di Gesù fino a noi.
Amen

 

Maria è la Misericordia fatta Madre – Il Magnificat

Le parole più rivoluzionarie del Nuovo Testamento le pronuncia Maria con il suo Magnificat.
I biblisti potranno spiegare meglio il perché queste stesse parole le si ritrovano anche nell’antico testamento in bocca ad altre donne “graziate”, ma a noi poco importa sapere che origine hanno queste parole, ci commuove sapere che il Vangelo le pone sulle labbra di Maria: “Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”.

Si! Perché il nostro Dio stravolge le modalità del mondo, e ciò che nel mondo vale qualcosa davanti a Lui magari non vale nulla, e al contrario ciò che nel mondo non vale nulla davanti a Lui vale tutto.
Maria canta questo capovolgimento delle logiche del mondo.
Dà voce a tutti gli oppressi della storia, a tutti i piccoli, a coloro che vivono l’ingiustizia del pane, della povertà, delle contraddizioni della vita.
Maria annuncia la rivoluzione più grande che è sapere che non siamo sotto uno sguardo indifferente di un dio a cui non importa nulla di noi.
A Dio importa. Dio, in Gesù, non resta a guardare. Prende sul serio questa “minorità” e la eleva a predilezione.
Siamo figli di un Dio di parte, dell’Emmanuele, del “Dio con noi”, del Dio che ha messo mani alla storia mandando Suo Figlio.
Maria è essa stessa una Misericordia fatta Madre. Tutto il segreto di questa donna è nella sua umiltà. Non c’è nessuno più umile di lei, perché umiltà è sapersi totalmente di Qualcuno senza la superbia di pensare che si possa essere qualcosa senza Dio.
L’umile è chi sa che per stare in piedi bisogna avere la terra sotto i piedi, mentre i superbi sono quelli che pensano di non aver bisogno di nulla e proprio per questo invece di camminare inciampano. L’umile è chi ascolta per capire, il superbo invece è chi pensa che basti solo ragionare e così ascolta solo se stesso aumentando la propria confusione.

L’anima mia magnifica il Signore

e il mio spirito esulta il Dio salvatore,

perché ha guardato l’umiltà della sua serva.

D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.

Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente

e Santo è il suo nome:

di generazone in generazione la sua misericordia

si stende su quelli che lo temono.

Ha spiegato la potenza del suo braccio

ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore;

ha rovesciato i potenti dai troni

ha innalzato gli umili;

ha ricolmato di beni gli affamati

ha rimandato i ricchi a mani vuote.

Ha soccorso Israele suo servo

ricordandosi della sua misericordia

come aveva promesso ai nostri Padri

ad Abramo e alla sua discendenza per sempre.

La testimonianza dei coniugi Martin: la santità della tenerezza

Quando si conobbero ad Alençon Luigi Martin (1823-1894) e Zelia Guerin (1931-1877) capirono che il loro progetto di vita andava vissuto assieme, ma non s’immaginavano che avrebbero dovuto quasi “convertirsi” per capire a pieno il senso del matrimonio. Dopo essersi sposati il 13 luglio 1858, infatti, vivevano quasi come due consacrati, proprio perché entrambi, prima di incontrarsi, pensavano alla vita da religiosi. Poi grazie a una guida spirituale capirono il grande valore della chiamata alla generazione della vita e, sempre insieme, si aprirono a questo dono: ebbero nove figli, anche se solo cinque femmine arrivarono all’età adulta. Quattro di queste entrarono nel Carmelo, la quinta scelse un’altra congregazione religiosa. La più piccola, nata nel 1873, morì giovanissima, ma la sua incredibile esperienza spirituale la portò a essere riconosciuta come santa e dottore della Chiesa: si tratta di santa Teresa di Lisieux.

Luigi era un orologiaio e Zelia realizzava merletti, quindi la loro situazione economica era buona, ma in casa Martin lo stile era all’insegna dell’essenzialità, della semplicità, ma anche della dolcezza, della delicatezza e della tenerezza. Virtù che santa Teresina raccontò di riconoscere molto bene nel padre. La partecipazione alla vita della parrocchia, ai sacramenti e l’impegno verso gli ultimi erano la “corona” di una quotidianità vissuta nella condivisione di gioie e dolori ma anche nell’entusiasmo di veder crescere il nucleo domestico. Per Zelia non vi era impegno più affascinante ed entusiasmante dello stare accando ai propri figli e la morte di alcuni di loro era stata accolta con serenità pur nella sofferenza. Zelia morì a 45 anni di tumore, Luigi 17 anni dopo, consumato dalla sclerosi ma sempre fedele al progetto che aveva condiviso fin dall’inizio con la moglie.

Il loro messagigo è chiaro: anche fare i genitori è una vocazione che va coltivata, fatta crescere, custodita e sostenuta spiritualmente. Ora, sempre insieme, la Chiesa li ha riconosciuti santi.

(Basilica Nostra Signora delle Vittorie, Parigi)

Santa Teresa di Calcutta e la Medaglia Miracolosa

Madre Teresa di Calcutta era una sostenitrice instancabile della medaglia miracolosa, ne portava sempre numerose con sé e ne distribuiva una quantità enorme. Prendeva una medaglia fra le mani, la baciava, si raccoglieva un attimo in preghiera e poi la regalava. La donava ai bambini con una caramella. Chi conosceva la Madre sapeva che aveva ricevuto un bene prezioso, perché quel gesto di predilezione faceva nascere come un legame indelebile con lei, che garantiva il suo ricordo e la sua intercessione alla Madonna nella preghiera.

Madre Teresa, di passaggio a Parigi, un giorno si recò a pregare proprio a Rue du Bac nella chiesa dove la Vergine apparve a Santa Catherine Labouré. Subito vi fu fermento fra le suore, perché venne riconosciuta e la superiora si affrettò ad andarle incontro per accoglierla degnamente. Non sapendo cosa offrirle di meglio, le chiese se poteva far preparare per lei un buon numero di medaglie perché le portasse con sé. E le chiese: «Quante ne desidera, Madre? 50, 100… o 300?». La Madre la guardò con quel sorriso fra il bonario e il birichino, poi chiese cordialmente: «Andrebbero bene… 30.000? Sì?».

Per diversi anni se le procurò dalle Figlie della Carità della Garbatella a Roma. In cambio, queste le chiesero un giorno di pregare perché Dio mandasse loro qualche vocazione, e quella stessa settimana arrivò una novizia. Madre Teresa donò una medaglietta anche a Mons. Comastri, che la incastrò nel suo anello da arcivescovo.

Anche il miracolo della beatificazione di Madre Teresa è legato alla medaglia miracolosa. Monica Besra, 35 anni, del Bengala Occidentale, soffriva di tumore al ventre, che le si era notevolmente gonfiato. Il 5 settembre 1998, nel primo anniversario della morte della Madre, una suora prese una medaglia miracolosa che era stata a contatto con il corpo di Madre Teresa, la legò intorno al ventre di Monica con uno spago e supplicò: «Madre, oggi è il giorno in cui sei andata in Cielo. Tu amavi i poveri, fa’ qualcosa per Monica, che deve curare i suoi cinque figli». Quella notte il tumore sparì.

 

Quindici minuti con Gesù

di Sant’Antoine Marie Claret

VOCE DI GESÙ

Non è necessario, figlio mio, sapere molto per farmi piacere. Basta che tu abbia fede e che ami con fervore. Se vuoi farmi piacere ancora di più, confida in me di più, se vuoi farmi piacere immensamente, confida in me immensamente. Allora parlami come parleresti con il più intimo dei tuoi amici, come parleresti con tua madre o tuo fratello.

