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Beata Vergine Maria del Monte Carmelo

Il primo profeta d’Israele, Elia (IX sec. a.C.), dimorando sul Monte Carmelo, ebbe la visione della venuta della Vergine, che si alzava come una piccola nube dalla terra verso il monte, portando la pioggia e salvando Israele dalla siccità. In quella immagine tutti i mistici cristiani e gli esegeti hanno sempre visto la Vergine Maria, che portando in sé il Verbo divino, ha dato la vita e la fecondità al mondo. Un gruppo di eremiti, «Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo», costituirono una cappella dedicata alla Vergine sul Monte Carmelo. I monaci carmelitani fondarono, inoltre, dei monasteri in Occidente. Il 16 luglio del 1251 la Vergine, circondata da angeli e con il Bambino in braccio, apparve al primo Padre generale dell’Ordine, San Simone Stock, al quale diede lo «scapolare» col «privilegio sabatino», ossia la promessa della salvezza dall’inferno, per coloro che lo indossano e la liberazione dalle pene del Purgatorio il sabato seguente alla loro morte.

Il 16 luglio ricorre una festa mariana molto importante nella Tradizione della Chiesa: la Madonna del Carmelo, una delle devozioni più antiche e più amate dalla cristianità, legata alla storia e ai valori spirituali dell’Ordine dei frati della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo (Carmelitani). La festa liturgica fu istituita per commemorare l’apparizione del 16 luglio 1251 a san Simone Stock, all’epoca priore generale dell’ordine carmelitano, durante la quale la Madonna gli consegnò uno scapolare (dal latino scapula, spalla) in tessuto, rivelandogli notevoli privilegi connessi al suo culto.

Nel Primo Libro dei Re dell’Antico Testamento si racconta che il profeta Elia, che raccolse una comunità di uomini proprio sul monte Carmelo (in aramaico «giardino»), operò in difesa della purezza della fede in Dio, vincendo una sfida contro i sacerdoti del dio Baal. Qui, in seguito, si stabilirono delle comunità monastiche cristiane. I crociati, nell’XI secolo, trovarono in questo luogo dei religiosi, probabilmente di rito maronita, che si definivano eredi dei discepoli del profeta Elia e seguivano la regola di san Basilio. Nel 1154 circa si ritirò sul monte il nobile francese Bertoldo, giunto in Palestina con il cugino Aimerio di Limoges, patriarca di Antiochia, e venne deciso di riunire gli eremiti a vita cenobitica. I religiosi edificarono una chiesetta in mezzo alle loro celle, dedicandola alla Vergine e presero il nome di Fratelli di Santa Maria del Monte Carmelo. Il Carmelo acquisì, in tal modo, i suoi due elementi caratterizzanti: il riferimento ad Elia ed il legame a Maria Santissima.

Il Monte Carmelo, dove la Tradizione afferma che qui la sacra Famiglia sostò tornando dall’Egitto, è una catena montuosa, che si trova nell’Alta Galilea, una regione dello Stato di Israele e che si sviluppa in direzione nordovest-sudest da Haifa a Jenin. Fra il 1207 e il 1209, il patriarca latino di Gerusalemme (che allora aveva sede a San Giovanni d’Acri), Alberto di Vercelli, redasse per gli eremiti del Monte Carmelo i primi statuti (la cosiddetta regola primitiva o formula vitae). I Carmelitani non hanno mai riconosciuto a nessuno il titolo di fondatore, rimanendo fedeli al modello che vedeva nel profeta Elia uno dei padri della vita monastica.

La regola, che prescriveva veglie notturne, digiuno, astinenza rigorosi, la pratica della povertà e del silenzio, venne approvata il 30 gennaio 1226 da papa Onorio III con la bolla Ut vivendi normam. A causa delle incursioni dei saraceni, intorno al 1235, i frati dovettero abbandonare l’Oriente per stabilirsi in Europa e il loro primo convento trovò dimora a Messina, in località Ritiro. Le notizie sulla vita di san Simone Stock (Aylesford, 1165 circa – Bordeaux, 16 maggio 1265) sono scarse. Dopo un pellegrinaggio in Terra Santa, maturò la decisione di entrare fra i Carmelitani e, completati gli studi a Roma, venne ordinato sacerdote. Intorno al 1247, quando aveva già 82 anni, venne scelto come sesto priore generale dell’Ordine. Si adoperò per riformare la regola dei Carmelitani, facendone un ordine mendicante: papa Innocenzo IV, nel 1251, approvò la nuova regola e garantì all’Ordine anche la particolare protezione da parte della Santa Sede.

Proprio a san Simone Stock, che propagò la devozione della Madonna del Carmelo e compose per Lei un bellissimo inno, il Flos Carmeli, la Madonna assicurò che a quanti si fossero spenti indossando lo scapolare sarebbero stati liberati dalle pene del Purgatorio, affermando: «Questo è il privilegio per te e per i tuoi: chiunque morirà rivestendolo, sarà salvo». La consacrazione alla Madonna, mediante lo scapolare, si traduce anzitutto nello sforzo di imitarla, almeno negli intenti, a fare ogni cosa come Lei l’avrebbe compiuta.

La devozione spontanea alla Vergine Maria, sempre diffusa nella cristianità sin dai primi tempi apostolici, è stata man mano nei secoli, diciamo ufficializzata sotto tantissimi titoli, legati alle sue virtù (vedasi le Litanie Lauretane), ai luoghi dove sono sorti Santuari e chiese che ormai sono innumerevoli, alle apparizioni della stessa Vergine in vari luoghi lungo i secoli, al culto instaurato e diffuso da Ordini Religiosi e Confraternite, fino ad arrivare ai dogmi promulgati dalla Chiesa.
Maria racchiude in sé tante di quelle virtù e titoli, nei secoli approfonditi nelle Chiese di Oriente ed Occidente con Concili famosi e studi specifici, tanto da far sorgere una terminologia ed una scienza “Mariologica”, e che oltre i grandi cantori di Maria nell’ambito della Chiesa, ha ispirato elevata poesia anche nei laici, cito per tutti il sommo Dante che nella sua “preghiera di s. Bernardo alla Vergine” nel XXXIII canto del Paradiso della ‘Divina Commedia’, esprime poeticamente i più alti concetti dell’esistenza di Maria, concepita da Dio nel disegno della salvezza dell’umanità, sin dall’inizio del mondo.
“Vergine madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura,
termine fisso d’eterno consiglio, tu se’ colei che l’umana natura
nobilitasti sì, che ‘l suo fattore non disdegnò di farsi sua fattura……”
Ma il culto mariano affonda le sue radici, unico caso dell’umanità, nei secoli precedenti la sua stessa nascita; perché il primo profeta d’Israele, Elia (IX sec. a.C.) dimorando sul Monte Carmelo, ebbe la visione della venuta della Vergine, che si alzava come una piccola nube dalla terra verso il monte, portando una provvidenziale pioggia, salvando così Israele da una devastante siccità.
In quella nube piccola “come una mano d’uomo” tutti i mistici cristiani e gli esegeti, hanno sempre visto una profetica immagine della Vergine Maria, che portando in sé il Verbo divino, ha dato la vita e la fecondità al mondo.
 La Tradizione racconta che già prima del Cristianesimo, sul Monte Carmelo (Karmel = giardino-paradiso di Dio) si ritiravano degli eremiti, vicino alla fontana del profeta Elia, poi gli eremiti proseguirono ad abitarvi anche dopo l’avvento del cristianesimo e verso il 93 un gruppo di essi che si chiamarono poi ”Fratelli della Beata Vergine Maria del Monte Carmelo”, costruirono una cappella dedicata alla Vergine, sempre vicino alla fontana di Elia.
Si iniziò così un culto verso Maria, il più bel fiore di quel giardino di Dio, che divenne la ‘Stella Polare, la Stella Maris’ del popolo cristiano. E sul Carmelo che è una catena montuosa che si estende dal golfo di Haifa sul Mediterraneo, fino alla pianura di Esdrelon, richiamato più volte nella Sacra Scrittura per la sua vegetazione, bellezza e fecondità, continuarono a vivere gli eremiti, finché nella seconda metà del sec. XII, giunsero alcuni pellegrini occidentali, probabilmente al seguito delle ultime crociate del secolo; proseguendo il secolare culto mariano esistente, si unirono in un Ordine religioso fondato in onore della Vergine, alla quale i suddetti religiosi si professavano particolarmente legati.
L’Ordine non ebbe quindi un fondatore vero e proprio, anche se considera il profeta Elia come suo patriarca e modello; il patriarca di Gerusalemme s. Alberto Avogadro (1206-1214), originario dell’Italia, dettò una ‘Regola di vita’, approvata nel 1226 da papa Onorio III.
Costretti a lasciare la Palestina a causa dell’invasione saracena, i monaci Carmelitani, come ormai si chiamavano, fuggirono in Occidente, dove fondarono diversi monasteri: Messina e Marsiglia nel 1238; Kent in Inghilterra nel 1242; Pisa nel 1249; Parigi nel 1254, diffondendo il culto di Colei che: “le è stata data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron” (Is 35,2).

Il 16 luglio del 1251 la Vergine circondata da angeli e con il Bambino in braccio, apparve al primo Padre Generale dell’Ordine, San Simone Stock, al quale diede lo ‘scapolare’ col ‘privilegio sabatino’, che consiste nella promessa della salvezza dall’inferno, per coloro che lo indossano e la sollecita liberazione dalle pene del Purgatorio il sabato seguente alla loro morte.
Lo ‘scapolare’ detto anche ‘abitino’ non rappresenta una semplice devozione, ma una forma simbolica di ‘rivestimento’ che richiama la veste dei carmelitani e anche un affidamento alla Vergine, per vivere sotto la sua protezione ed è infine un’alleanza e una comunione tra Maria ed i fedeli.
Papa Pio XII affermò che “chi lo indossa viene associato in modo più o meno stretto, all’Ordine Carmelitano”, aggiungendo “quante anime buone hanno dovuto, anche in circostanze umanamente disperate, la loro suprema conversione e la loro salvezza eterna allo Scapolare che indossavano! Quanti, inoltre, nei pericoli del corpo e dell’anima, hanno sentito, grazie ad esso, la protezione materna di Maria! La devozione allo Scapolare ha fatto riversare su tutto il mondo, fiumi di grazie spirituali e temporali”.
Altri papi ne hanno approvato e raccomandato il culto, lo stesso San Giovanni XXIII lo indossava, esso consiste di due pezzi di stoffa di saio uniti da una cordicella, che si appoggia sulle scapole e sui due pezzi vi è l’immagine della Madonna.

Nel secolo d’oro delle fondazioni dei principali Ordini religiosi cioè il XIII, il culto per la Vergine Maria ebbe dei validissimi devoti propagatori: i Francescani (1209), i Domenicani (1216), i Carmelitani (1226), gli Agostiniani (1256), i Mercedari (1218) ed i Servi di Maria (1233), a cui nei secoli successivi si aggiunsero altri Ordini e Congregazioni, costituendo una lode perenne alla comune Madre e Regina.
L’Ordine Carmelitano partito dal Monte Carmelo in Palestina, dove è attualmente ubicato il grande monastero carmelitano “Stella Maris”, si propagò in tutta l’Europa, conoscendo nel sec. XVI l’opera riformatrice dei due grandi mistici spagnoli Giovanni della Croce e Teresa d’Avila, per cui oggi i Carmelitani si distinguono in due Famiglie: “scalzi” o “teresiani” (frutto della riforma dei due santi) e quelli senza aggettivi o “dell’antica osservanza”.
Nell’Ordine Carmelitano sono fiorite figure eccezionali di santità, misticismo, spiritualità claustrale e di martirio; ne ricordiamo alcuni: S. Teresa d’Avila (1582) Dottore della Chiesa; S. Giovanni della Croce (1591) Dottore della Chiesa; Santa Maria Maddalena dei Pazzi (1607); S. Teresa del Bambino Gesù (1897), Dottore della Chiesa; S. Simone Stock (1265); S. Angelo martire in Sicilia (1225); Beata Elisabetta della Trinità Catez (1906); S. Raffaele Kalinowski (1907); Beato Tito Brandsma (1942); S. Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein, 1942); suor Lucia, la veggente di Fatima, ecc.
Alla Madonna del Carmine, come è anche chiamata, sono dedicate chiese e santuari un po’ dappertutto, essa per la promessa fatta con lo scapolare, è onorata anche come “Madonna del Suffragio” e a volte è raffigurata che trae, dalle fiamme dell’espiazione del Purgatorio le anime purificate.
Particolarmente a Napoli è venerata come S. Maria La Bruna, perché la sua icona, veneratissima specie dagli uomini nel Santuario del Carmine Maggiore, tanto legato alle vicende seicentesche di Masaniello, cresciuto alla sua ombra, è di colore scuro e forse è la più antica immagine conosciuta come ‘Madonna del Carmine’.
Durante tutti i secoli trascorsi nella sua devozione, Ella è stata sempre rappresentata con Gesù Bambino in braccio o in grembo che porge lo ‘scapolare’ (tutto porta a Gesù), e con la stella sul manto (consueta nelle icone orientali per affermare la sua verginità).
La sua ricorrenza liturgica è il 16 luglio, giorno in cui nel 1251, apparve a San Simone Stock, porgendogli l’“abitino”.