VUOI FARMI UNA SUPPLICA IN FAVORE DI QUALCUNO?
Dimmi il suo nome, sia quello dei tuoi genitori, dei tuoi fratelli o amici, o di qualche persona a te raccomandata… Dimmi subito cosa vuoi che faccia adesso per loro. L’ho promesso: “chiedete e vi sarà dato. Chi chiede ottiene” Chiedi molto, molto. Non esitare nel chiedere. Ma chiedi con fede perché io ho dato la mia parola: “Se aveste fede quanto un granellino di senape potreste dire al monte: levati e gettati nel mare ed esso ascolterebbe. Tutto quello che domandate nella preghiera, abbiate fede di averlo ottenuto e vi sarà accordato”. Mi piacciono i cuori generosi che in certi momenti sono capaci di dimenticare se stessi per pensare alle necessità degli altri. Così fece mia Madre a Cana in favore degli sposi quando nella festa dello sposalizio è venuto a mancare il vino. Mi chiese un miracolo e l’ottenne. Così fece anche quella donna cananea che mi chiese di liberare la figlia dal demonio, ed ottenne questa grazia specialissima. Parlami dunque, con la semplicità dei poveri, di chi vuoi consolare, dei malati che vedi soffrire, dei traviati che vorresti tornassero sulla retta via, degli amici che si sono allontanati e che vorresti vedere ancora accanto a te, dei matrimoni disuniti per i quali vorresti la pace. Ricorda Marta e Maria quando mi supplicarono per il fratello Lazzaro ed ottennero la sua risurrezione. Ricorda Santa Monica che, dopo avermi pregato durante trent’anni per la conversione del figlio, grande peccatore, ottenne la sua conversione e diventò il grande Sant’Agostino. Non dimenticare Tobia e sua moglie che con le loro preghiere ottennero fosse loro inviato l‘Arcangelo Raffaele per difendere il figlio in viaggio, liberandolo dai pericoli e dal demonio, per poi farlo ritornare ricco e felice affianco dei suoi familiari. Dimmi anche una sola parola per molte persone, ma che sia una parola d’amico, una parola del cuore e fervente. Ricordami che ho promesso: “Tutto è possibile per chi crede. Il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano! Tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo concederà”.

E PER TE HAI BISOGNO DI QUALCHE GRAZIA?
Se vuoi farmi una lista delle tue necessità e vieni a leggerle in mia presenza; ricorda il caso del mio servo Salomone, mi chiese la saggezza e gli fu concessa in abbondanza. Non dimenticare Giuditta che implorò grande coraggio e l’ottenne. Tieni presente Giacobbe che mi chiese prosperità (promettendomi di dare in opere buone la decima parte di quanto avesse avuto) e gli fu concesso molto, generosamente, tutto quello che desiderava e ancor di più. Sara mi pregò ed io allontanai il demonio che la tormentava. Magdalena pregò con fede e la liberai dalle brutte abitudini. Zaccheo con la preghiera si liberò dal dannoso attaccamento al denaro e si trasformò in uomo generoso. E tu. . . cosa vuoi che ti conceda? Dimmi sinceramente se sei orgoglioso, se ami la sensualità e la pigrizia, Che sei egoista, incostante. Che trascuri i tuoi doveri. Che giudichi severamente il tuo prossimo, dimenticando la mia proibizione: “non giudicate per non essere giudicati; non con dannate e non sarete condannati”. Dimmi se parli senza carità degli altri. Che ti preoccupi di più di quello che pensano gli altri di te che di quello che “pensa Dio”. Che ti lasci dominare dalla tristezza e dal malumore. Che rifiuti la tua vita, la tua povertà, i tuoi mali, il tuo lavoro, il modo come ti trattano, dimenticando quello che dice il Libro Santo: “Dio dispone tutte le cose per il bene di quelli che lo amano”. Dimmi se hai l’abitudine di dire bugie, che non domini il tuo sguardo ne la tua immaginazione, che preghi poco senza fervore, che le tue confessioni sono fatte senza dolore e senza l’intenzione di evitare poi le occasioni di peccato, e per questo cadi sempre nelle stesse mancanze. Che la messa la segui male e le comunioni le fai senza preparazione e con poche azioni di grazia. Che sei pigro ed hai paura dell’apostolato. Che qualche volta passi alcuni giorni senza leggere neanche una pagina della Bibbia… Ed io ti ricorderò i miei insegnamenti che porteranno una trasformazione totale nella tua vita. Ti dirò ancora: “Dio umilia gli orgogliosi ma gli umili colma di grazie…”. “Se trascuri i piccoli doveri trascurerai anche quelli grandi. Di ogni parola dannosa che uscirà dalla vostra bocca dovrete renderne conto il giorno del giudizio. Beati quelli che ascoltano la parola del Signore e la mettono in pratica”. Non ti vergognare, povera anima! Ci sono in cielo molti giusti e tanti santi di prim’ordine che hanno avuto gli stessi tuoi difetti. Ma pregarono con umiltà e poco a poco si sono liberati di essi. Perché “non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori” e perché “Dio non rifiuta mai un cuore umiliato e pentito. Il miglior dono per Dio è un cuore pentito”. E non esitare neanche nel chiedermi beni spirituali e materiali, Salute, memoria, simpatia, successo nel lavoro, negli studi e negli affari. Andare d’accordo con tutte le persone. Nuove idee per i tuoi affari, amicizie che ti siano utili, buon carattere, pazienza, allegria, generosità, amore per Dio, odio al peccato… Tutto questo posso darti e ti dà, e desidero che tu mi chieda, sempre e quando favorisca ed aiuti la tua santità e non si opponga ad essa. Ma in tutto devi sempre ripetere la mia preghiera nell’orto: il Padre, non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi Tu’ Perché molte volte quel che chiede una persona non conviene per la sua salvezza, ed allora nostro Padre gli concede altri doni che gli faranno maggior bene.

E PER OGGI?
Che ti occorre? Cosa posso fare per il tuo bene? Se tu sapessi il desiderio che ho di favorirti. Ho dato da mangiare a cinquemila persone con solo cinque pani, perché ho visto che ne avevano bisogno. Ho calmato la tempesta quando gli apostoli mi svegliarono. Ho risuscitato la figlia di Giairo quando suo padre mi chiese di farlo. Anche tu dovrai ripetere col profeta: “Chi si è rivolto al Signore e non è stato ascoltato?”.

HAI ADESSO FRA LE MANI QUALCHE PROGETTO?
Raccontami nei dettagli. Cosa ti preoccupa? Cosa pensi di fare? Cosa vuoi? Come posso aiutarti? Magari ricordi sempre la frase del salmista: “Quel che ci porta al successo non sono i nostri affanni. Quel che ci porta al successo è la benedizione di Dio. Raccomandati a Dio nelle tue preoccupazioni e vedrai realizzarsi i tuoi buoni desideri” Gli israeliti desideravano occupare a terra pro messa. Mi supplicarono e lo concessi; David voleva vincere Golia, Mi pregò e l’ottenne; i miei apostoli volevano che aumentassi la loro fede, Mi chiesero questo favore e lo concessi con enorme generosità. E tu… cosa vuoi che ti conceda?

COSA POSSO FARE PER I TUOI AMICI?
Cosa posso fare per i tuoi superiori, per le persone che vivono nella tua casa, nel tuo quartiere, che trovi nel tuo cammino, per le persone delle quali dovrai rendere conto il giorno del giudizio? Geremia pregò per la città di Gerusalemme e Dio la colmò di benedizioni, Daniele pregava per i suoi connazionali ed ottenne che diminuissero molte loro pene. E tu, cosa mi chiedi per i tuoi vicini di casa, per il tuo quartiere, per la tua regione, per la tua patria.

E PER I TUOI GENITORI?
Se sono già morti ricorda che “è una opera santa e buona pregare Dio per i morti, perché riposino dalle loro pene”. E se sono ancora viventi, cosa vuoi per loro? Più pazienza nelle loro pene, nei loro problemi di salute? Un carattere piacevole? Comprensione in famiglia? Le preghiere di un figlio non possono essere respinte da chi, a Nazareth, per trent’anni è stato esempio di amore filiale.

C’È QUALCHE FAMILIARE CHE HA BISOGNO DI QUALCHE FAVORE?
Prega per lui o per lei e io farò della tua famiglia un tempio d’amore e conforto, e verserò a mani piene sui tuoi familiari le grazie e gli aiuti necessari per essere felici nel tempo e nell’eternità.

E PER ME?
Non desideri da me grazia e amicizia? Non vorresti fare del bene al tuo prossimo, ai tuoi amici, a chi ami forse molto, ma che vivono lontani dalla religione o non la praticano nel modo giusto? Sono padrone dei cuori che, rispettando la loro libertà, porto dolcemente verso la santità e l’amore di Dio. Ma ho bisogno di persone che preghino per loro. Nel Vangelo ho lasciato questa promessa: “Il Padre vostro celeste darà lo spirito santo a coloro che glielo chiedono” Chiedimi per i tuoi familiari quel buon spirito, che si ricordino dell’eternità che li aspetta, di prepararsi un buon tesoro in cielo facendo in questa vita moltissime opere buone e pregando ininterrottamente, lavorando per la salvezza della tua famiglia e degli altri non dimenticare mai la stupenda promessa del profeta: “coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre”.

SEI FORSE TRISTE O DI MALUMORE?
Raccontami. Raccontami, anima sconsolata, le tue tristezze in ogni dettaglio. Chi ti ha ferito? Chi ha ferito il tuo amor proprio? Chi ti ha disprezzato? Dimmi se ti va male nel tuo lavoro e io ti dirò le cause del tuo insuccesso. Non vorresti che mi occupassi di qualcosa per te? Avvicinati al mio cuore che ha un balsamo efficace per tutte le ferite del tuo. Raccontami tutto e in breve mi dirai che, come Me, tutto perdoni e tutto dimentichi, perché “le pene di questa vita non sono comparabili con l’immensa gioia che ci attende quale premio nell’eternità”. Senti l’indifferenza di persone che prima ti hanno voluto bene ma che ora ti dimenticano e si allontanano da te senza motivo? Prega per loro, Il mio amico Giobbe pregò per quelli che con lui sono stati ingrati, e la bontà divina li perdonò, e li fece tornare alla sua amicizia.

VUOI RACCONTARMI QUALCHE GIOIA?
Perché non mi fai partecipe di essa, come buon amico? Raccontami quello che da ieri o dalla tua ultima visita a Me ha consolato e ha fatto sorridere il tuo cuore. Forse hai avuto gradevoli sorprese. Magari sono sparite certe angosce o paure per il futuro. Hai superato qualche ostacolo, oppure, sei uscito da qualche difficoltà impellente? Tutto questo è opera mia, lo ti ho procurato tutto questo. Quanto mi rallegrano i cuori grati che, come il lebbroso guarito, tornano per ringraziare, ma molto mi rattristano gli ingrati che, come i nove lebbrosi del Vangelo, non tornano per ringraziare per i benefici ricevuti. Ricorda che “chi ringrazia per un beneficio ottiene che gli si concedano degli altri”. Dimmi sempre un “grazie” con tutto il cuore.

E POI… NON HAI QUALCHE PROMESSA DA FARMI?
Già lo sai che leggo nel fondo del tuo cuore. Gli umani si ingannano facilmente. Dio no. Parlami allora con sincerità. Hai il fermo proposito di non esporti più a quella occasione di peccato? Di privarti di quel giornale, rivista, film, programma televisivo che danneggia la tua anima? Di non leggere quel libro che ha eccitato la tua immaginazione? Di non trattare quella persona che ha turbato la pace della tua anima? Di stare in silenzio quando senti che arriva la collera? Perché “gli imprudenti dicono quello che sentono dentro di se quando sono di malumore, ma i prudenti rimangono sempre in silenzio quando sono di malumore, e sanno dissimulare le offese ricevute”. Vuoi fare il buon proposito di non parlare male di nessuno, anche quando credi che quel che dici è verità? Di non lamentarti perché è dura la vita? Di offrirmi le tue sofferenze in silenzio invece di andare in giro rinnegando le tue pene? Di lasciare ogni giorno un piccolo spazio per leggere qualche cosa che ti sia di profitto, specialmente la Bibbia? Così diranno anche dite: “ascolta la parola di Dio e la mette in pratica, sarà come una casa costruita sulla roccia, non crollerà “. Sarai ancora amabile con le persone che ti hanno trattato male?Avrai da ora in poi un volto allegro ed un sorriso amabile? Anche con quelli che non hanno molta simpatia per te? Ricorda le mie parole: “Se saluti solo quelli che ti amano, che merito ne hai? Anche i cattivi fanno così. Perdona e sarai perdonato. Un volto amabile rallegra i cuori degli altri”.

E ADESSO RITORNA ALLE TUE OCCUPAZIONI…
Ma non dimenticare questi quindici minuti di gradevole conversazione che abbiamo avuto qui nella solitudine del santuario. Conserva più che puoi il silenzio, la modestia e la carità con il prossimo. Ama mia Madre, che è anche Madre tua. Ricorda che essere buon devoto della Vergine Maria è segno di sicura salvezza.

 

Come recitare il Rosario

(Dal libro: Padre Pio parla della Madonna)

Il santo dava … suggerimenti per recitare bene questa preghiera.

Chiese una volta ad una figlia spirituale: «Sai come si dice il Rosario?».

E, senza aspettare risposta, continuò: «Si fa un atto di amore, dicendo: “Gesù, ti amo con tutto il cuore”; poi un atto di dolore: “Gesù, mi pento di averti offeso”, quindi si bacia il crocifisso e si dicono il Pater, le 10 Ave Maria, per concludere con il Gloria».

Anche a Lucia Merendino Padre Pio consigliava: «Quando recitate il Rosario dopo il Gloria dite: “Gesù, vi amo e mi pento di avervi offeso”. Con questa giaculatoria fate un atto d’amore e un atto di dolore».

E, prevenendo l’obiezione di chi vede il Rosario come una preghiera ripetitiva, insisteva sulla meditazione del mistero, che cambia ad ogni decina. E precisava ad una figlia spirituale: «L’attenzione deve essere portata, sì, al saluto che rivolgi alla Vergine, ma guardando al mistero che contempli. In tutti i misteri Lei era presente, a tutti partecipò con l’amore e il dolore».

Ad Enedina Mori dà anche qualche suggerimento per poter recuperare la concentrazione, dopo aver pregato a lungo: «Tu, quando ti stanchi, ti riposi, e poi ricomincia un’altra volta».

P. Eusebio Notte ci fa sapere che, quando Padre Pio era a Pietrelcina, a sera si metteva fuori della sua casa su un muretto ed aspettava che i contadini, tornati dalla campagna, cenassero. Poi con essi, quando si era formato un bel gruppetto, recitava il Rosario.