 

Santa Teresa e la misericordia

Canterò in eterno la misericordia del Signore” (Sai 89,2), così prega il Salmista nel riconoscere l’azione di Dio nella sua vita quotidiana.

La misericordia di Dio, infatti, attraversa ogni avvenimento biblico, ogni persona di diversa età, razza, lingua. La misericordia si è realizzata anche attraverso coloro per i quali si sono realizzate le promesse di Dio nella loro vita e godono di quella beatitudine al banchetto celeste (cfr. Le 14,15).

Anche in santa Teresa di Lisieux, fin dalla sua infanzia e in particolare il giorno della sua prima Comunione (8/05/1884), esplose in lei il volto misericordioso di Dio, in una piena “fusione d’amore” (Ms A, 109).

Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo nasce il 2 gennaio 1873 ad Alengon e muore a Lisieux la sera del 30 settembre 1897.

Visse una vita molto semplice e nascosta nell’orizzonte dell’amore (cfr. Ms B, 254).

Beatificata (29/04/1923) e canonizzata (17/05/1925) da Pio XI, lo stesso Pontefice le conferirà il titolo di Patrona delle Missioni il 14 dicembre 1927.

San Giovanni Paolo II il 19 ottobre 1997 la proclamò Dottore della Chiesa.

Inoltre, la definì “esperta della scientia amoris”, cioè di una vita intrisa della misericordia di Dio.

Teresa è la donna che proviene dall’in-timo di Dio e scoprì quel’umano di Dio nelle piccole cose, anche insignificanti, presenti soprattutto nel suo intimo (cfr. 1 Pt 3,3-4), lasciandosi “rimpastare” dal Volto Santo da cui prese il nome.

Il sentire spirituale di Teresa affonda proprio nel Volto Santo che è infinita misericordia verso tutti.

Ne è rivelatore il primo quaderno il cui titolo è preso dall’incipit: “Storia primaverile di un fiorellino bianco” meglio conosciuto col nome di “storia di un’anima” testo che ispirerà alla santa l’Offerta di sé all’Amore Misericordioso (P, 9), fatta nella festa della Santissima Trinità il 9 giugno 1895, insieme alla sorella Celina, per “contemplare e adorare le altre perfezioni divine” (Ms A, 237).

Che cos’è quest’offerta che fa Teresa?

Non è altro che un’espressione teologica, dottrinale di ciò che lei chiama “infanzia spirituale”

Ella scopre questo cammino come “piccola via” che può essere intrapresa solamente da “chi si fa bambino” (cfr. Mt 19,14; Me 10,14; Le 18,16), cioè da quella capacità di abbandono, in quanto incapaci del proprio nulla, in Dio con fiducia, che è Padre e Madre (cfr. Pr 4,9; Is 66,12- 13; Sai 131,2).

Nell’ottica di questa spiritualità “si sperimenta che tutto viene da Dio, a Lui ritorna e in Lui dimora, per la salvezza di tutti, in un mistero di amore misericordioso” (San Giovanni Paolo II).

Teresa non fa altro che dipendere dal Padre, affida a Lui, che è nei cieli, ogni sua necessità umana in un completo abbandono fiducioso fino a farsi elevare, come un ascensore, alle somme cime della santità (cfr. Ms C, 271).

La “piccola via” è intensa relazione d’amore con il Buon Gesù ed esprime e svela in sintesi l’essenza stessa della vita cristiana, l’essenza misericordiosa del-l’amore del Padre che sempre ama e nutre i suoi figli: “Ti ho sempre amato e per questo continuerò a mostrarti il mio amore incrollabile” (TILC: Ger 31,3) un’essenza che ancora oggi va recuperata in quanto è essenza stessa della vocazione cristiana (cfr. Gv15,9; Gd1,21).

È la via dell’umiltà, indispensabile condizione principale per quanti, ancora oggi, desiderano entrare nel regno dei cieli, senza pretese, alla maniera dei piccoli.

Teresa compose l’offerta di sé “Sub tutela Dei” pensando “alle anime che si offrono come vittime alla Giustizia di Dio allo scopo di stornare e di attirare su di sé i castighi riservati ai colpevoli” (Ms A, 238), con il desiderio di immolarsi per la salvezza degli uomini.

Il suo “pensare alle anime” era un pensarle consumate dall’Amore Misericordioso, da un Padre che ama fino alla follia le sue creature, che arde d’amore senza consumarsi mai (cfr. Es 3,2-3).

Teresa visse ciò come missione di annunciare quest’amore ad ogni uomo, affinché tutti siano consumati da questo fuoco di misericordia.

Infatti, la verità centrale del Cristianesimo è l’Amore!

Amore immenso di Dio, che vuole effondersi su tutte le creature, per “rinnovarle” e trasformare la società: “Sono venuto a portare il fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso”! (Lc 12,49).

Nella poesia “Vivere d’amore” Teresa esprime le ragioni dell’amore che la conducono, come un esodo, anche a “morir d’amore”

Ella si lascia “rapire” completamente da Dio, senza porre alcun ostacolo all’effusione del suo amore infinito: “Vivere d’amore quaggiù è un darsi senza misura… è un navigare incessante, seminando nei cuori la gioia e la pace…

È un supplicarti, o Divino Maestro…

È un rasciugarti il Volto ed ottenere perdono ai peccatori: che rientrino nella tua grazia, o Dio di amore, e sempre benedicano il tuo nome” (CP, 9).

Il cuore della piccola santa era generoso d’amore e il suo slancio andava oltre l’orizzonte: “O mio Dio! esclamai in fondo al cuore, ci sarà solo la tua Giustizia a ricevere anime che si immolano come vittime?

Il tuo Amore Misericordioso non ne ha bisogno anche lui? …

O mio Gesù! che sia io questa felice vittima, consuma il tuo olocausto con il fuoco del tuo Amore Divino!” (Ms A, 238).

Ella come Gesù si fa vittima fattiva in ricordo del sacrificio dell’Antica Alleanza e scrive: “Mi pare che se voi trovaste anime che si offrissero come vittime di olocausto al vostro amore, voi le consumereste rapidamente, mi pare che sareste felice di non comprimere le onde d’infinita tenerezza che sono in voi” (Ms A, 238).

Teresa è la vittima d’amore perché possiede quella dimensione fondamentale fatta di piccolezza, profondità vuota, mani nude e vuote da riempire “fino all’orlo” dall’Amore.

Il suo essere “felice vittima” era vissuto con gioia in quanto non temeva di mostrarsi fragile e povera, di riconoscere le proprie miserie.

Lei stessa si definiva “piccola”, perché per seguire il Signore bisogna sentirsi fragili, deboli, poveri, perché solo così si può sperimentare la misericordia di Dio e diventare strumenti di amore nelle sue mani.

La “piccolezza” secondo il Vangelo, infatti, è il criterio e la misura del vero progresso spirituale (cfr. Mt 18,4).

La piccola santa comprese che la misericordia di Dio non può operare se noi non prendiamo coscienza della nostra miseria, se non accettiamo di entrare nella nostra povertà, se non ci rendiamo conto che spesso siamo chiusi in noi stessi.

Di questa piccolezza, Teresa rimase affascinata in tutto il suo splendore perché ha incontrato Dio ritrovando se stessa, con la sete di sempre, nuova di serenità, di sicurezza, di pace.

L’esperienza di Teresa ricorda che se l’uomo non è immerso nel mistero del Padre Misericordioso, non potrà mai capire e conoscere la propria dimensione umana; soltanto in quel Padre che lo ama fino al sacrificio estremo, l’uomo può ritrovare se stesso e guarire le ferite che lo hanno lacerato.

In questa dimensione della vita è importante la preghiera che si traduce in un nuovo cammino che conduce alla vetta del monte dell’Amore Misericordioso.

Salire questa vetta non comporta una serie di domande su “chi” e “come”, ma è un continuo lasciarsi condurre da Gesù in un totale abbandono.

Sarà l’Amore Infinito ad essere domanda e risposta col suo chinarsi sulla creatura per colmarla di “ogni dono perfetto” (cfr. Gc 1,17), egli deve solo abbandonarsi, non deve gestire la Misericordia di Dio, come spesso accade, ma lasciare che Dio sia Dio sul proprio nulla: riconoscerlo come unico fondamento e senso della propria vita: che “sia Lui la nostra santità”.

 

Vincenzo Boschetto, O.Carm.

Édith Piaf e Santa Teresa di Lisieux, la storia di una devozione incondizionata

L’icona della canzone francese era profondamente devota alla santa da quando era guarita miracolosamente da bambina dopo un pellegrinaggio a Lisieux.

Édith Gassion, nata il 19 dicembre 1915 a Parigi, a quanto pare era destinata a un futuro molto speciale già da bambina. Conosciuta a livello internazionale come Édith Piaf, è ancora oggi nota come una delle voci più belle della canzone francese, grazie a brani famosi come La vie en rose,Non, je ne regrette rien o il famoso Hymne à l’amour.

La sua vita è stata tanto breve quanto intensa, ed è iniziata con un’infanzia non troppo fortunata. Figlia di una cantante di strada e di un contorsionista, venne rapidamente abbandonata dalla madre, che la lasciò per potersi guadagnare da vivere. Il padre, soldato durante la I Guerra Mondiale, affidò allora la piccola Édith alla nonna paterna.

All’epoca la nonna gestiva un bordello in Normandia, a Bernay, a circa trenta chilometri da Lisieux. La bambina vi trascorse alcuni anni prima di tornare con il padre, una volta finita la guerra, in un’itineranza durante la quale iniziò a cantare in strada per guadagnare un po’ di denaro.

Qualche anno dopo attirò l’attenzione di Louis Leplée, direttore di una salone di spettacoli agli Champs Élisées, che la soprannominò “la môme Piaf”, “il piccolo passero”, perché era piccolina, e lanciò la sua carriera.

La vita Édith Piaf è stata piena di difficoltà. Per via dei suoi tanti amanti e delle storie amorose finite con uno scandalo alcuni la definirono libertina. A causa dei tanti matrimoni che aveva contratto le venne negato anche il servizio funebre religioso.

C’è però una cosa che va al di là delle critiche: la fedeltà di Édith alla devozione a Santa Teresa di Lisieux dopo il miracolo che aveva sperimentato da bambina.

Destinata alla cecità

A 6 anni, la piccola Édith sviluppò una cheratite acuta, un’infiammazione della cornea che la lasciò cieca. Dopo tanti trattamenti che non avevano avuto effetto la nonna, le “ragazze di vita” del bordello ed Édith stessa si rassegnarono a che rimanesse cieca. Un giorno, però, la nonna decise di andare con le sue “figlie” in pellegrinaggio a Lisieux, portando con sé anche Édith.

Forse aveva sentito parlare delle guarigioni inaspettate di alcune persone che andavano a visitare la tomba di Santa Teresa. Una volta sul posto, tutte iniziarono a pregare davanti agli abitanti incuriositi. Veder arrivare quelle “ragazze di vita”, anche se vestite in modo rispettoso, con una bambina con una benda nera sugli occhi era quantomeno insolito. Di fronte alla tomba di Santa Teresa, strofinarono la fronte della piccola Édith con della terra e poi implorarono la santa perché aiutasse la bambina.

Un miracolo inspiegabile

Qualche giorno dopo Édith iniziò a recuperare la vista, di fronte allo sguardo felice della nonna e delle ragazze del postribolo. I medici erano scettici, ma la cosa certa è che la bambina aveva recuperato l’uso degli occhi e qualche anno dopo poté tornare con il padre per esibirsi in spettacoli organizzati qua e là.

Nel corso della sua vita Édith attribuì questo miracolo alle tante preghiere rivolte a Teresa di Lisieux, e da allora sviluppò una grande devozione nei confronti di questa santa.

Fede incrollabile

Da quel momento ogni settembre, nell’anniversario della morte di Teresa, Édith si recava a pregare al Carmelo di Lisieux. Per tutta la vita tenne al collo una medaglia con l’immagine della santa.

Prima di ogni esibizione faceva il segno della croce e recitava la stessa preghiera di protezione: “Teresa, ora canto per te!” Édith la considerava sua sorella spirituale, e a quanto pare erano cugine di quattordicesimo grado da parte del padre di Édith.

Malgrado tutte le difficoltà della sua vita, la fede della cantante non venne mai meno, anche se perse la figlia Marcelle a due anni e mezzo per una devastante meningite e poi vari amici e amanti, incluso l’amore della sua vita, il boxeur Marcel Cerdan. Nonostante tutto, conservò la fede fino alla fine.

Qualche giorno prima di morire disse alla sua infermiera:

“Non è possibile che una volta morti non siamo altro che polvere… C’è qualcosa che ci sfugge, che non sappiamo… Io credo in Dio. Sarebbe troppo ingiusto che chi ha sofferto su questa terra trovasse la pace solo una volta ridotto in polvere. Il Paradiso verrà… dopo il Giudizio Finale”.

 

La testimonianza dei coniugi Martin: la santità della tenerezza

Quando si conobbero ad Alençon Luigi Martin (1823-1894) e Zelia Guerin (1931-1877) capirono che il loro progetto di vita andava vissuto assieme, ma non s’immaginavano che avrebbero dovuto quasi “convertirsi” per capire a pieno il senso del matrimonio. Dopo essersi sposati il 13 luglio 1858, infatti, vivevano quasi come due consacrati, proprio perché entrambi, prima di incontrarsi, pensavano alla vita da religiosi. Poi grazie a una guida spirituale capirono il grande valore della chiamata alla generazione della vita e, sempre insieme, si aprirono a questo dono: ebbero nove figli, anche se solo cinque femmine arrivarono all’età adulta. Quattro di queste entrarono nel Carmelo, la quinta scelse un’altra congregazione religiosa. La più piccola, nata nel 1873, morì giovanissima, ma la sua incredibile esperienza spirituale la portò a essere riconosciuta come santa e dottore della Chiesa: si tratta di santa Teresa di Lisieux.

Luigi era un orologiaio e Zelia realizzava merletti, quindi la loro situazione economica era buona, ma in casa Martin lo stile era all’insegna dell’essenzialità, della semplicità, ma anche della dolcezza, della delicatezza e della tenerezza. Virtù che santa Teresina raccontò di riconoscere molto bene nel padre. La partecipazione alla vita della parrocchia, ai sacramenti e l’impegno verso gli ultimi erano la “corona” di una quotidianità vissuta nella condivisione di gioie e dolori ma anche nell’entusiasmo di veder crescere il nucleo domestico. Per Zelia non vi era impegno più affascinante ed entusiasmante dello stare accando ai propri figli e la morte di alcuni di loro era stata accolta con serenità pur nella sofferenza. Zelia morì a 45 anni di tumore, Luigi 17 anni dopo, consumato dalla sclerosi ma sempre fedele al progetto che aveva condiviso fin dall’inizio con la moglie.

Il loro messagigo è chiaro: anche fare i genitori è una vocazione che va coltivata, fatta crescere, custodita e sostenuta spiritualmente. Ora, sempre insieme, la Chiesa li ha riconosciuti santi.

(Basilica Nostra Signora delle Vittorie, Parigi)

Preghiera a Santa Teresa di Gesù Bambino

(Per ottenere una grazia)

Cara piccola Teresa di Gesù Bambino, grande Santa del puro amor di Dio, vengo oggi a confidarti il mio ardente desiderio. Si, molto umile vengo a sollecitare la tua potente intercessione per la grazia seguente…

(esprimerla qui)

Poco tempo prima di morire, hai chiesto a Dio di poter trascorrere il tuo Cielo facendo del bene sulla terra. Hai anche promesso di spandere su di noi, i piccoli, una pioggia di rose. Il Signore ha esaudito la tua preghiera: migliaia di tuoi devoti testimoniano di aver beneficiato della tua protezione. Forte di questa certezza, che tu non rigetti i piccoli e gli afflitti, vengo con fiducia a sollecitare il tuo aiuto. Intercedi per me presso il tuo Sposo Crocifisso e glorioso. Digli il mio desiderio. Egli ti ascolterà, perché tu non gli hai mai rifiutato nulla sulla terra. Piccola Teresa, vittima d’amore per il Signore, patrona delle missioni, modello delle anime semplici e confidenti, mi rivolgo a te come una grande sorella molto potente e amorevolissima. Ottienimi la grazia che ti chiedo, se è questa la volontà di Dio.
Sii benedetta, piccola Teresa, per tutto il bene che hai fatto e continui a fare alle anime fino alla fine del mondo. Si, sii mille volte benedetta e ringraziata perché così ci fai toccare la bontà e la misericordia del nostro Dio!

Amen.

Teresina e il Rosario

Teresa di Gesù Bambino (1873-1897) ricorda quando pregava il rosario, quasi giocando, con la cuginetta Maria: «I due eremiti recitavano insieme il rosario, servendosi delle dita in modo da non mostrare la loro devozione al pubblico indiscreto». Intorno agli undici anni si iscrive alla confraternita del rosario; nel 1886, come «Figlia di Maria», se lo impone quotidianamente – lo ricorda la sorella Celina – e da carmelitana ne diventa solerte propagandista.

Ella racconta che nella visita alla Santa Casa a Loreto pose la sua corona nella scodellina di Gesù Bambino. E sempre durante il pellegrinaggio italiano, è ancora Teresa che fa passare attraverso le grate dell’urna di santa Maria Maddalena de’ Pazzi le corone dei compagni di viaggio perché possano toccare il corpo della santa fiorentina. Dove lo avesse imparato lo si capisce da questa lettera della sorella Maria che descrive l’agonia della mamma: «Non lascia mai il suo rosario, prega sempre malgrado le sue sofferenze, ne siamo tutti ammirati, perché ha un coraggio e un’energia che non ha l’eguale. Quindici giorni or sono diceva ancora il suo rosario tutto intero in ginocchio ai piedi della Santa Vergine della mia camera, che lei ama tanto».

Ma è la mamma stessa che, nelle sue lettere, descrive in che ambiente matura questa devozione mariana, anche se non da tutti condivisa. Come quando il marito e i compagni di viaggio tornano da Lourdes con al collo dei rosari dai grani grossi come castagne e sono presi a male parole dalla gente. La corona rientra anche fra i possibili regali di Natale: «Quanto a Leonia – scrive alla cognata Celina –, non posso chiederle giocattoli, non si diverte più, lavora. Può regalarle un rosario per la sua prima Comunione», e sempre Zelia conferma la soddisfazione della figlia per il bellissimo rosario ricevuto. Gioia che viene anche dal comportamento della figlia maggiore:«Maria […]; è molto devota e non passa un sol giorno senza dire il suo rosario».

Si capisce allora perché suor Maria Dositea così scriva a Zelia: «Quanto a quello che voi mi raccontate, mia beneamata sorella, che voi avete il mio Rosario, ne sono ben contenta, io penso che ogni volta che voi lo direte, non vi dimenticherete di me nelle vostre ferventi preghiere». E quando, dopo la morte della sorella visitandina (il 24 febbraio 1877), la sposa di Luigi riceverà un pacchetto contenente i suoi oggetti di pietà, per sé vorrà tenere solo il rosario, «per servirmene quando sarò seriamente malata». Ma, ahimè, è destino che quella corona vada perduta di lì a pochi mesi. Accade a Lourdes, dove Zelia si è recata dietro insistenza del marito e delle figlie. Fu quello un viaggio tribolato per Zelia («Mi ricorderò per molto tempo di questo viaggio a causa dei disagi e delle fatiche che mi ha procurato»), e mancava solo che fosse smarrito non solo il rosario ricevuto suor Maria Dositea, ma anche quello di Paolina, non meno ricco di ricordi:«Ho perduto il rosario di nostra sorella che avevo voluto portare con me, sperando che mi portasse bene. Avevo però una così gran paura di perderlo che non l’ho lasciato un minuto, lo tenevo costantemente intrecciato fra le dita. Dico, nemmeno un minuto, ma, ahimè, sono stata ad acquistare delle provviste e l’ho dato in custodia a Maria; quando siamo rientrate, il rosario non c’era più. Questo mi ha molto addolorata, era la sola reliquia che avevo di mia sorella e quella a cui tenevo di più. Paolina ha pure perduto il suo al quale erano attaccate due medaglie di sua zia. Ha pianto il suo povero rosario; io non ho pianto il mio, ma me ne è rimasta una pena in fondo al cuore. Alla fine, è una cosa permessa dal buon Dio, una prova di cui mi ricompenserà».

Ma il gusto della preghiera sopravvive alla mamma. Teresa, nel maggio 1885, è in vacanza con gli zii a Deuville e zia Celina scrive alla nipote Maria: «Al mattino siamo stati alla messa solenne a Trouville e nel pomeriggio siamo andate ai Vespri al Buon Soccorso. Lì ho sentito meditare il rosario, come mai prima l’avevo inteso. Il parroco parla bene e io ho ammirato molto questo modo di recitare il rosario». Due anni più tardi, la cugina Maria, scrivendo a Teresa in viaggio verso Roma, conferma: «Da parte mia, io ti assicuro, mia cara piccola Teresa, che non ti dimentico, io prego per te, fino a rompere l’inginocchiatoio; questa sera sono stata alla mia mezz’ora di adorazione diurna e ho recitato un intero rosario per la mia cara sorellina».

Anche nel Carmelo, intitolato alla Vergine Immacolata, il rosario viene recitato, per lo più alla sera. Lo conferma l’album fotografico composto da Teresa e madre Agnese sulla vita di una postulante di Lisieux di fine secolo XIX. In posa è la cugina di Teresa, Maria Guérin. In versi si dice: «Ogni travaglio abbandono nel tempo della libertà. Solo quando il giorno declina recito il mio Rosario». E lo documentano anche le lettere circolari sulle monache defunte che, dai Carmeli di Francia, giungono a Lisieux. È un refrain il riferimento al culto della corona e la cura per la preghiera mariana più popolare nel breve profilo biografico proposto agli altri monasteri.

E anche Teresa lo pregava quotidianamente, ricorda suor Maria degli Angeli, insieme al Memorare. Per questo sorprende quando negli ultimi giorni di vita confessa che questa pratica le fu assai faticosa. E, preoccupata che questo sentimento fosse interpretato come disprezzo degli abituali esercizi di pietà in favore di una certa spontaneità e individualismo, spiegava: «Al contrario, amo tanto le preghiere comuni, perché Gesù ha promesso di essere presente in mezzo a coloro che si riuniscono nel suo nome: allora sento che il fervore delle sorelle supplisce al mio, ma da sola (ho vergogna a confessarlo) la recita del rosario mi costa più che mettermi uno strumento di penitenza!… Mi accorgo che lo dico così male! Per quanto mi sforzi di meditarne i misteri, non riesco a fissare l’attenzione…» (Ms C, 25v°). Probabilmente era il tono ripetitivo che mal si adattava al temperamento di Teresa, soprattutto se la recita era comune e veloce. E, infatti, qualche riga più sotto, continuava: «A volte, quando il mio spirito è in un’aridità così grande che mi è impossibile ricavarne un pensiero per unirmi al Buon Dio, recito molto lentamente un “Padre Nostro” e poi il saluto angelico: allora queste preghiere mi rapiscono, nutrono la mia anima ben più che se le recitassi precipitosamente un centinaio di volte…». Comunque, nonostante le precisazioni e le sfumature di Teresa, il testo dovette risultare quanto meno sconcertante, se la sorella Paolina (Sr. Agnese) decise di ometterlo dalle prime edizioni della Storia di un’anima.

Chiara è la convinzione di Teresa: «Per molto tempo mi sono afflitta per questa mancanza di devozione che mi stupiva, perché amo così tanto la Madonna che mi dovrebbe essere facile fare in suo nome delle preghiere che le sono gradite. Adesso mi affliggo di meno: penso che, poiché la Regina dei Cieli è mia Madre, vede la mia buona volontà e se ne accontenta» (Ultimi colloqui, 20 agosto). Costante nella vita di questa religiosa è la ricerca non di particolari gratificazioni, ma semplicemente di «far piacere» a Gesù, e a Maria. E il rosario, in quanto preghiera «gradita alla Vergine», andava recitato, anche se richiedeva fatica, nella certezza che la Vergine guarda solo all’amore dei nostri gesti, non alle imperfezioni che li accompagnano. E con il rosario nelle mani, insieme al Crocifisso, Teresa venne sepolta.

di P. Giuseppe Furioni ocd

 

Atto d’Offerta all’Amore Misericordioso

Offerta di me stessa come Vittima d’Olocausto all’Amore Misericordioso del Buon Dio

 

O mio Dio, Trinità Beata, io desidero Amarti e farti Amare, lavorare alla glorificazione della Santa Chiesa salvando le anime che sono sulla terra e liberando quelle che soffrono nel purgatorio. Desidero compiere perfettamente la tua volontà e arrivare al grado di gloria che mi hai preparato nel tuo regno ; in una parola, desidero essere Santa, ma sento la mia impotenza e ti domando, o mio Dio, di essere tu stesso la mia Santità !

Poiché mi hai amata fino a darmi il tuo unico Figlio perché sia il mio Salvatore e il mio Sposo, i tesori infiniti dei suoi meriti sono miei ed io te li offro con gioia, supplicandoti di non guardarmi che attraverso il Volto di Gesù e nel suo Cuore ardente d’Amore.