Il “Magnificat” del sacerdote

 

(nello stile dell’Imitazione di Cristo) 

Gesù … Se consideri la tua dignità sacerdotale, pensa che Dio si è donato a te, pensa che mi rappresenti e, nella profonda umiltà, dal tuo cuore, ripeti con Maria: Dio ha guardato la piccolezza del tuo servo, e nel mondo io sono beato.
La tua professione è felicità; la tua dignità è grande; la tua attività è grande potenza, riflesso della potenza divina, effusione della sua santità infinita.
E tu, invece di smarrirti nelle tue deficienze esclama con Maria, mamma tua: Ha fatto in me cose grandi Colui che è potente, ed il cui nome è santo. Sei ministro di amore, della misericordia di Dio sulla umana progenie:
se battezzi, vivifichi; se perdoni, risusciti; se parli, illumini; se conforti, pacifichi; se mi offri, rinnovi nel mondo la misericordia che redime; se mi doni, nutrisci le anime di me; se benedici, le fecondi; se le rimproveri, le sani, riequilibrandole dei loro smarrimenti; se le soccorri, passi beneficando. Sei luce del mondo e sale della terra, sole che splende nella Chiesa sul candelabro, condimento che attira le anime nella dolcezza delle cose divine ed eterne. Come puoi lasciarti opprimere dalle insidie di satana, figlio mio caro? Con Maria gli schiacci il capo; con la tua potenza sacerdotale rappresenti il braccio di Dio che le disperde; con la tua dignità sei Re, e mi fai regnare perché nella tua umiltà mi rappresenti. Campo fertile di Dio, nutrisci come frumento, rallegri come grappolo di vite, profumi come fiore aperto nella luce di Dio. La tua castità è feconda dei figli di Dio, è compimento delle sue promesse fatte ad Abramo ed alla sua discendenza nei secoli. Sei vivente in me e per me; sei figlio di Maria, sei nello splendore del suo immacolato candore. Spiega le ali verso il Cielo, drizza il timone verso Maria, ripiglia il tuo volo verso la vetta del Libano, verso la cima del Carmelo. Risali l’Altare, canta con Maria, e con Lei una sola sia l’espressione della tua vita terrena ed il cantico di quella eterna: Magnificat anima mea Dominum. Ti benedico Ti benedice Maria

da uno scritto del febbraio 1966

Teresina e il Rosario

Teresa di Gesù Bambino (1873-1897) ricorda quando pregava il rosario, quasi giocando, con la cuginetta Maria: «I due eremiti recitavano insieme il rosario, servendosi delle dita in modo da non mostrare la loro devozione al pubblico indiscreto». Intorno agli undici anni si iscrive alla confraternita del rosario; nel 1886, come «Figlia di Maria», se lo impone quotidianamente – lo ricorda la sorella Celina – e da carmelitana ne diventa solerte propagandista.

Ella racconta che nella visita alla Santa Casa a Loreto pose la sua corona nella scodellina di Gesù Bambino. E sempre durante il pellegrinaggio italiano, è ancora Teresa che fa passare attraverso le grate dell’urna di santa Maria Maddalena de’ Pazzi le corone dei compagni di viaggio perché possano toccare il corpo della santa fiorentina. Dove lo avesse imparato lo si capisce da questa lettera della sorella Maria che descrive l’agonia della mamma: «Non lascia mai il suo rosario, prega sempre malgrado le sue sofferenze, ne siamo tutti ammirati, perché ha un coraggio e un’energia che non ha l’eguale. Quindici giorni or sono diceva ancora il suo rosario tutto intero in ginocchio ai piedi della Santa Vergine della mia camera, che lei ama tanto».

Ma è la mamma stessa che, nelle sue lettere, descrive in che ambiente matura questa devozione mariana, anche se non da tutti condivisa. Come quando il marito e i compagni di viaggio tornano da Lourdes con al collo dei rosari dai grani grossi come castagne e sono presi a male parole dalla gente. La corona rientra anche fra i possibili regali di Natale: «Quanto a Leonia – scrive alla cognata Celina –, non posso chiederle giocattoli, non si diverte più, lavora. Può regalarle un rosario per la sua prima Comunione», e sempre Zelia conferma la soddisfazione della figlia per il bellissimo rosario ricevuto. Gioia che viene anche dal comportamento della figlia maggiore:«Maria […]; è molto devota e non passa un sol giorno senza dire il suo rosario».

Si capisce allora perché suor Maria Dositea così scriva a Zelia: «Quanto a quello che voi mi raccontate, mia beneamata sorella, che voi avete il mio Rosario, ne sono ben contenta, io penso che ogni volta che voi lo direte, non vi dimenticherete di me nelle vostre ferventi preghiere». E quando, dopo la morte della sorella visitandina (il 24 febbraio 1877), la sposa di Luigi riceverà un pacchetto contenente i suoi oggetti di pietà, per sé vorrà tenere solo il rosario, «per servirmene quando sarò seriamente malata». Ma, ahimè, è destino che quella corona vada perduta di lì a pochi mesi. Accade a Lourdes, dove Zelia si è recata dietro insistenza del marito e delle figlie. Fu quello un viaggio tribolato per Zelia («Mi ricorderò per molto tempo di questo viaggio a causa dei disagi e delle fatiche che mi ha procurato»), e mancava solo che fosse smarrito non solo il rosario ricevuto suor Maria Dositea, ma anche quello di Paolina, non meno ricco di ricordi:«Ho perduto il rosario di nostra sorella che avevo voluto portare con me, sperando che mi portasse bene. Avevo però una così gran paura di perderlo che non l’ho lasciato un minuto, lo tenevo costantemente intrecciato fra le dita. Dico, nemmeno un minuto, ma, ahimè, sono stata ad acquistare delle provviste e l’ho dato in custodia a Maria; quando siamo rientrate, il rosario non c’era più. Questo mi ha molto addolorata, era la sola reliquia che avevo di mia sorella e quella a cui tenevo di più. Paolina ha pure perduto il suo al quale erano attaccate due medaglie di sua zia. Ha pianto il suo povero rosario; io non ho pianto il mio, ma me ne è rimasta una pena in fondo al cuore. Alla fine, è una cosa permessa dal buon Dio, una prova di cui mi ricompenserà».

Ma il gusto della preghiera sopravvive alla mamma. Teresa, nel maggio 1885, è in vacanza con gli zii a Deuville e zia Celina scrive alla nipote Maria: «Al mattino siamo stati alla messa solenne a Trouville e nel pomeriggio siamo andate ai Vespri al Buon Soccorso. Lì ho sentito meditare il rosario, come mai prima l’avevo inteso. Il parroco parla bene e io ho ammirato molto questo modo di recitare il rosario». Due anni più tardi, la cugina Maria, scrivendo a Teresa in viaggio verso Roma, conferma: «Da parte mia, io ti assicuro, mia cara piccola Teresa, che non ti dimentico, io prego per te, fino a rompere l’inginocchiatoio; questa sera sono stata alla mia mezz’ora di adorazione diurna e ho recitato un intero rosario per la mia cara sorellina».

Anche nel Carmelo, intitolato alla Vergine Immacolata, il rosario viene recitato, per lo più alla sera. Lo conferma l’album fotografico composto da Teresa e madre Agnese sulla vita di una postulante di Lisieux di fine secolo XIX. In posa è la cugina di Teresa, Maria Guérin. In versi si dice: «Ogni travaglio abbandono nel tempo della libertà. Solo quando il giorno declina recito il mio Rosario». E lo documentano anche le lettere circolari sulle monache defunte che, dai Carmeli di Francia, giungono a Lisieux. È un refrain il riferimento al culto della corona e la cura per la preghiera mariana più popolare nel breve profilo biografico proposto agli altri monasteri.