Ti offro ancora tutti i meriti dei Santi sia del Cielo che della terra, i loro atti d’Amore e quelli dei Santi Angeli ; ti offro infine, o Beata Trinità, l’Amore e i meriti della Santa Vergine, mia Madre diletta. A lei affido la mia offerta pregandola di presentartela.

Il tuo Figlio divino, mio Amato Sposo, nei giorni della sua vita mortale ci ha detto : « Tutto ciò che domanderete al Padre mio, nel mio nome, ve lo darà » ! Sono dunque certa che esaudirai i miei desideri. Lo so, o mio Dio : più vuoi dare, più fai desiderare ! Sento nel mio cuore desideri immensi ed è con fiducia che ti chiedo di venire a prendere possesso della mia anima. Ah, non posso ricevere la Santa Comunione tanto spesso come desidero ! Ma, Signore, non sei tu Onnipotente ?… Resta in me, come nel tabernacolo : non allontanarti mai dalla tua piccola ostia !

Vorrei consolarti dell’ingratitudine dei cattivi e ti supplico di togliermi la libertà di dispiacerti. Se qualche volta cado per debolezza, il tuo Sguardo Divino purifichi subito la mia anima consumando tutte le mie imperfezioni, come il fuoco che trasforma ogni cosa in se stesso…

Ti ringrazio, o mio Dio, di tutte le grazie che mi hai accordate, in particolare di avermi fatta passare attraverso il crogiuolo della sofferenza. Sarà con gioia che ti contemplerò nell’ultimo giorno mentre reggi lo scettro della Croce. Poiché ti sei degnato di darmi in sorte questa Croce tanto preziosa, spero di rassomigliarti nel Cielo e di veder brillare sul mio corpo glorificato le sacre stimmate della tua Passione !

Dopo l’esilio della terra, spero di venire a goderti nella Patria ; ma non voglio ammassare meriti per il Cielo, voglio lavorare per il tuo solo Amore, con l’unico scopo di farti piacere, di consolare il tuo Sacro Cuore e di salvare anime che ti ameranno eternamente.

Alla sera di questa vita, comparirò davanti a te a mani vuote, perché non ti chiedo, Signore, di contare le mie opere. Ogni nostra giustizia è imperfetta ai tuoi occhi. Voglio dunque rivestirmi della tua propria Giustizia e ricevere dal tuo Amore il possesso eterno di Te stesso. Non voglio altro Trono e altra Corona che Te, o mio Amato !

Ai tuoi occhi il tempo è nulla : un giorno solo è come mille anni. Tu puoi dunque prepararmi in un istante a comparire davanti a te…

Allo scopo di vivere in un atto di perfetto Amore, mi offro come vittima d’olocausto al tuo Amore misericordioso, supplicandoti di consumarmi senza posa, lasciando traboccare nella mia anima le onde d’infinita tenerezza che sono racchiuse in te, così che io diventi Martire del tuo Amore, o mio Dio !

Questo martirio, dopo avermi preparata a comparire davanti a te, mi faccia infine morire e la mia anima si slanci senza ritardo nell’eterno abbraccio del Tuo Amore Misericordioso !

Voglio, o mio Amato, ad ogni battito del cuore rinnovarti questa offerta un numero infinito di volte, fino a che, svanite le ombre, possa ridirti il mio Amore in un Faccia a Faccia Eterno !

 

Maria Francesca Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo – rel.carm.ind.

Festa della Santissima Trinità, 9 giugno dell’anno di grazia 1895

« La mia piccola dottrina » come voi la chiamate…

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Il cammino spirituale di Teresa Martin fu solitario. Certo, ha ricevuto molto dalla sua famiglia, dai suoi educatori, dai maestri del Carmelo. Ma nessun sacerdote l’ha profondamente segnata. In lei, lo Spirito Santo ha tracciato un cammino di autenticità – « Ho cercato solo la verità » – che le ha rivelato le profondità dell’Amore trinitario e una « via » per raggiungerle, senza alcuna preoccupazione didattica : tutto è arrivato dalla vita, dagli avvenimenti quotidiani riletti alla luce della Parola di Dio. Il suo apporto incomparabile alla spiritualità del XX secolo è un ritorno al Vangelo nella sua purezza radicale. « Se non ritornerete come bambini, non entrerete nel Regno dei Cieli. » (Mt 18,3)

Petite voieBenchè non abbia mai potuto disporre dell’Antico Testamento integrale, ha operato un ritorno alla meditazione della Parola di Dio. Senza alcuna iniziazione, senza alcuna cultura biblica, cita, nei suoi scritti, la Bibbia più di 1000 volte. A soli ventidue anni, due testi dell’Antico Testamento concretizzano la sua lunga ricerca : l’illuminazione de « la via dell’infanzia spirituale » che rappresenterà il suo apporto.

 

« Voglio essere santa »

Teresa, ardente adolescente è partita per la santità. Scrive a suo padre : « Farò la tua gloria diventando una grande santa ».

Ma molto presto al Carmelo, quando si paragona ai Santi, si scontrerà con le sue debolezze e la sua impotenza. I Santi le appaiono come una montagna mentre ella non è che un granello di sabbia. « Rendermi migliore di ciò che sono, mi è impossibile », constata ma senza scoraggiarsi. Perchè se Dio ha messo in lei questi desideri di santità, è perchè deve esserci una strada, una via per salire « la dura scala della perfezione ».

 

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La Parola di Dio le aprirà la via : « Se qualcuno è piccolissimo, venga a me. » (Proverbi, 9,4) « Allora sono venuta », scrive la « piccola Teresa » domandandosi ciò che Dio farebbe al piccolo che andasse da Lui. Legge allora Isaia 66 e comprende che non potrà salire da sola questa scala ma Gesù la prenderà nelle sue braccia, come un rapido ascensore.

Da allora, la piccolezza di Teresa non sarà più un ostacolo, ma al contrario più sarà piccola e leggera nelle braccia di Gesù, più Egli la farà santa con un’ascensione rapida.

E’ così che Teresa racconta la scoperta della piccola via. (Manoscritto C, 2).

Dapprima scopre ciò che è Dio : essenzialmente Amore Misericordioso. Ormai vedrà tutte le perfezioni divine (compresa quella della Giustizia) attraverso il prisma della sua Misericordia.

Questa le trasmette una fiducia audace : « Desidero essere santa, ma sento la mia impotenza e vi domando, o mio Dio ! di essere Voi stesso la mia santità. » (Atto d’Offerta)

Accettare di lasciarsi plasmare da Dio non implica alcun facile infantilismo. Teresa farà concretamente tutto ciò che è possibile per mostrare realmente il suo amore per Dio e per le sue sorelle, ma in totale gratuità, quella dell’amore.

In tutte le situazioni e in tutte le azioni della sua vita, Teresa « applicherà » questa via : Se Dio le domanda qualcosa ed ella sente che ne è incapace, Dio lo farà in lei. Un esempio : amare tutte le sue sorelle come Gesù le ama le è impossibile. Allora unendosi a Lui, è Lui che le amerà in Teresa. « Sì, lo sento quando sono caritatevole, è Gesù solo che agisce in me ; più sono unita a Lui, e più amo tutte le sorelle. » (Manoscritto C, 13 r°)

Ecco un cammino di santità che si apre per tutti, i piccoli, i poveri, i feriti : accettare la realtà della propria debolezza e offrirsi a Dio come si è, affinchè Egli agisca in noi.

Petit bateauSi comprende meglio allora che una tale frase, per esempio, è agli antipodi della sdolcinatezza ma chiarisce l’infanzia evangelica predicata da Gesù : « Gesù si compiace di mostrarmi l’unico cammino che conduce a questa Divina fornace, questo cammino è l’abbandono del bambino che si addormenta senza timore nella braccia del Padre. » (Manoscritto B, 1 v°)

Le sue intuizioni ne fanno un’anticipatrice delle grandi verità riportate alla luce dal Concilio Vaticano II : primato del mistero pasquale di Gesù su tutte le altre devozioni, la via della santità per tutti i battezzati, mariologia che vede in Maria « una Madre più che una Regina », avendo vissuto la prova della fede (cf. Il poema « Perchè ti amo, o Maria », testamento mariano, maggio 1897), ecclesiologia di comunione fondata sulla presenza dell’Amore (lo Spirito Santo) nel cuore della Chiesa che anima tutte le vocazioni complementari nella Comunione dei Santi del Cielo e della Terra.

Rivoluzione anche nella concezione dei Novissimi : non più il riposo, ma l’azione :

« Passerò il mio cielo a fare del bene sulla terra. »

Teresa, senza saperlo, ha aperto il cammino dell’ecumenismo : la sua lettura della lettera ai Romani seduce i luterani ; gli ortodossi la amano con san Francesco d’Assisi (i simboli universali utilizzati da questi due santi facilitano la loro inculturazione in altre civiltà.)

Preghiera a Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo

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Cara piccola Teresa del Bambino Gesù, grande Santa del puro amor di Dio, vengo oggi a confidarti il mio ardente desiderio. Sì, molto umile vengo a sollecitare la tua potente intercessione per la grazia seguente…
(esprimerla).

Poco tempo prima di morire, hai chiesto a Dio di poter trascorrere il tuo Cielo facendo del bene sulla terra. Hai anche promesso di spandere su di noi, i piccoli, una pioggia di rose. Il Signore ha esaudito la tua preghiera: migliaia di pellegrini lo testimoniano a Lisieux e nel mondo intero. Forte di questa certezza che tu non rigetti i piccoli e gli afflitti, vengo con fiducia a sollecitare il tuo aiuto. Intercedi per me presso il tuo Sposo Crocifisso e glorioso. Digli il mio desiderio. Egli ti ascolterà, perché tu non gli hai mai rifiutato nulla sulla terra.

Piccola Teresa, vittima d’amore per il Signore, patrona delle missioni, modello delle anime semplici e confidenti, mi rivolgo a te come una grande sorella molto potente e amorevolissima. Ottienimi la grazia che ti chiedo, se questa è la volontà di Dio. Sii benedetta, piccola Teresa, per tutto il bene che ci hai fatto e ti auguri di prodigarci ancora fino alla fine dei mondo.
Sì, sii mille volte benedetta e ringraziata di farci così toccare in qualche modo la bontà e la misericordia dei nostro Dio! Amen.

Il miracolo di Santa Teresina a Gallipoli

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Era il 16 gennaio 1910 quando nel monastero della Carmelitane Scalze di Gallipoli avvenne un fatto straordinario.
L’allora Priora del monastero, madre Carmela del S. Cuore di Gesù (al secolo Ida Piccinno), si trovava a letto vittima di una malattia in quel tempo molto diffusa: la pleurite. Alle prime luci dell’alba di quel 16 gennaio, avvertì una strana sensazione, come se qualcuno la toccasse sul petto, scuotendola come per svegliarla. Rivolgendosi allo sconosciuto personaggio la madre disse: « Lasciatemi, poiché sono tutta sudata ». E subito una voce con tonalità femminile le rispose: « Non temete, ciò che faccio è per il vostro bene, non per il vostro male ». E continuò: « Dio si serve indifferentemente degli esseri del cielo come di quelli della terra: ecco, io vi porto cinquecento lire per sovvenire ai bisogni della vostra comunità ». La priora rispose: « Ma i debiti del convento sono solo di trecento lire! ». Solo molto tempo dopo si scoprirà che quella strana voce apparteneva a S. Teresa di Gesù Bambino, conosciuta anche come Teresa di Lisieux e come Santa Teresina. Ma a questo punto è doveroso fare un piccolo passo indietro onde spiegare il motivo per cui la madre superiora del monastero avesse urgente bisogno di quelle trecento lire. Una legge del governo italiano del 17 febbraio 1861 aveva stabilito l’espropriazione e la soppressione di moltissimi beni ecclesiastici, soprattutto nel Meridione d’Italia, laddove erano anche più numerosi. Tra questi beni figurava il monastero delle Carmelitane di Gallipoli, che come gli altri poteva garantirsi la sopravvivenza solo pagando una cospicua percentuale di tributi all’erario.
Fino al 1910 la comunità delle Carmelitane di Gallipoli si era retta grazie al provvidenziale ingresso in convento di una nobile e facoltosa giovane gallipolina, Ida Piccinno (poi divenuta madre Carmela del S. Cuore di Gesù), che qualche anno dopo la professione solenne dei voti fu, con una speciale dispensa del Papa, eletta priora del monastero. Si tratta dunque della stessa priora che sarà protagonista dell’episodio di cui stiamo parlando. Madre Carmela fino al 1908 non aveva mai sentito parlare di quella giovane carmelitana d’oltralpe morta in odore di santità qualche anno prima.
E d’altronde non c’è da stupirsi per questo, visto che persino in Francia la piccola Teresa non era ancora considerata né una mistica, né tanto meno una santa, neppure tra le mura del suo stesso convento.