E anche Teresa lo pregava quotidianamente, ricorda suor Maria degli Angeli, insieme al Memorare. Per questo sorprende quando negli ultimi giorni di vita confessa che questa pratica le fu assai faticosa. E, preoccupata che questo sentimento fosse interpretato come disprezzo degli abituali esercizi di pietà in favore di una certa spontaneità e individualismo, spiegava: «Al contrario, amo tanto le preghiere comuni, perché Gesù ha promesso di essere presente in mezzo a coloro che si riuniscono nel suo nome: allora sento che il fervore delle sorelle supplisce al mio, ma da sola (ho vergogna a confessarlo) la recita del rosario mi costa più che mettermi uno strumento di penitenza!… Mi accorgo che lo dico così male! Per quanto mi sforzi di meditarne i misteri, non riesco a fissare l’attenzione…» (Ms C, 25v°). Probabilmente era il tono ripetitivo che mal si adattava al temperamento di Teresa, soprattutto se la recita era comune e veloce. E, infatti, qualche riga più sotto, continuava: «A volte, quando il mio spirito è in un’aridità così grande che mi è impossibile ricavarne un pensiero per unirmi al Buon Dio, recito molto lentamente un “Padre Nostro” e poi il saluto angelico: allora queste preghiere mi rapiscono, nutrono la mia anima ben più che se le recitassi precipitosamente un centinaio di volte…». Comunque, nonostante le precisazioni e le sfumature di Teresa, il testo dovette risultare quanto meno sconcertante, se la sorella Paolina (Sr. Agnese) decise di ometterlo dalle prime edizioni della Storia di un’anima.

Chiara è la convinzione di Teresa: «Per molto tempo mi sono afflitta per questa mancanza di devozione che mi stupiva, perché amo così tanto la Madonna che mi dovrebbe essere facile fare in suo nome delle preghiere che le sono gradite. Adesso mi affliggo di meno: penso che, poiché la Regina dei Cieli è mia Madre, vede la mia buona volontà e se ne accontenta» (Ultimi colloqui, 20 agosto). Costante nella vita di questa religiosa è la ricerca non di particolari gratificazioni, ma semplicemente di «far piacere» a Gesù, e a Maria. E il rosario, in quanto preghiera «gradita alla Vergine», andava recitato, anche se richiedeva fatica, nella certezza che la Vergine guarda solo all’amore dei nostri gesti, non alle imperfezioni che li accompagnano. E con il rosario nelle mani, insieme al Crocifisso, Teresa venne sepolta.

di P. Giuseppe Furioni ocd

 

Presenze soprannaturali e vita contemplativa in Santa Gemma Galgani

Il processo di trasformazione divina dell’interiorità e di tutta la vita della nostra Santa fu tale che essa visse un’esperienza assolutamente unica e straordinaria di contatti e rapporti con le presenze soprannaturali buone (gli angeli) e cattive ( i demoni). Infatti, la barriera dello spazio e del tempo crolla quando la chiamata alla santità dei prescelti di Dio arriva a grandi profondità. E’ quasi una conseguenza necessaria nella vita dei santi oltrepassare la barriera dei sensi, anche perché le virtù cristiane praticate fino in fondo, come il Signore ci ha chiesto nel suo Vangelo, fanno vivere in anticipo alcune delle tipiche e sublimi facoltà delle anime dei beati. D’altronde proprio questo è stato lo scopo precipuo per cui Cristo si è incarnato, ossia rendere l’uomo completamente partecipe della vita trinitaria a tal punto da poter veder fisicamente il Cristo ed i suoi angeli ed affrontare con coraggio la battaglia “a carte scoperte” con il male.

S. Gemma rappresenta sicuramente uno dei momenti più culminanti ed eccezionali in tutta la storia della cristianità di questo dialogo e rapporto diretto e senza mediazioni tra Dio e l’uomo. In un certo qual senso lei ben può essere assunta come modello per tutti gli uomini di buona volontà, che aspirano con tutta sincerità a stabilire un legame e dialogo di amore con il proprio Padre Dio. Pertanto, l’ignaro lettore non reagisca superficialmente a quanto verrà narrato successivamente sui doni straordinario di S. Gemma, magari ritenendo improbabile se non impossibile gli eventi accaduti a S. Gemma o anche all’estremo opposto esagerando gli aspetti soprannaturali della vita terrena della nostra Santa.

Le sue prove dolorose dovevano avere piena attuazione anche con i frequentissimi incontri-scontri con i demoni. Quest’ultimi erano un’ordinaria presenza nella vita di S. Gemma. Gli sono apparsi in tutte le forme ed hanno usato ogni genere di violenze nei suoi confronti. Diversi testimoni hanno depositato nel processo di canonizzazione di aver assistito agli effetti materiali e fisici di queste vessazioni del maligno verso S. Gemma.

Zia Cecilia riferì che i demoni frequentemente l’aspettavano in camera la sera sotto forma di cani, gatti, di uomini spaventosi, di selvaggi. Altre volte s’imbatteva in due uomini forzuti che con delle funi la battevano a lungo. Gemma si confidava col cuore pieno di sofferenza al confessore riguardo a queste situazioni, cercando conforto e sostegno spirituale.
Il demonio in tanti altri modi la tormentava: sotto forma di apparizioni mostruose, di terrori e percosse improvvise che le infliggeva certe volte anche di giorno. Così arrivò anche a cercare d’impedirle di fare la comunione, apparendole sotto forma di omaccio, spaventandola e spingendola a terra nel fango prima di entrare in chiesa.

Le sue zie constatarono di notte rumori e movimenti strani intorno al letto di Gemma; la stessa zia Cecilia vide parecchie volte il letto di Gemma tremare tutto. Il maligno la perseguitava fisicamente rovesciandola indietro piegandola fino alle gambe anche quando pregava od era in estasi. Sperimentò l’influenza positiva e liberante degli oggetti sacri: infatti dopo che la zia Cecilia una volta le mise un’immagine della Madonna Addolorata Gemma percepì immediatamente un grande sollievo. Addirittura per un certo periodo Dio permise che il maligno le possedesse alcune funzioni del suo corpo; Gemma arrivò a comportarsi come un ossessa arrivando anche a sputare al crocifisso ed a dimenarsi come gli indemoniati. Un sacerdote che la seguiva da vicino le regalò una reliquia della Croce di Gesù. Da quel momento rimase totalmente libera da qualunque possessione diabolica.

Davvero straordinario è stato in Gemma il rapporto stabilito con gli angeli ed in particolare con il suo angelo custode. Di esso ne aveva la visione materiale costantemente. S’intratteneva a conversare con lui con la stessa disinvoltura con cui si discute con un amico. Si mostrava a lei in tanti modi: con le ali spiegate sospeso in aria e le mani distese su di lei, con le mani giunte in atto di preghiera. Il suo angelo custode le dava frequentemente consigli assumendo quindi la funzione del padre spirituale; Gemma durante le meditazioni svolte con l’angelo andava spesso in estasi. Queste esperienze di Gemma con gli angeli sono state raccolte da Padre Germano e da Zia Cecilia, i quali pur non notando la presenza materiale degli angeli potevano constatare però l’atteggiamento di Gemma mentre conversava con gli Angeli.
L’Angelo la correggeva sui suoi piccoli difetti mostrandosi con lo sguardo severo o ad esempio obbligandola a confessare tutte le sue esperienze spirituali.