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Sappiamo infatti che solo nel 1925 Teresa Martin (questo era il suo nome “nel mondo”) fu proclamata santa dall’allora papa Pio XI. Madre Carmela dunque venne a conoscenza della spiritualità di Teresa solo dopo che la priora delle suore Marcelline di Lecce le fece dono dell’autobiografia della mistica francese, meglio nota col titolo di “Storia di un’anima”, divenuto poi un best-seller.
Intanto il monastero di Gallipoli chiuse l’anno 1909 con un deficit, riscontrabile ancor oggi nel libro dei conti, il passivo ammontava appunto a trecento lire. Fu così che madre Carmela decise di cominciare assieme alle sue consorelle un triduo di preghiere alla SS. Trinità chiedendo l’intercessione di Teresa di Lisieux. Così la notte fra il 15 e il 16 gennaio 1910. ultimo giorno del triduo, accadde ciò che le carmelitane speravano, ma che nessuno pensava potesse realmente avvenire.
Dopo l’apparizione in sogno di Teresa di Gesù Bambino, madre Carmela corse verso la cassetta delle offerte, collocata nella “stanza della ruota” e con immensa meraviglia vi trovò le cinquecento lire promesse. Nel dialogo poi tra madre Carmela e S. Teresina vi furono degli elementi che permisero a questo miracolo di pervenire alla Congregazione per le Cause dei Santi e, quindi, di essere ritenuto utile per il processo di beatificazione e poi santificazione di Teresa di Lisieux.
Due sono gli elementi più significativi: il primo è la presentazione che S. Teresa fa di se stessa dicendo alla priora del Carmelo di Gallipoli di “non essere la nostra Santa Madre (S. Teresa d’Avila) ma la Serva di Dio, Suor Teresa di Lisieux”; il secondo elemento è la frase di commiato pronunciata da S. Teresina: “La mia via è sicura. Non mi sono sbagliata seguendola”. Solo dopo diversi anni si saprà infatti che la carmelitana di Lisieux aveva detto ancora in vita alle sue consorelle “un giorno vi farò sapere se la mia via è sicura”.
A quel prodigioso evento del gennaio 1910 ne seguirono altri e sempre con lo scopo di non far ricadere nei debiti il monastero di Gallipoli.
Oggi quel monastero ospita circa venti carmelitane, ed è divenuto uno dei più floridi e significativi Carmeli d’Italia.

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La famiglia di Thérèse Martin

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Il padre di Thérèse, Louis Martin (Bordeaux, 1823 – Lisieux, 1894), esercitava il mestiere di orologiaio, dove eccelleva. Sua madre Marie-Azélie Guérin Martin (Gandelain, 1831 – Alençon, 1877) era già conosciuta fin dal 1850 come sarta esperta nel famoso “punto d’Alençon”; creò anche una piccola impresa a conduzione familiare dove lavoravano una ventina di operaie.

Louis avrebbe voluto entrare nella congregazione dei canonici regolari del Gran San Bernardo (Valais – Suisse), ma la sua non buona conoscenza del latino glielo impedì. Anche Marie-Zélie avrebbe voluto entrare in convento come la sorella maggiore Marie-Louise, ma la madre superiora la persuase ad abbandonare il progetto. Così si ripromise in segreto, se si fosse sposata, di donare se possibile tutti i suoi figli alla Chiesa.

Louis e Marie-Zélie si conobbero nel 1858 sul ponte Saint-Léonard d’Alençon e, dopo un breve fidanzamento, si sposarono il 13 luglio 1858 nella Basilica di Notre-Dame.

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La loro vita coniugale era orientata inizialmente a vivere la castità nel matrimonio ma in seguito, su consiglio del loro confessore e padre spirituale, decisero diversamente: ebbero così nove figli, dei quali quattro morirono in tenera età:

  • Marie-Joseph-Louis (20 settembre 1866 – 14 febbraio 1867);

  • Marie-Joseph-Jean-Baptiste (19 dicembre 1867 – 24 agosto 1868);

  • Marie-Hélène, (13 ottobre 1864 – 22 febbraio 1870);

  • Marie-Mélanie-Thérèse (16 agosto 1870 – deceduta appena dopo sette settimane).

Gli altri cinque figli, tutte femmine, divennero religiose:

  • Marie (22 febbraio 1860, carmelitana a Lisieux (1886) — con il nome di suora Marie du Sacré-Cœur — morì il 19 gennaio 1940);

  • Pauline (7 settembre 1861, carmelitana a Lisieux (1882) — suora e poi madre Agnès de Jésus —, morì il 28 luglio 1951);

  • Léonie (3 giugno 1863, nell’ordine religioso delle clarisse (1886) poi visitandina à Caen (1894) — suor Françoise-Thérèse — morì il 16 giugno 1941);

  • Céline (28 aprile 1869, carmelitana à Lisieux (1894) — suora Geneviève de la Sainte-Face — morì il 25 febbraio 1959);

  • Thérèse (2 gennaio 1873, carmelitana a Lisieux (1888) — suora Thérèse de l’Enfant-Jésus et de la Sainte-Face — morì il 30 settembre 1897 e fu canonizzata nel 1925).

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Marie-Françoise-Thérèse Martin, questo il suo nome completo, nacque in rue Saint-Blaise nella cittadina di Alençon nel nord della Francia in Normandia, il 2 gennaio 1873. Fu battezzata due giorni dopo nella chiesa Notre-Dame d’Alençon. Il padrino fu Paul Boul, figlio di un amico di famiglia, mentre la madrina fu la sua stessa sorella maggiore Marie; tutti e due dell’età di tredici anni.

In marzo, all’età di due mesi, rischia la morte e deve essere mandata a balia da una nutrice, Rose Taillé, che era stata già a suo tempo la nutrice di due bambini della coppia Martin. Si ristabilisce e cresce nella campagna della Normandia, nella fattoria di Semallé, distante 8 chilometri. Al suo ritorno ad Alençon, il 2 aprile 1874, la sua famiglia la circonda di affetto. Sua madre dirà che «è di una intelligenza superiore a quella di Céline, ma meno dolce, e soprattutto di una testardaggine quasi invincibile. Quando dice no, niente la può far cedere.» Giocosa e maliziosa, fa la felicità della sua famiglia con la sua gioia di vivere, ma è anche molto emotiva e piange spesso.

Cresce così allora in questa famiglia di cattolici ferventi che assistono ogni mattina alla messa delle 5:30, rispettano rigorosamente il digiuno e pregano rispettando i ritmi dell’anno liturgico. Inoltre i Martin praticano la carità e accolgono all’occasione dei vagabondi alla loro tavola, visitano i malati e gli anziani. Thérèse anche se non è la bambina modello che invece dipingeranno più tardi le sue sorelle è ugualmente sensibile a questo tipo di educazione. Così gioca a fare la religiosa, cerca spesso di «fare piacere a Gesù» e si preoccupa di sapere che egli sia contento di lei. Un giorno arriva addirittura a augurare a sua madre di morire; viene sgridata ma lei spiega che è perché le augura così la felicità del Paradiso.

Nel 1865, Zélie Martin si ammala di un tumore al seno che si svilupperà lentamente, ma sempre più. Solo nel dicembre 1876 un medico le rivela la gravità di questo tumore, ma ormai è troppo tardi per tentare un’operazione. Il 24 febbraio 1877, Zélie perde sua sorella maggiore Marie-Louise, che muore di tubercolosi al convento della Visitazione di Mans, dove aveva preso il nuovo nome da religiosa di suor Marie-Dosithée. Dopo questo decesso il male peggiora e il dolore aumenta sempre più malgrado ella cerchi di nasconderlo alla sua famiglia.

È nel giugno 1877 che infine Zélie parte per Lourdes in pellegrinaggio nella speranza di essere guarita, ma il miracolo non ha luogo. Muore il 28 agosto dello stesso anno, dopo molti giorni di agonia. A quattro anni e mezzo Thérèse perde sua madre e di questo lutto fu profondamente segnata per il prosieguo del suo percorso. Più tardi ritenne che la prima parte della sua vita si fermò proprio in quel giorno. Dopo quell’evento così drammatico per lei, decise di scegliere sua sorella Pauline che era solo la secondogenita, come sua madre adottiva.

La Rugiada Divina

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1 – Tu m’apparisci raggiante d’amore, Gesù mio dolce, sul seno di tua Madre: rivela al mio cuore, ti prego, il mistero che t’esiliò dal celeste soggiorno. E lascia che mi nasconda sotto il velo che ti sottrae ad ogni sguardo mortale. Soltanto vicino a te, Stella mattutina, l’anima mia pregusta la gioia del cielo.

2 – Quando al destarsi d’una nuova aurora tornano i primi raggi del sole, il fiorellino che sta per schiudersi attende dal cielo un balsamo prezioso: è la scintillante perla del mattino che, misteriosa e colma di frescura, produce la linfa abbondante che fa sbocciare il fiore.

3 – Gesù, tu sei il fiore appena schiuso che io contemplo al primo destarti, sei la rosa in boccio, freschissima. Le purissime braccia della diletta tua Madre si fanno da culla per te, e trono reale. E il dolce tuo sole è il seno di Maria, e la rugiada è il latte verginale.

4 – Mio Benamato, divino infante, fratellino mio, nel tuo sguardo io vedo tutto l’avvenire: presto lascerai per me la Madre , già l’amore t’affretta a soffrire! Ma sulla croce, o fiore sbocciato, riconosco il tuo profumo mattutino, le perle di Maria: ché il tuo sangue divino è il latte verginale.

5 – Questa rugiada è là nel Tabernacolo, ed anche l’Angelo vorrebbe abbeverarsene: e, come san Giovanni offrendo a Dio una sublime preghiera ripete: «Eccolo!». Ecco, sì, il Verbo che s’è fatto Ostia, eterno sacerdote, Agnello sacerdotale. Il Figliol d’Iddio è figlio di Maria… ed il pane dell’Angelo è il latte verginale!

6 – Il serafino si nutre di gloria, di puro amore, di perfetta letizia: io, bambinella, nel ciborio non vedo che il colore, l’immagine del latte, il latte che s’addice alla mia infanzia. L’amore del cuor divino non ha l’eguale, tenero amore, potenza insondabile! L’Ostia mia bianca è il latte verginale!

2 febbraio 1893

 

“Passerò il mio Cielo a fare del bene sulla terra. Farò scendere una pioggia di rose”

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Novena delle rose

Padre Putigan il 3 dicembre 1925, cominciò una novena chiedendo una grazia importante. Per sapere se veniva esaudito, chiese un segno. Desiderava ricevere una rosa in dono quale garanzia di aver ottenuto la grazia. Non fece parola con nessuno della novena che stava facendo. Al terzo giorno, ricevette la rosa richiesta ed ottenne la grazia.

Cominciò un’altra novena. Ricevette un’altra rosa ed un’altra grazia. Allora prese la decisione di diffondere la novena “miracolosa” detta delle rose.

Oggi in tutto il mondo si pratica questa novena… La si può cominciare in qualsiasi giorno del mese. Di solito, i devoti ed amici di Teresa, la fanno dal 9 al 17 di ogni mese.

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Preghiera per la novena delle rose

Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo.
O Dio, vieni a salvarmi.
Signore, vieni presto in mio aiuto.
Gloria al Padre, Credo.

Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo, io vi ringrazio per tutti i favori e le grazie di cui avete arricchito l’anima della vostra serva Santa Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo, Dottore della Chiesa, durante i suoi ventiquattro anni trascorsi su questa terra e, per i meriti di questa vostra Santa Serva, concedetemi la grazia (qui si formula la grazia che si vuol ottenere), se è conforme alla vostra Santa volontà e per il bene della mia anima.

Aiutate la mia fede e la mia speranza, o Santa Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo; realizzate ancora una volta la vostra promessa di passare il vostro cielo a fare del bene sulla terra, permettendo che io riceva una rosa come segno della grazia che desidero ottenere.

Si recitano 24 “Gloria al Padre” in ringraziamento a Dio per i doni concessi a Teresa nei ventiquattro anni della sua vita terrena. Segue ad ogni “Gloria” l’invocazione: Santa Teresa di Gesù Bambino del Volto Santo, prega per noi.

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Facciamo conoscere questa Santa, “la più grande dei tempi moderni”, propagando questa novena. Sicuramente Teresa ci aiuterà dal Cielo e ci otterrà quanto desideriamo.

Ripetere per nove giorni consecutivi.

Offerta della giornata

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Dio, ti offro tutte le azioni che farò oggi,

nelle intenzioni e per la gloria del Sacro Cuore di Gesù;

voglio santificare i battiti del mio cuore,

i miei pensieri e le mie opere più semplici

unendoli ai suoi meriti infiniti,

e riparare le mie colpe gettandole

nella fornace del suo amore misericordioso.

O mio Dio! Ti domando per me e per coloro che mi sono cari

la grazia di compiere perfettamente

la tua santa volontà,

di accettare per tuo amore le gioie e le pene di questa vita passeggera

affinché siamo un giorno riuniti nei Cieli per tutta l’eternità.