La dimestichezza di Gemma con gli angeli era tale che il suo Padre spirituale la richiamò a portare più deferenza e rispetto all’Angelo imponendogli di dare del voi invece che del tu.
Accadde tra l’altro che le apparissero diversi angeli che si univano alle preghiere di lode della nostra santa. L’angelo custode la aiutava anche nelle mansioni comuni: come aiutarla ad esempio a svestirsi dopo che veniva picchiata dal demonio, la cui ira veniva però frenata dall’angelo stesso; o anche a portare lettere che Gemma scriveva per il suo Padre spirituale. Infatti, Gemma non avendo soldi per i francobolli la consegnava direttamente al suo angelo custode perché recapitasse la lettera al suo direttore spirituale. D’accordo con Padre Germano alcuni dei Giannini fecero la prova di chiudere la lettera in una cassetta a chiave. Il giorno stesso la lettera arrivò a Roma sulla scrivania di Padre Germano.

 

Gesù, Maria vi amo, salvate anime.

L’importanza di questa invocazione, corta ma potentissima si può capire dalle parole che Gesù ha ispirato a Suor M. Consolata Betrone e che leggiamo nel suo diario:

Non ti chiedo che questo: un atto d’amore continuo, Gesù, Maria vi amo, salvate anime.

Dimmi, Consolata, che preghiera più bella puoi farmi? Gesù, Maria vi amo, salvate anime : amore e anime! Che cosa vuoi di più bello?

Ho sete del tuo atto d’amore! Consolata, amami tanto, amami solo, amami sempre! Ho sete di amore, ma dell’amore totale, di cuori non divisi. Amami tu per tutti e per ciascun cuore umano che esiste… Ho tanta sete d’amore… Dissetami tu… Lo puoi… Lo vuoi! Coraggio e avanti!

Sai perché non ti permetto tante preghiere vocali? Perché l’atto d’amore è più fecondo. Un “Gesù ti amo” ripara mille bestemmie. Ricorda che un atto perfetto d’amore decide l’eterna salvezza di un’anima. Quindi abbi rimorso a perdere un solo Gesù, Maria vi amo, salvate anime.

Sono meravigliose le parole di Gesù che esprimono la sua gioia per questa invocazione e ancora di più per le anime che con essa possono raggiungere la salvezza eterna… Questa consolante promessa la ritroviamo molte volte negli scritti di Suor M. Consolata invitata da Gesù a intensificare e a offrire il suo amore:

Non perdere tempo perché ogni atto d’amore rappresenta un’anima. Di tutti i doni, il dono maggiore che tu possa offrirmi è una giornata ripiena d’amore.

Io desidero un incessante Gesù, Maria vi amo, salvate anime da quando ti alzi a quando ti corichi.

Gesù non può essere più esplicito e Suor M. Consolata così si esprime:

Appena mi sveglio al mattino incominciare subito l’atto d’amore e a forza di volontà non interromperlo più sino a quando sarò addormentata la sera, pregando che durante il mio sonno l’Angelo mio custode preghi lui in vece mia… Mantenere questo proposito costantemente rinnovandolo mattina e sera.

Passare bene la mia giornata. Sempre unita a Gesù con l’atto d’amore; Egli trasfonderà in me la sua pazienza, fortezza e generosità.

L’atto d’amore che Gesù vuole incessante non dipende dalle parole che si pronunciano con le labbra ma è un atto interiore, della mente che pensa ad amare, della volontà che vuole amare, del cuore che ama. La formula Gesù, Maria vi amo, salvate anime vuol essere semplicemente un aiuto.

E, se una creatura di buona volontà, mi vorrà amare, e farà della sua vita un solo atto d’amore, da quando si alza a quando si addormenta, (col cuore s’intende) Io farò per quest’anima delle follie… Ho sete d’amore, ho sete di essere amato dalle mie creature. Le anime per giungere a Me, credono che sia necessaria una vita austera, penitente. Vedi come mi trasfigurano! Mi fanno temibile, mentre Io sono solamente Buono! Come dimenticano il precetto che Io vi ho dato “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima ecc…” Oggi, come ieri, come domani, alle mie creature Io chiederò solo e sempre amore.

Il meraviglioso scherzo di don Bosco a chi voleva rinchiuderlo in manicomio

Pochi uomini al mondo furono protagonisti sin dall’infanzia di tante peripezie come lui.

Non solo le autorità civili molestavano il povero don Bosco e tentavano d’impedire lo sviluppo della sua Opera, ma anche i suoi colleghi sacerdoti. Anzi, costoro si erano messi in testa che don Bosco stesse dando i numeri, e che tutto questo affaccendarsi appresso ai ragazzi fosse una vera mania.

Alcuni, infatti, andarono a trovarlo e, con tutta carità, presero a dirgli:

– Caro don Bosco, tu, capiscilo, comprometti il carattere sacerdotale! Con le tue stravaganze, con l’abbassarti a prendere parte ai giochi di quei monelli, con l’accompagnarti con loro per le vie e per le piazze, perdi il tuo decoro, desti ammirazione, ti fai ridere appresso!

E siccome don Bosco, sicuro dell’Opera sua, dava segno di non essere persuaso della logica di quegli avvisi, essi andavano continuando:

– Ma tu hai perso la testa! Non ragioni più! Povero e caro don Bosco, non bisogna ostinarsi… Tu non puoi fare l’impossibile! Non vedi che anche la Provvidenza è contraria alla tua opera e che non trovi nessuno che ti voglia affittare un locale?

– Oh la Provvidenza! – esclamò a questo punto don Bosco alzando le mani al cielo -, la Provvidenza mi aiuterà! Lei mi ha inviato questi ragazzi e io non ne respingerò neppure uno, ritenetelo bene! Voi siete in errore, la Provvidenza farà tutto ciò che è necessario. E poiché non mi si vuole affittare un locale, ne fabbricherò uno io con l’aiuto di Maria Santissima. Vi saranno vasti edifizi, con scuole, laboratori, officine, di ogni specie, spaziosi cortili e porticati… una magnifica chiesa. E poi, anche chierici, catechisti, assistenti, professori, capi d’arte, e numerosi sacerdoti. Vedrete, vedrete…

All’udire tali parole, quei suoi amici si sentirono profondamente commossi. Essi vi vedevano una prova certa della pazzia del loro amato collega, e se ne andarono crollando il capo e ripetendo fra loro:

– Poveretto! Davvero gli ha dato di volta il cervello! Occorre subito provvedere.

Don Bosco attendeva gli eventi, pronto a ogni più dura lotta.

Quei tali, presi gli accordi con la Curia Vescovile, andarono a parlare col direttore del manicomio. Ottenuto un posto al creduto pazzo, due di loro, i più svelti e coraggiosi, accettarono di eseguire il pietoso disegno.

Presero a nolo una vettura chiusa, si recarono all’abitazione di don Bosco e, fatti i primi convenevoli, lo invitarono a una passeggiata dicendogli:

– Un po’ d’aria ti farà bene, caro don Bosco; vieni, abbiamo qui una carrozza che ci aspetta.

Il Santo si avvide subito del gioco che gli volevano fare, ma accolse l’invito esclamando:

– Corbezzoli!… una carrozza!… Evviva la carrozza!….Veramente non ci sono assuefatto, ma via!…andiamo.

Giunti alla vettura, lo invitarono a entrare per primo; ma egli si scusò dicendo:

– No! Sarebbe una mancanza di rispetto per parte mia. Favoriscano loro per primi.

Quelli salirono senza alcun sospetto, persuasi che don Bosco li avrebbe seguiti; ma egli, appena li vide dentro, chiuse con fragore lo sportello, gridando al cocchiere:

– Presto! …al manicomio!!! Il vetturino sferza il cavallo, e più veloce che non si dica, giunge alla mèta ove, trovato il portone spalancato e gli infermieri pronti in attesa, entra di corsa.

Il custode chiude prontamente il portone; gli infermieri circondano la carrozza, aprono gli sportelli e invece di un pazzo ne vedono due.

Quantunque entrambi protestassero energicamente, furono condotti al piano superiore, ed essendo assenti medici e direttore, perché era l’ora del mezzogiorno, dovettero adattarsi a pranzare coi ricoverati. Solo verso sera, chiarito l’equivoco, poterono essere messi in libertà.

La cosa fece in un baleno il giro della città, e da quel giorno si corressero le idee nei riguardi del Santo, e l’ammirazione verso di lui s’accrebbe assai.

Tratto da: Aleteia

Le maledizioni esistono.

Impariamo a Benedire e non a maledire perchè le maledizioni, fatte anche in modo involontario, hanno degli effetti devastanti nella vita delle persone.
14 Benedite coloro che vi perseguitano, benedite e non maledite. 15 Rallegratevi con quelli che sono nella gioia, piangete con quelli che sono nel pianto. 16 Abbiate i medesimi sentimenti gli uni verso gli altri; non aspirate a cose troppo alte, piegatevi invece a quelle umili. Non fatevi un’idea troppo alta di voi stessi.
17 Non rendete a nessuno male per male. Cercate di compiere il bene davanti a tutti gli uomini.18 Se possibile, per quanto questo dipende da voi, vivete in pace con tutti. 19 Non fatevi giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all’ira divina. Sta scritto infatti: A me la vendetta, sono io che ricambierò, dice il Signore. 20 Al contrario, se il tuo nemico ha fame, dagli da mangiare; se ha sete, dagli da bere: facendo questo, infatti, ammasserai carboni ardenti sopra il suo capo21 Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male. (Rm12,14-21).
Padre Matteo LA GRUA (esorcista) diceva:
Ci sono poi le maledizioni generazionali. […] Si sciolgono attraverso l’Eucaristia, le celebrazioni eucaristiche. Le Messe di guarigione genealogica sono Messe in suffragio delle anime degli antenati. Questo atto di carità verso i nostri antenati giova molto a noi e rientra nel mistero di solidarietà. Perché la celebrazione eucaristica ha una forza potente di scioglimento delle maledizioni, sia generazionali, sia locali, sia anche personali.
Comunque vi esorto a non maledire mai, papà e mamma; non maledite mai i figli, né i figli dei figli, perché queste maledizioni possono dare dei risultati negativi. Per cui abituatevi sempre a benedire i figli e mai a maledirli. Ed è anche importante non opprimere i poveri, non opprimere gli operai, perché questi possono maledire e  queste maledizioni potrebbero arrivare provocando  gravi conseguenze ai danni dell’azienda di cui fanno parte. (Angela Musolesi, Presidente degli esorcisti, Ed. Carismatici Francescani, Ravenna 2009, pp. 117 e 118).
Padre Francesco Bamonte (esorcista) aggiunge:
L’eredità medianica: Come c’è tra i fedeli una comunione alle cose sante, ai beni spirituali e una comunicazione del bene gli uni agli altri, allo stesso modo ci sarebbe una partecipazione, quasi una ripercussione, dei danni spirituali degli uni agli altri, particolarmente di quelli a cui eravamo legati più strettamente nel nostro albero genealogico, come genitori, nonni, bisnonni, zii, ecc.; per cui, anche se non siamo responsabili dei loro peccati, è bene chiedere perdono a Dio, oltre che dei nostri, anche dei loro peccati, e pregare perché essi e noi abbiamo “pace in Dio” e perché ogni influsso negativo del passato che permane nel presente sia annullato, dal momento che i peccati del passato permangono come tentazione nell’oggi. […] Al termine di queste considerazioni possiamo tentare di dare una risposta alla domanda di come mai qualcuno possa trovarsi con qualche forma di facoltà medianiche innate: potrebbe essere la stessa cosa di una malattia genetica che uno si ritrova dalla nascita senza averla voluta, potrebbe averla ereditata inconsapevolmente da qualche membro della famiglia defunto, il quale ha esercitato volontariamente pratiche occulte o spiritismo. La differenza sta nel fatto che diversamente dalle malattie genetiche ereditate, le facoltà medianiche ereditate (ma anche quelle indotte da familiari non defunti) possono essere rifiutate. In che modo? Innanzitutto sforzandosi di non assecondarle, e poi con frequenti rinunce allo spirito di medianità. (Francesco Bamonte, I danni dello spiritismo, Ed. Àncora, Milano 2003, pp. 114 – 115).
Padre Gabriele Amorth (esorcista) alla domanda “Se una donna maledice i propri figli, nipoti e tutte le persone a loro care, che bisogna fare?” rispondeva:
Oh, sono tremende le maledizioni dei genitori sui figli quando sono fatte con vera perfidia satanica come, aggiungo subito, sono efficacissime le benedizioni dei genitori sui figli, efficacissime. Che cosa si deve fare? Uno resta maleficiato, il maleficio c’è e allora deve usare tutti quei mezzi che possono tentare di liberarlo, preghiera, opere buone, esorcismi, e molte volte la maledizione dei genitori sui figli è così forte che gli esorcismi possono dare un po’ di sollievo, ma non arrivano a liberare dal male di quella maledizione.
Un fatto accaduto a Padre Candido..: “Un papà e una mamma che erano contadini, avevano una figliola ed erano riusciti a farla laureare. Per loro contadini avere una figlia che si era laureata era come toccare il cielo con un dito. Quando si sono accorti che questa figlia laureata si era innamorata di un operaio, non ne volevano sapere, la figlia laureata doveva sposare un laureato ed hanno combattuto con tutte le forze questo fidanzamento. Quando hanno visto che non ci riuscivano perché i due erano veramente innamorati, hanno fatto finta di cedere, di dar ragione alla figlia. Nel giorno del matrimonio, durante il pranzo, il padre con un sorriso chiama la figlia: “Vieni che ti debbo parlare, vieni che ti debbo dire qualcosa in privato e in una stanza vicino alla grande sala del banchetto, le dice: “Sii tu maledetta, sia maledetto tuo marito, siano maledetti i tuoi figli, sia maledetto il tuo lavoro”, proprio voi vedete una maledizione diabolica, studiata nei minimi particolari, studiata nelle parole da dire, studiata nel momento prescelto per dare questa maledizione. 
Padre Candido mi diceva, che ha seguito a lungo questi coniugi, e per quanto pregassero e per quanto lui li esorcizzasse non riusciva a cavarci niente. Era una maledizione così forte che poteva diventare per loro un mezzo di santificazione offrendo le sofferenze al Signore, ma questa maledizione non si è mai più cancellata. Ecco allora l’importanza di tre parole che adesso scrivo a tutti e ripeto con tutti: amare, perdonare, benedire. Questo deve essere la base del nostro comportamento con tutti. 
Amare! Dio ci ama tutti, amare tutti, perdonare! Notate eh, io lo dico sempre ai fidanzati e anche agli sposi, non è possibile che due vivano insieme e che non ci siano dei motivi di disaccordo, ci sono sicuramente. L’amore si mantiene se c’è il perdono, se non c’è il perdono, l’amore un po’ per volta si perde, e questo vale per qualsiasi amore, l’amore di famiglia, l’amore di amicizia, l’amore con gli amici, amare e perdonare e sempre benedire! Mai maledire; oltre a questo, ho toccato con mano e volevo portare degli esempi come le benedizioni annullano le maledizioni. Una persona ti maledice tu rispondi: Signore benedicila, io la benedico, benedicila anche Tu e la maledizione non ha più nessun effetto su di te. Naturalmente maledizioni piccole, non maledizioni diaboliche come quella che vi ho detto prima. Sia lodato Gesù Cristo!