Così sia.

Perché ti amo Maria

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(Testo di Santa Teresa di Gesù Bambino) 

 

Oh sì vorrei cantar, Maria, perché ti amo
perché il tuo nome mi fa trasalire il cuor.
ed il pensare alla grandezza tua suprema
non potrà mai destar timore nel mio cuor.

1. Se io contemplassi la tua divina gloria,
che supera il chiaror di tutti i tuoi eletti,
di essere tua figlia io non ci crederei,
Maria, davanti a te, lo sguardo abbasserei.

2. Perché un bimbo possa amare la sua mamma
bisogna che lei pianga con lui il suo dolor.
O cara madre mia, hai pianto tante volte
sulla riva straniera, per attirarmi a te.

3. Leggendo nel vangelo la vita tua, Maria,
mi posso avvicinar, guardare verso te.
Il credermi tua figlia difficile non è,
perché soffrir ti vedo, mortale come me.

4. Un angelo celeste ti offre d’esser madre
di un Dio che in eterno e sempre regnerà.
Ti vedo preferire, Maria che mistero,
il tuo gran tesoro, la tua verginità.

5. Capisco che ancor più del suo paradiso
sia cara al Signor l’anima tua divina;
capisco anche bene che questa dolce valle
può contener Gesù, oceano d’amor.

6. Piccina come sono, o cara madre mia,
accolgo, come Te, in me l’onnipotente;
la mia debolezza neppure mi spaventa,
se al bimbo appartiene, o madre il tuo tesoro.

7. La tua bimba sono, o cara madre mia,
le tue virtù, il tuo amor non sono forse miei.
E quando nel mio cuor discende l’ostia santa
il dolce agnello crede di riposare in te

La pioggia di rose

Santa Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo

Teresa Martin nasce ad Alençon in Francia il 2 gennaio 1873. È battezzata due giorni più tardi nella Chiesa di Notre-Dame, ricevendo i nomi di Maria Francesca Teresa. I suoi genitori sono Louis Martin e Zélie Guérin. Dopo la morte della madre, avvenuta il 28 agosto 1877, Teresa si trasferisce con tutta la famiglia nella città di Lisieux.

Verso la fine del 1879 si accosta per la prima volta al sacramento della penitenza. Nel giorno di Pentecoste del 1883 ha la singolare grazia della guarigione da una grave malattia, per l’intercessione di nostra Signora delle Vittorie. Educata dalle Benedettine di Lisieux, riceve la prima comunione l’8 maggio 1884, dopo una intensa preparazione, coronata da una singolare esperienza della grazia dell’unione intima con Cristo. Poche settimane più tardi, il 14 giugno dello stesso anno, riceve il sacramento della cresima, con viva consapevolezza di ciò che comporta il dono dello Spirito Santo nella personale partecipazione alla grazia della Pentecoste.

Desiderosa di abbracciare la vita contemplativa, come le sue sorelle Paolina e Maria nel Carmelo di Lisieux, ma impedita per la sua giovane età, durante un pellegrinaggio in Italia, dopo aver visitato la Santa Casa di Loreto e i luoghi della Città Eterna, nell’udienza concessa dal Papa ai fedeli della diocesi di Lisieux, il 20 novembre 1887, con filiale audacia chiede a Leone XIII di poter entrare nel Carmelo all’età di 15 anni.

Il 9 aprile del 1888 entra nel Carmelo di Lisieux ove il 10 gennaio dell’anno seguente riceve l’abito dell’Ordine della Vergine ed emette la sua professione religiosa l’8 settembre del 1890, festa della Natività della Vergine Maria.

Intraprende nel Carmelo il cammino della perfezione, tracciato dalla Madre Fondatrice, Teresa di Gesù, con autentico fervore e fedeltà, nell’adempimento dei diversi uffici comunitari a lei affidati. Illuminata dalla Parola di Dio, provata in modo particolare dalla malattia del suo amatissimo padre, Louis Martin, che muore il 29 luglio del 1894, si incammina verso la santità, ispirata dalla lettura del Vangelo, insistendo sulla centralità dell’amore. Teresa ci ha lasciato nei suoi manoscritti autobiografici non solo i ricordi dell’infanzia e dell’adolescenza, ma anche il ritratto della sua anima e le sue esperienze più intime. Scopre e comunica alle novizie affidate alla sue cure la piccola via dell’infanzia spirituale; riceve come dono speciale di accompagnare con il sacrificio e la preghiera due « fratelli missionari». Penetra sempre di più nel mistero della Chiesa e, attirata dall’amore di Cristo, sente crescere in sé la vocazione apostolica e missionaria che la spinge a trascinare tutti con sé, incontro allo Sposo divino.

Il 9 giugno del 1895, nella festa della Santissima Trinità, si offre vittima di olocausto all’Amore misericordioso di Dio. Nel frattempo redige il primo manoscritto autobiografico, che consegna a Madre Agnese di Gesù nella sua festa, il 21 gennaio 1896.

Pochi mesi più tardi, il 3 aprile, durante la notte fra il giovedì ed il venerdì santo, ha una prima manifestazione della malattia che la condurrà alla morte e che Lei accoglie come la misteriosa visita dello Sposo divino. Nello stesso tempo entra nella prova della fede che durerà fino alla sua morte e della quale offrirà una sconvolgente testimonianza nei suoi scritti. Durante il mese di settembre conclude il Manoscritto B, che costituisce una stupenda illustrazione della piena maturità della Santa, specialmente mediante la scoperta della sua vocazione nel cuore della Chiesa.

Mentre peggiora la sua salute e continua il tempo della prova, nel mese di giugno inizia il Manoscritto C, dedicato alla Madre Maria di Gonzaga; nuove grazie la conducono ad una più alta perfezione ed ella scopre nuove luci sull’estensione del suo messaggio nella Chiesa a vantaggio delle anime che seguiranno la sua via. L’8 luglio 1897 viene trasferita in infermeria. Le sue sorelle ed altre religiose raccolgono le sue parole, mentre i dolori e le prove, sopportati con pazienza, si intensificano fino a culminare con la morte, nel pomeriggio del 30 settembre del 1897. «Io non muoio, entro nella vita», aveva scritto al suo fratello spirituale missionario don Bellier. Le sue ultime parole « Dio mio, io ti amo » sono il sigillo della sua esistenza, che all’età di 24 anni si spegne sulla terra per entrare, secondo il suo desiderio, in una nuova fase di presenza apostolica in favore delle anime, nella comunione dei Santi, per spargere una pioggia di rose sul mondo.

Fu canonizzata da Pio XI il 17 maggio 1925 e dallo stesso Papa proclamata Patrona universale delle missioni, insieme a San Francesco Saverio, il 14 dicembre 1927.

La sua dottrina ed il suo esempio di santità sono stati recepiti da ogni ceto di fedeli di questo secolo con un grande entusiasmo, anche fuori della Chiesa cattolica e del cristianesimo.

Molte Conferenze Episcopali in occasione del Centenario della sua morte hanno chiesto al Papa che fosse proclamata Dottore della Chiesa, per la solidità della sua sapienza spirituale, ispirata al Vangelo, per l’originalità delle sue intuizioni teologiche, nelle quali risplende la sua eminente dottrina, per l’universalità della recezione del suo messaggio spirituale accolto in tutto il mondo e diffuso con la traduzione delle sue opere in una cinquantina di lingue diverse.

Accogliendo questi desideri, il Santo Padre Giovanni Paolo II ha voluto che fosse studiata la convenienza di dichiarare Teresa di Lisieux Dottore della Chiesa universale dalla competente Congregazione delle Cause dei Santi, con il voto della Congregazione per la Dottrina della Fede per quanto riguarda la sua eminente dottrina.

Il 24 agosto 1997, al momento della preghiera dell’« Angelus », alla presenza di centinaia di Vescovi e davanti ad una sterminata folla di giovani di tutto l’orbe, radunata a Parigi per la XII Giornata Mondiale della Gioventù, Giovanni Paolo II ha annunziato il suo proposito di proclamare Teresa di Gesù Bambino e del Santo Volto Dottore della Chiesa universale, il 19 ottobre 1997, nella Domenica in cui si celebra la Giornata Mondiale delle Missioni.

Preghiera a Santa Teresa di Gesù Bambino

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O Serafica Santa Teresa,
per quella fedeltà con cui servisti fino alla morte il tuo mistico sposo Gesù,
vivendo sempre con la continua pratica della meditazione,
della preghiera e della penitenza cristiana,
ottienimi di essere sempre fedele alle promesse fatte a Gesù.
Tu che hai assicurato grazie a tutti,
promettendo una pioggia di rose, ascolta questo tuo devoto
che ti domanda….(grazia).

Grazie, o buona Santina, della tua intercessione:
fa in modo che, amando come te Gesù in questa terra,
abbiamo un giorno con te a contemplarlo in cielo.
Gloria…

La piccola via – Teresa di Lisieux

«Qual è la via che vuoi insegnare alle anime?» chiese Madre Agnese alla sorella sul letto di morte.
E lei rispose: «E’ il cammino della fiducia e del totale abbandono».

Betlemme: prima tappa della Piccola Via

«Farsi piccoli vuol dire riconoscere il proprio nulla,
tutto aspettare da Dio …
non cercare ricchezze, non inquietarsi di nulla …
non attribuire a se stessi le virtù che si praticano».
(da “Consigli e Ricordi”)

Se noi potessimo stringere tra le braccia il Bambino di Betlemme, come ci sarebbe più facile comprendere Dio, il suo amore e la sua volontà nei nostri riguardi.
Teresa l’ha intuito: il suo cammino di santità partì da lì, dalla capanna di Betlemme.
Non c’è un fanciullo in quella mangiatoia? Dio non ha scelto di farsi bambino per venirci incontro?
Ebbene, Teresa seguirà lo stesso cammino: ha compreso che per incontrare un Dio Bambino non c ‘è altra strada che farsi piccoli.
Non ricordavamo più le parole di Cristo: «Se non vi farete piccoli … non entrerete nel regno dei cieli»?

Sulla terra c’è sempre un po’ di luce

«La mia vita è fatta tutta di confidenza e di amore
e non capisco le anime
che hanno paura d’un così tenero Amico».
(lettera a P. Roulland, 9.5.1897)

Diventare bambini: liberarsi da tutte le incrostazioni, da tutto ciò che ci rende meno spontanei, più calcolatori, egoisti.
Non chiudere gli occhi davanti alle difficoltà della vita, ma guardare la vita con altri occhi.
Ridiventare capaci di fiducia, d’apertura, di Amore.
L’amore dei bambini è senza condizioni come quello di Dio.
Solo lo sguardo puro d’un bambino può intuire che sulla terra –nonostante ogni oscurità- c’è sempre un po’ di luce che scende dal cielo: ciò basta per poter sperare contro ogni possibile delusione.

L’amore: unico mezzo per giungere alla perfezione

«Io non conosco altro mezzo per giungere alla perfezione
fuorché l’Amore …
Amare!
È per questo che è fatto il nostro cuore».
(lettera a M. Guérin, luglio 1890)

A volte, dopo aver accolto l’invito evangelico, può nascere in cuore la paura d’esser rimasti soli, come bambini sperduti nel vortice di uomini che parlano un altro linguaggio: quello del successo, dell’interesse, dell’egoismo.
Ma il bene crea dei legami più forti di quelli del male.
Coloro che hanno scelto Cristo formano l’immensa famiglia dei Santi, unita per l’eternità: in cielo e in terra.

Accettare le spine

«Il vero amore si nutre di sacrifici,
e più l’anima rifiuta a sé le soddisfazioni naturali,
più la sua tenerezza diventa forte e disinteressata».
(da “Consigli e Ricordi”)

La piccola anima però sa che non le sono richiesti grandi sacrifici, né situazioni difficili o eroiche: c’è tanto bisogno di piccoli atti d’amore nella vita! Per cogliere e offrire una rosa bisogna spesso accettare di pungersi alle spine: questo è Amore. A volte scegliamo una vita spoglia e gelida solo per evitare delle punture e così pian piano il cuore diventa amaro e siamo vecchi e stanchi: l’infanzia spirituale non è durata!

Gettare fiori a Gesù

«Non vi è che una cosa sola da fare quaggiù: gettare a Gesù i fiori dei piccoli sacrifici e prenderlo con le carezze» (da “Novissima Verba”)

Un altro pericolo per l’anima-fanciulla è raccogliere dei fiori, ammassare dei piccoli tesori e poi tenerli per sé, oppure rammaricarsi di doverli distribuire così, semplicemente, senza che gli altri li apprezzino, accettando che li sciupino o addirittura li esigano senza accorgersi di quanto costino.
Ma essere bambini vuol dire non essere capaci di riflettere sul dare e sull’avere.
Vuol dire scorgere negli altri l’aspetto più bello solo perché anche il volto più deforme nasconde sempre i lineamenti di Cristo!

La debolezza come forza

«E’ la sua debolezza che costituisce tutta la sua forza.
Non potrei spezzarmi mai perché,
qualunque cosa mi accada,
non voglio veder altro che la dolce mano del mio Gesù».
(Lettera a M. Agnese di Gesù, maggio 1889)

Non occorrerà restare ad occhi asciutti, come se Lui volesse a tutti i costi essere il Dio degli eroi.
La piccola anima a volte piange e si dispera, proprio come una bambina qualunque che ha il cuore grosso perché la vita è più grande di lei.
Basterà solo sapere come piangere: abbracciata a Lui, come si fa con un papà buono che magari non dirà nulla, ma saprà capire.
Allora non sarà più un pianto triste: solo uno sfogo che fa bene al cuore e lo purifica.

Il vero male non è cadere

«Il Signore vede la nostra fragilità
e si ricorda
che non siamo che polvere».
(Salmo 102, 14)

Si può cadere nella vita: aver fatto un passo di troppo, dove la terra non è più buona.
Il vero male però non è cadere: è lasciare andare la Sua mano, non voler rialzarsi più, inorgoglirsi nei propri piccoli o grandi insuccessi.
Una mano tesa indica sempre un cuore proteso a rinnovarsi, una volontà disposta a riconoscere l’errore.
Così è già salvezza, è già ricordare che sotto la croce, Gesù per tre volte è caduto e per tre volte ci ha insegnato che rialzarsi è duro, ma necessario.

Abituarsi all’amore

«Non si può ai abbastanza confidare in Dio
che è tanto potente e misericordioso.
Si ottiene da Lui appunto ciò che da Lui si spera».
(da “Novissima Verba”)

Abituarsi all’amore, ci aiuterà a sentirci fanciulli davanti a Dio: portati da Lui.
Ad un tratto ci s’accorge che tutto è diventato più facile, gli ostacoli sembrano scomparire e il cammino sembra diventato così sereno!
Cos’è accaduto?
Soltanto questo: si è giunti ad amare Dio fino al punto di lasciarLo agire.
“Senza di me, non potete far nulla” ha detto Gesù: l’anima ora esperimenta il “tutto” che può realizzare tra le braccia di Cristo.

La delicatezza di Maria

«Quando il diavolo è riuscito ad allontanare
un’anima dalla Santa Comunione,
ha raggiunto il suo scopo …
E Gesù piange!».
(Lettera a Maria Guérin, 30.05.1889)

Non c’è più paura, quindi, nella piccola anima che s’accosta al suo Dio: non c’è più indegnità alcuna.
Ricevere l’Eucarestia, accostarsi al Mistero, è per lei come una gentile cerimonia nuziale: l’incontro è preparato dalle mani esperte e gentili di Maria.
È come essere inseriti nella buona famiglia di Nazareth, dove non contano più i nostri abiti a brandelli, ma la delicatezza di Maria che sa come rivestirci per presentarci al suo Gesù.

Il Pane deve essere dato

«Da lontano pare tutto rosa far del bene alle anime …
da vicino, è tutto il contrario, la tinta rosa è scomparsa,
si sente che fare del bene è tanto impossibile
senza il soccorso del Signore,
quanto far brillare il sole in piena notte».
(Man. C)

Il pane ricevuto nell’Eucarestia non può essere gelosamente trattenuto nel proprio cuore: deve essere distribuito.
Anche la piccola anima è responsabile d’altre anime che attendono da Lei forse una parola, un insegnamento, una protezione, una guida.
Come il divino Maestro, ha pensa perché c’è sempre qualche pecorella che si smarrisce e non trova la porta dell’ovile e non vuole ascoltare il richiamo.
Ma restando unita a Lui, il Buon Pastore, non avrà riposo finchè anche qull’unica smarrito non venga salvata.

L’Ascensore divino

«Dice il Signore: “Io sono la Via …”».
(Vangelo di Gv, 14,6)

Sarà davvero un sorriso che rapisce la piccola anima.
Ad un tratto quelle parole evangeliche di Cristo: «Io sono la Via», assumono tutta la loro evidenza affascinante.
Ci si sente sollevati da Dio, quasi che lo stesso Gesù ci alzi tra le braccia, per decidere e facilitare gli ultimi passi.
Era così lunga e spesso faticosa la strada!
All’improvviso l’anima sente che Qualcuno le è talmente vicino da identificarsi con lei. E la propria morte è la stessa di quella redentrice di Cristo.

I fanciulli non si dannano

«I fanciulli non si dannano».
(da “Consigli e Ricordi”)

Perciò i fanciulli non si dannano.
Non si dannano perché l’unica loro caratteristica è quell’apertura di cuore che impedisce l’indurimento e il rifiuto.
Non si dannano perché la loro fiducia è tale da superare qualsiasi abisso.
Non si dannano perché portano nelle loro mani innocenti tutto il sangue di Cristo innocente.
Non si dannano perché invocano con la loro stessa esistenza la maternità di Maria.
Non si dannano perché a un bambino Dio può aprire sempre le braccia.

 

Santo Rosario meditato con Santa Teresa di Gesù Bambino

MISTERI GAUDIOSI

(Lunedì – Sabato)

PRIMO MISTERO

L’ANNUNCIO A MARIA (Luca 1 26-38)

Quando Elisabetta fu al sesto mese Dio mandò l’angelo Gabriele a Nazareth, un villaggio della Galilea. L’angelo andò da una vergine che era fidanzata con un uomo chiamato Giuseppe. La ver­gine si chiamava Maria. L’angelo entrò in casa e le disse: “Ti saluto, Maria! Piena di grazia, il Signore è con te”.

Maria fu molto impressionata da queste parole e si domandava che significato poteva avere quel saluto. Ma l’angelo le disse: “Non temere, Maria! Tu hai trovato grazia presso Dio. Avrai un figlio, lo darai alla luce e gli metterai nome Gesù. Il Signore lo farà re, lo porrà sul trono di Davide, suo padre, ed egli regnerà sem­pre sul popolo d’Israele. Il suo regno non finirà mai”. Allora Maria disse all’angelo: “Come è possibile questo, dal momento che io sono vergine?”.

L’angelo rispose: “Lo Spirito Santo verrà su di te e l’Onnipotente Dio, come una nube, ti avvolgerà. Per questo il bam­bino che avrai sarà santo, Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, alla sua età aspetta un figlio. Tutti pensavano che non potesse avere bambini, eppure è già al sesto mese. Nulla è impossibile a Dio!”.

Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore. Dio faccia con me come tu hai detto”. Poi l’angelo la lasciò.

“Quando un angelo del cielo ti offre d’essere la Madre di un Dio che deve regnare per tutta l’eter­nità, Maria io ti vedo preferire, sorprendente miste­ro, l’ineffabile tesoro della tua verginità. Io com­prendo, Vergine Immacolata, che la tua anima sia più cara al Signore della sua divina dimora… e che la tua anima, Umile e Dolce Valle, può contene­re il mio Gesù, l’Oceano dell Amore! (Poesia 54 in prosa).

Maria ti amo, quando ti dici la piccola serva di Dio che rapisci per la tua umiltà! Questa virtù nascosta ti rende onnipotente e attira la Santa Trinità nel tuo cuore. E così lo Spirito d’Amore, coprendoti con la sua ombra, incarna in te il Figlio uguale al Padre!… Egli avrà un grande numero di fratelli peccatori; se lo si dovrà chiamare. Gesù tuo primogenito” (Poesa 54 in prosa).

“Tu t’inganni, se credi che la piccola Teresa cammini sempre con ardore sulla strada della virtù: lei è debole e molto debole; tutti i giorni ne fa espe­rienza. Ma Gesù si compiace d’insegnarle, come a San Paolo, la scienza di vantarsi nelle sue infermità: questa è una grande grazia e io prego Gesù di inse­gnartela, poiché solo in questo si trova la pace e il riposo del cuore. Quando ci si vede così miserabili, non ci si vuole più prendere in considerazione e non si guarda che l’unico Diletto!… ” (Lettera 109).

“Madre amata, malgrado la mia piccolezza, anch’io come te possiedo in me l’Onnipotente e non tremo vedendo la mia povertà: infatti l’eredità di una madre appartiene al figlio… Ed io sono tua figlia, Madre! Le tue virttù, il tuo amore, non sono forse miei? Così, quando nel mio cuore discende l’Ostia bianca, Gesù, il tuo dolce Agnello, crede di riposare in Te!” (Poesia 54 in prosa).

“Ricordati Gesù della gloria del Padre, ricor­dati dei suoi divini splendori che lasciasti per esi­liarti qui in terra e riscattare tutti i poveri peccato­ri… Gesù, abbassandoti verso la Vergine Maria, tu veli la tua grandezza e la tua gloria infinita. Di quel maternogrembo che fu il tuo secondo cielo! Ricordati” (Poesia 24 in prosa).

“O Gesù, perché non mi è possibile dire a tutte le piccole anime quanto la tua condiscendenza è ineffabile?… Sento che se per assurdo tu trovassi un’anima più debole, più piccola della mia, ti com­piaceresti di colmarla di favori ancora più grandi, qualora si abbandonasse con fiducia completa alla tua misericordia infinita” (Manoscritto B 5v).

 

SECONDO MISTERO

LA VISITA DI MARIA AD ELISABETTA (Luca 1 39-56)

In quei giorni Maria si mise in viaggio e rag­giunse in fretta un villaggio che si trovava nella parte montagnosa della Giudea. Entrò nella casa di Zaccaria e salutò Elisabetta. Appena Elisabetta udì il saluto di Maria, il bambino dentro di lei ebbe un fremito, ed essa fu colma di Spirito santo e a gran voce esclamò: “Dio ti ha benedetta più di tutte le altre don­ne, e benedetto è il bambino che avrai! Che grande cosa per me! Perché mai la madre del mio Signore viene a farmi visita? Appena ho sentito il tuo salu­to, il bambino si è mosso in me per la gioia. Beata te che hai avuto fiducia nel Signore e hai creduto che egli può compiere ciò che ti ha annunziato”.

Allora Maria disse: “Grande è il Signore: lo voglio lodare. Dio è mio salvatore: sono piena di gioia. Ha guardato a me, alla sua povera serva: tutti, d’ora in poi, mi diranno beata. Dio è potente: ha fatto in me grandi cose, santo è il suo nome. La sua misericordia resta per sempre con tutti quelli che lo servono. Ha dato prova della sua potenza, ha distrutto i superbi e i loro progetti. Ha rovesciato dal trono i potenti, ha rialzato da terra gli oppressi. Ha colmato i poveri di beni, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Fedele nella sua misericordia, ha risollevato il suo popolo, Israele. Così aveva promesso ai nostri padri: ad Abramo e ai suoi discendenti per sempre”.

Maria rimase con Elisabetta circa tre mesi. Poi ritornò a casa sua.

“Tu mi fai comprendere che non è impossibile seguire i tuoi passi Regina degli eletti. La stretta via del Cielo, tu l’hai resa percorribile mettendo in pratica ogni giorno le virtù più umili. Accanto a Te, Maria, anch’io amo restare piccola: vedo la vanità delle grandezze umane. Nella casa di Elisabetta, che riceve la tua visita, imparo a eserci­tare una ardente carità” (Poesia 54 in prosa).

“Una parola, un sorriso amabile, spesso basta­no per far distendere una persona triste… Voglio essere amabile con tutti per rallegrare Gesù… Che banchetto potrebbe imbandire una carmelitana alle sue sorelle se non un banchetto spirituale composto da una carità amabile e gioiosa?” (Manoscritto C).

“Vivere d’Amore è navigare seminando sempre la gioia e la pace nei cuori. Mossa dalla Carità, ti vedo nelle anime delle mie sorelle. La Carità, ecco la mia sola stella: sulla giusta rotta navigo alla sua luce. Sulla vela ho scritto il mio motto: Vivere d’Amore!” (Poesia 17).

“Ho compreso che la carità non deve rimanere chiusa in fondo al cuore. Nessuno – ha detto Gesù – accende una lampada per metterla sotto il tavolo, ma la si mette sopra il candeliere per­ché illumini tutti coloro che stanno nella casa.

Mi sembra che questa lampada rappresenti la carità che deve illuminare, rallegrare non solo quelli mi sono i più cari, ma anche tutti coloro che stanno nella casa senza alcuna eccezione” (Mattoscritto c).

“Quando Giuseppe il Giusto, ignora il prodi­gio, che tu vorresti nascondergli per la tua umiltà, in lacrime lo lasci accanto a te, Tabernacolo che vela la divina Bellezza del Salvatore… O quanto amo, Maria, questo tuo eloquente silenzio; per me è un concerto melodioso e dolce che mi mostra la grandezza e l’onnipotenza di chi soltanto attende il suo aiuto dal cielo… ” (Poesia 54 in prosa).