PREGHIERA

O Dio Padre di Misericordia, per intercessione dell’Immacolato Cuore di Maria Santissima, ti preghiamo di liberarci da tutti i mali causati dai nostri antenati che partecipavano all’occultismo, allo spiritismo, alla stregoneria, alle sette sataniche.

Tronca il potere del maligno che per colpa loro, ancora pesa sulle nostre generazioni. Spezza la catena di maledizioni e malefici, opere sataniche che gravano sulla nostra famiglia. Liberaci dai patti satanici, dai legami fisici e mentali con i seguaci di satana e il peccato. Tienici sempre lontano da ogni attività e  da ogni persona con cui Satana può continuare ad esercitare un dominio su di noi e sui nostri figli.

Prendi sotto il tuo potere qualsiasi area che sia stata consegnata a Satana dai nostri antenati. Allontana per sempre lo spirito cattivo, ripara ogni suo danno, salvaci da ogni sua nuova insidia.

Te lo chiediamo o Dio, nel nome e per i dolori, il Sangue e i meriti delle Santissime Piaghe di Nostro Signore Gesù Cristo tuo Figlio, che morendo sulla Croce ha vinto Satana e le sue opere per sempre. Amen!

Gli errori che si commettono nel pregare il Rosario

 

Dopo aver invocato lo Spirito Santo per recitare bene il Rosario, mettiti un momento in presenza di Dio e offri le decine, come vedrai più avanti.


Prima di cominciare la decina, fermati un momento, più o meno secondo il tempo disponibile, a considerare il mistero che stai celebrando e chiedi sempre, per tale mistero e per l’intercessione della Vergine santa, una delle virtù che più risaltano nel mistero o della quale hai maggior bisogno.
Fai attenzione soprattutto a due errori ordinari che fanno quasi tutti quelli che dicono il Rosario.


Il primo è di non formulare nessuna intenzione dicendo il Rosario, di modo che se chiedi loro perché lo recitano, non sanno che rispondere. Perciò abbi sempre di mira qualche grazia da chiedere, qualche virtù da imitare o qualche peccato da eliminare.


Il secondo errore che si commette ordinariamente recitando il santo Rosario è di non avere altra intenzione, cominciandolo, che di finirlo al più presto. Questo deriva dal fatto che si vede il Rosario come una cosa onerosa, che pesa forte sulle spalle finché non lo si è detto, soprattutto se uno se ne è fatto un obbligo di coscienza o quando lo si è ricevuto come penitenza.
Fa pena vedere come i più recitano il Rosario. Lo dicono con una precipitazione incredibile, perfino ne mangiano le parole. Non si vorrebbe fare un complimento in questo modo ridicolo all’ultimo degli uomini, e si crede che Gesù e Maria ne saranno onorati!
E allora, perché meravigliarsi se le più sante preghiere della religione cristiana restano quasi senza frutto e se, dopo aver recitato mille o diecimila Rosari, non si è più santi?


Frena, caro confratello del Rosario, la tua precipitazione naturale nel dire il Rosario.

Fai qualche pausa a metà del Padre nostro e dell’Ave Maria e una più breve dopo le parole che qui contrassegno con una crocetta.
Padre nostro, che se nei cieli, +
sia santificato il tuo nome, +
venga il tuo regno, +
sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra.
Dacci oggi il nostro pane quotidiano, +
e rimetti a noi i nostri debiti +
come noi li rimettiamo ai nostri debitori, +
e non ci indurre in tentazione, +
ma liberaci dal male. Amen.


Ave, Maria, piena di grazia, +
il Signore è con te. +
Tu sei benedetta fra le donne, +
e benedetto è il frutto del tuo seno, Gesù.
Santa Maria, Madre di Dio, +
prega per noi peccatori, +
adesso e nell’ora della nostra morte. Amen.


Dapprima farai fatica a fare queste pause, per la cattiva abitudine che hai di pregare in fretta; ma una decina detta così con calma ti sarà più meritoria di migliaia di Rosari recitati in fretta, senza riflettere e senza sostare.


«Il beato Alano de la Roche e altri autori, fra i quali il Bellarmino, raccontano che un buon sacerdote consigliò a tre sue penitenti, che erano sorelle, di recitare tutti i giorni devotamente il Rosario per un anno intero, al fine di confezionare un bel vestito di gloria alla Vergine Maria. Si tratta — egli diceva — di un segreto ricevuto dal cielo. Tutte e tre lo dissero per un anno. Il giorno della Purificazione, verso sera, quando esse erano già a letto, la Madonna, accompagnata da santa Caterina e da santa Agnese, entrò nella loro camera. Indossava un abito splendente di luce, sul quale era scritto da ogni lato in lettere d’oro: “Ave Maria gratia plena”. La Regina del cielo si avvicinò al letto della sorella maggiore e le disse: “Ti saluto, figlia mia, che mi hai salutato così spesso e così bene. Vengo a ringraziarti del magnifico abito che mi hai confezionato”.
Anche le due sante vergini accompagnatrici la ringraziarono, poi tutte e tre scomparvero.
Un’ora dopo la Santa Vergine, con le sue due compagne, venne ancora nella camera, vestita di un abito verde, ma senza oro e senza luce, si avvicinò al letto della seconda sorella e la ringraziò per l’abito che le aveva fatto dicendo il Rosario. Ma siccome questa seconda sorella aveva visto la Madonna apparire a sua sorella maggiore con molto più splendore, ella ne chiese il motivo. “Perché — le rispose Maria — lei mi ha fatto un abito più bello, recitando il Rosario meglio di te”.
Circa un’ora dopo, la Madonna apparve una terza volta alla più giovane delle sorelle, vestita di uno straccio sporco e strappato e le disse: “O figlia, tu mi hai vestita così, ti ringrazio”.
La giovinetta, piena di confusione, esclamò: “Possibile, Signora mia? Io vi ho vestita così male, ve ne domando perdono. Concedetemi del tempo per fare un abito più bello, recitando meglio il Rosario”. Cessata la visione, la sorella più giovane molto afflitta raccontò al confessore tutto ciò che era accaduto. Il sacerdote esortò lei e le altre sorelle a recitare il Rosario per un altro anno con più perfezione che mai, così fecero. Alla fine dell’anno, sempre nel giorno della Purificazione, la Madonna, accompagnata ancora da santa Caterina e da santa Agnese che portavano delle corone, vestita con un abito meraviglioso, apparve loro e disse: “Siate certe, figlie mie, del paradiso, vi entrerete domani con grande gioia”. A ciò tutte e tre risposero: “Il nostro cuore è pronto, nostra cara Signora, il nostro cuore è pronto”. La visione disparve. Quella stessa notte si sentirono male, mandarono a chiamare il loro confessore, ricevettero gli ultimi sacramenti e lo ringraziarono di aver insegnato loro quella santa pratica. Dopo compieta la Madonna apparve loro ancora, accompagnata da un gran numero di vergini, fece rivestire le tre sorelle con abiti bianchi, dopo di che esse si avviarono verso la celeste patria mentre gli angeli cantavano: “Venite, spose di Cristo, ricevete le corone che vi sono preparate nell’eternità”» (J. A. Coppestein, Beati F. Alani redivivi tractatus mirabilis, c. 70).


Impara diverse verità da questa storia:

1º quanto è importante avere buoni direttori che consigliano sante pratiche di pietà e specialmente il santo Rosario;

2º quanto è importante recitare il Rosario con attenzione e devozione;

3º quanto è benigna e misericordiosa la Madonna con chi si pente del passato e propone di far meglio;

4º quanto ella è generosa nel ricompensare in vita, in morte e nell’eternità, i piccoli servizi che a lei rendiamo fedelmente.