“Là in quella casa ascolto rapita, dolce Regina degli Angeli, il sacro cantico che ti sgorgò dal cuore. Tu m’insegni a cantare le lodi divine e a gloriarmi in Gesù mio Salvatore. Le tue parole d’amore sono come mistiche rose che devono profu­mare i secoli futuri. In Te l’Onnipotente ha fatto grandi cose e io voglio meditarle per poterlo benedi­re” (Poesia 54 in prosa).

 

TERZO MISTERO

LA NASCITA DI GESU’ (Luca 2 1-12)

In quel tempo l’imperatore Augusto con un decreto ordinò il censimento di tutti gli abitanti dell’impero romano. Questo primo censimento fu fatto quando Quirino era governatore della Siria. Tutti andavano a far scrivere il loro nome nei regi­stri e ciascuno nel proprio luogo d’origine.

Anche Giuseppe partì da Nazareth, in Galilea e salì a Betlemme, la città del re Davide, in Giudea. Andò là perché era un discendente diretto del re Davide e Maria sua sposa, che era incinta, andò con lui.

Mentre si trovavano a Betlemme, giunse per Maria il tempo di partorire ed essa diede alla luce un figlio, il suo primogenito. Lo avvolse in fasce e lo mise a dormire nella mangiatoia di una stalla, perché non avevano trovato altro posto.

In quella stessa regione c’erano anche alcuni pastori. Essi passavano la notte all’aperto per fare la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro, e la gloria del Signore li avvolse di luce, così che essi ebbero una grande paura. L’angelo disse: “Non temete! Io vi porto una bella notizia che procurerà una grande gioia a tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato il vostro Salvatore, il Cristo, il Signore. Lo riconoscerete così: troverete un bambino avvolto in fasce che giace in una magiatoia”.

“Più tardi, a Betlemme, o Giuseppe e Maria, vi vedo respinti da tutti gli abitanti. Nessuno vuole accogliere nella sua locanda dei poveri stranieri, il posto è per i grandi… Il posto è per i grandi… così è in una stalla che la Regina dei Cieli deve partori­re Dio. Madre, come sei amabile, quanto ti trovo grande in un così misero luogo” (Poesia 54 in prosa).

“Quando vedo l’Eterno avvolto in fasce e sento il debole grido del Verbo Divino, Madre, non invi­dio più gli Angeli perché il loro potente Signore è mio Fratello amato!… Come t’amo, Maria, che sulla nostra terra hai fatto germogliare il tuo Divino Fiore!… E t’amo ancora, quando ascolti i pastori e i mogi, vedere con quanta cura conservi tutte le cose nel tuo cuore!…” (Poesia 54 in prosa).

“Ricordati Gesù del giorno della tua natività, quando scendendo dal Cielo, gli Angeli hanno can­tato. “Al nostro Dio gloria, onore e potestà… E pace ai cuori di buona volontà”. Da mille novecento anni, Signore, tu mantieni la promessa e ai figli tuoi appartiene la ricchezza della pace. Per gustare sempre la tua pace ineffabile io vengo da te. Io vengo da te, nascondimi nelle tue fasce, nella tua culla voglio restare per sempre. Là, con gli Angeli, potrò cantando dirti: Ricordati le gioie dei tuoi primi giorni Gesù! Rammentati dei pastori e dei magi che gioiosi t’offrirono i loro cuori e i loro omaggi. E del corteo innocente che il suo sangue ti donò ricordati” (Poesia 24 in prosa).

“Ho dipinto (su di una immaginetta) il divi­no Bambino in modo da mostrare come si comporta nei miei confronti… In effetti egli dorme quasi sempre… Il Gesù della povera Teresa non l’acca­rezza così come Egli accarezzava la sua Santa Madre. Ciò è molto naturale, poiché la figlia è così indegna della Madre!… Tuttavia gli occhietti chiusi di Gesù parlano molto alla mia anima e, poiché Egli non mi accarezza, mi sforzo io di far­gli piacere…” (Lettera 160).

“Non posso temere un Dio che per me si è fatto così piccolo!… Io l’amo!… Infatti egli non è che amore e misericordia! (Lettera 266).

Il mio cielo è sentire in me la somiglianza con Dio che mi ha creato con il suo potente soffio divino. Il mio Cielo è mantenermi sempre alla sua presenza. Chiamarlo Padre ed essere sua figlia. Tra le sue divine braccia non temo la tempesta. Questo totale abbandono è la mia sola legge! Assopirmi sul suo cuore, accanto al suo Volto, ecco il mio Cielo” (Paese 32 in prosa).

 

QUARTO MISTERO

LA PRESENTAZIONE DI GESU’ AL TEMPIO

Viveva allora a Gerusalemme un uomo chia­mato Simeone. Un uomo retto e pieno di fede in Dio, che aspettava con fiducia la liberazione d’Israele. Lo Spirito Santo era con lui e gli aveva rivelato che non sarebbe morto prima di aver vedu­to il Messia mandato dal Signore.

Mosso dallo Spirito Santo, Simeone andò nel tempio dove s’incontrò con i genitori di Gesù, pro­prio mentre essi stavano portandovi il loro bambino per compiere quello che ordinava la legge del Signore.

Simeone allora prese il bambino tra le braccia e ringraziò Dio così: “Ormai, Signore, puoi lasciare che il tuo servo se ne vada in pace: la tua promessa si è compiuta. Con i miei occhi ho visto il Salvatore: Tu l’hai messo davanti a tutti i popoli: luce per illuminare le nazioni e gloria del tuo popolo, Israele”.

Il padre e la madre di Gesù rimasero stupiti per le cose che Simeone aveva detto del bambino. Simeone poi li benedisse e parlò a Maria, la madre di Gesù: “Dio ha deciso che questo bambino sarà occa­sione di rovina o di risurrezione per molti in Israele. Sarà un segno di Dio, ma molti lo rifiute­ranno: così egli metterà in chiaro le intenzioni nascoste nel cuore di molti. Quanto a te, Maria, il dolore ti colpirà come colpisce una spada”.

“Amo vederti confusa tra tutte le altre donne che dirigono verso il santo tempio i loro passi. T’amo, Maria, quando presenti il Salvatore delle nostre anime al beato Vegliardo che lo stringe tra le sue braccia. Dapprima ascolto sorridente il suo canto, ma presto la sua voce mi fa piangere. Lo sguardo profetico di Simeone scrutando l’avvenire ti mostra una spada di dolori” (Poesia 54 in prosa).

“O Regina dei Martiri, fino a sera della vita la spada dolorosa trapasserà il tuo cuore. Devi già abbandonare la terra della tua patria per sfuggire al furore geloso di un re. Mentre tra le pieghe del tuo velo, Gesù in pace dorme, Giuseppe viene a chiederti di partire sull’istante, la tua obbedienza si manifesta pronta e senza alcun ritardo parti e senza ragionare” (Poesia 54 in prosa).

“Il merito non consiste nel fare né nel donare molto, ma piuttosto nel ricevere, nell’amare molto! È detto che è molto più dolce dare che ricevere, ed è vero. Ma allora, quando Gesù vuol prendere per Sé la dolcezza di donare, non sarebbe simpatico rifiu­tare. Lasciamogli prendere e dare tutto quel che vorrà: la perfezione consiste nel fare la sua volontà e l’anima che si abbandona interamente a Lui è chiamata da Gesù stesso sua madre, sua sorella e tutta la sua famiglia… come è facile piacere a Gesù, conquistare il suo cuore! Non c’è che da amarlo senza guardare a se stessi, senza troppo esaminare i propri difetti… ” (Lettera 142).

“Gesù lo so, l’amore si paga soltanto con l’a­more… Ma sono una figlia della Chiesa… e ciò che chiede il cuore d’un bambino piccolo è l’amo­re… ma come glielo testimonierà il suo amore, dal momento che l’Amore si prova con le opere? Ebbene il piccolo bambino getterà dei fiori, impregnerà con i suoi profumi il trono regale, canterà con la sua voce argentina il cantico dell Amore…” (Manoscritto B 4r).

“Sono solo una bambina, impotente e debole, eppure la mia stessa debolezza mi dà l’audacia di offrirmi come vittima al tuo Amore, Gesù! Un tempo… per soddisfare la Giustizia Divina occor­revano vittime perfette, ma alla legge del timore è succeduta la legge dell’Amore; e l’Amore ha scelto per olocausto me, debole e imperfetta creatura!… Questa scelta non è forse degna dell’Amore?… Sì, perché l’Amore sia pienamente soddisfatto, bisogna che si abbassi, che si abbassi fino al niente e che trasformi in fuoco questo niente…” (Manoscritto B 3v).

 

QUINTO MISTERO

IL RITROVAMENTI DI GESU’ AL TEMPIO

I genitori di Gesù ogni anno andavano in pel­legrinaggio a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando Gesù ebbe dodici anni lo portarono per la prima volta con loro secondo l’usanza. Finita la festa ripresero il viaggio di ritorno con gli altri. Ma Gesù rimase in Gerusalemme senza che i genitori se ne accorgessero. Credevano che anche lui fosse in viaggio con la comitiva. Dopo un gior­no di cammino, si misero a cercarlo tra i parenti e conoscenti. Non riuscendo a trovarlo, ritornarono a cercarlo a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trova­rono nel tempio: era là, seduto in mezzo ai maestri della legge: li ascoltava e discuteva con loro. Tutti quelli che lo udivano erano meravigliati per l’intel­ligenza che dimostrava con le sue risposte. Anche i suoi genitori, appena lo videro, rimasero stupiti, e sua madre gli disse: ‘Figlio mio, perché ti sei comportato così con noi? Vedi, tuo padre ed io ti abbiamo tanto cercato e siamo stati molto preoccupati per causa tua’. Egli rispose loro: “Perché cercarmi tanto? Non sapevate che io devo essere nella casa del Padre mio?”. Ma essi non capirono il significato di quelle parole.

Gesù poi ritornò a Nazareth con i genitori e ubbidiva loro volentieri. Sua madre custodiva gelo­samente dentro di sé il ricordo di tutti questi fatti.

Gesù intanto cresceva, progrediva in sapienza e godeva il favore di Dio e degli uomini.

“Nella terra d’Egitto, mi sembra, Maria, che nella povertà il tuo cuore resta gioioso. Gesù non è forse Lui la più bella Patria? Che t’importa l’esilio, se tu possiedi i Cieli?… Ma a Gerusalemme un dolore vasto come un oceano sta per inondarti il cuore: Gesù per ben tre giorni si nasconde al tuo amore! Questo sì che è un esilio in tutto il suo rigore!…” Poesia 54 in prosa).

“Finalmente lo ritrovi e la gioia ti trasporta e dici al bel Fanciullo che incanta i dottori: “Figlio perché agisci così? Guarda, tuo padre ed io, ti cer­chiamo in pianto”. E il Dio Bambino risponde (mistero profondo) alla sua cara Madre che tende le braccia verso di Lui: “Perché voi mi cercate?… Occorre che io mi dedichi all’opera del Padre, o non lo sapevate?” (Poesia 54 in prosa).

“Il Re della patria del sole splendente è venuto a vivere trentatrè anni nel paese delle tenebre. Le tenebre non hanno affatto capito che questo Re Divino era la luce del mondo!… Signori, tua figlia l’ha capita la tua luce divina! Ti chiede perdono per i suoi fratelli. Ella accetta di mangiare per quanto tempo vorrai il pane del dolore e non vuole affatto alzarsi prima del giorno che hai stabilito da questa tavola piena di amarezza alla quale mangiano i poveri peccatori” (Manoscritto C 5 6).

“Poiché il Re dei Cieli volle che la sua Madre fosse immersa nella notte, nell’angoscia del cuore, Maria, soffre sulla terra è forse dunque un bene? Sì soffre amando, è la più pura felicità!… Tutto quel­lo che Gesù mi ha dato, lo può riprendere. Digli che mai con me deve farsi scrupolo… Può ben nascon­dersi, ad acconsento attenderlo fino al giorno senza tramonto quando la fede si spegnerà…” (Poesia 54 in prosa).

“Mio Benamato, il tuo esempio m’invita ad abbassarmi, a disprezzare l’onore. Per incantarti, voglio restare piccola e col dimenticarmi affascinerò il tuo Cuore. La mia pace sta nella solitudine, non domando niente di più… Piacerti è l’unico mio pro­getto, la mia beatitudine sei tu, Gesù” (Poesia 31 in prosa).

“Gesù è un tesoro nascosto, un bene inestimabi­le che poche anime trovano perché è nascosto e il mondo ama ciò che brilla. Se Gesù avesse voluto mostrarsi a tutte le anime con i suoi doni ineffabili senza dubbio non ce ne sarebbe una sola che l’a­vrebbe rifiutato; ma Egli non vuole che lo amiamo per i suoi doni, è Lui stesso che deve essere la nostra ricompensa. Per trovare una cosa nascosta, occorre nascondere se stessi: la nostra vita deve esse­re un mistero, occorre che assomigliamo a Gesù, quel Gesù il cui volto era nascosto… ” (Lettera 145).